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Ovvero, un giornale, un diario, Majore e la ricetta di Sciascia. Intervista a Carlo Ottaviano

a cura di Giulia Cultrera

A 30 anni dalla morte di Leonardo Sciascia continuano a emergere ricordi e aneddoti anche relativi alla nostra provincia. Alcuni episodi inediti ce li racconta il giornalista Carlo Ottaviano, figlio di chiaramontani (una delle sue sorelle è Chiara). Tra l’altro è stato direttore a Catania di Telecolor, a Milano di Vie del gusto quando era edito da Rcs-Corriere della Sera, a Roma del gruppo editoriale Gambero Rosso e del mensile Leggere Tutti. Ora è la ‘firma’ sul settore enogastronomico del quotidiano Il Messaggero.
«Ho solo sfiorato il grande scrittore – racconta –niente di più. Non voglio iscrivermi alla gara di quelli che a ogni anniversario di gente famosa si dichiarano amici-allievi-sodali di chi non può più smentirli».

Carlo Ottaviano

Eppure, hai qualche ricordo significativo.
«Sì, ma lo racconto solo perché mi piace ricordare l’attenzione che dedicava ai giovani e alla nostra provincia e qualche curiosità sul suo modo di lavorare».

Di quale periodo parli?
«1978. A Ragusa avevo appena ‘inventato’ Cronache di una provincia, una rivista che parlava di attualità e tradizioni locali (ancora si diceva folclore), e ne mandai il primo numero allo scrittore».

Senza conoscerlo?
«Qualche anno prima – ero all’ultimo anno di liceo ed ero corrispondente de L’Ora (e de l’Unità) – il direttore Nisticò mi aveva commissionato un articolo sul convegno dedicato a Serafino Amabile Guastella in programma a Chiaramonte e Modica. Prima della pubblicazione il mio pezzo fu sottoposto alle valutazioni di Sciascia. Pochi mesi dopo riciclai l’articolo come tesina agli esami di maturità. Quindi colloco questo primo ricordo nel 1975».

Tre anni dopo gli scrivi facendo riferimento a quell’episodio.
«E lui – ecco il gigante – risponde subito a un ventenne non limitandosi a ringraziare (l’educazione è merce rara anche oggi) ma dando suggerimenti. Leggiamo la lettera, ve ne do copia. Apprezza la testata (‘ricordare la provincia – scrive – è quanto di meno provinciale si possa fare in provincia’) ed entra nel merito dei contenuti e della veste grafica».

Tanto da farti cambiare le copertine, proprio come suggerisce.
«Vero! Il primo numero ha un’opera del comisano Biagio Brancato, il secondo un quadro di Angelo Campo. Dopo, passo alle immagini in bianco e nero di Peppino Leone (che ringrazio sempre per la sua generosità) e di altri amici. Ovviamente, cerco di assecondare i suggerimenti anche sui contenuti fin quando la rivista non cesserà le pubblicazioni a seguito del mio trasferimento a Roma».Dalla lettera si capisce che Sciascia ben conosce il territorio ragusano.
«Sì, e badiamo alle date. Siamo nell’aprile 1978, parecchi anni prima cioè dell’uscita dei suoi bellissimi La contea di Modica (1983) e Invenzione di una prefettura (1987). In quegli anni nasce la sua amicizia con Bufalino (Diceria dell’untore uscirà nell’81) che collaborava anche con la mia testata e con Leone. Mi piace qui ricordare anche Bufalino: era stato compagno di liceo di mio padre all’Umberto I di Ragusa. Per Cronache scrisse alcuni deliziosi testi».

Sciascia nella lettera ringrazia il prof. Antonio Di Grado per una recensione, ripromettendosi di farne conoscenza. Anni dopo – consolidata la frequentazione – lo avrebbe designato come direttore scientifico della Fondazione.
«Questa è la testimonianza che se lavori bene non importa dove scrivi – sul Corriere o sul giornalino parrocchiale – e che ogni testata ha una sua dignità, motivazione d’essere e relativo prestigio da conquistare e difendere. Tanto più oggi che internet non pone ostacoli alla circolazione di uno scritto».

Il prof. Antonino Di Grado

Altri ricordi?
«Qualche mese dopo mi imbattei casualmente ad Adrano nella storia di uno dei tanti efferati banditi del dopoguerra. Giuseppe Russo, noto come ‘Fuoco dell’Etna’, pluriassassino e capobanda, era tornato libero dopo aver scontato 30 anni di detenzione (nonostante la condanna all’ergastolo). In un diario aveva raccontato le sue vicissitudini. Me lo diede e io lo inviai con un amico ad Enzo Sellerio (del quale avevo appena pubblicato un ampio servizio fotografico su Cronache). Neanche tre ore dopo averlo ricevuto, mi chiamò al telefono: La prima volta che vieni a Palermo, passa a trovarci, che Leonardo Sciascia vorrebbe chiederti alcune cose sul diario di Russo».

Nella mitica sede di via Siracusa 50?
«Ovviamente, già il mattino dopo ero li. Chiacchierai con Enzo ed Elvira Giorgianni – che sapeva tantissimo di Ragusa, avendoci vissuto qualche anno da ragazza quando suo padre ne era il prefetto – e poi arrivò Sciascia. Aveva l’originale del diario pieno di chiose, rimandi, sottolineature. L’aveva letto immediatamente, non appena ricevuto. Mi rimprovero ancora di aver perso quel dattiloscritto che mi fu restituito, oggi sarebbe un documento strepitoso proprio su Sciascia».

Enzo ed Elvira Sellerio

E sul suo lavoro di cercatore di perle e di consulente di Sellerio.
«Pubblichiamo sicuramente il libro – mi disse in pratica – se lei convince l’autore a darci l’originale. Perché guardi – mi spiegò – non può essere che uno che entra quasi analfabeta in carcere, poi scriva questa frase così. Evidentemente gli è stata corretta da un secondino. Guardi, quest’altra frase l’avrebbe dovuta scrivere così; oppure, vista la sua frequentazione con gli atti giudiziari, in quest’altro modo. Secondo me qui è intervenuto il cappellano del penitenziario. Insomma, lo convinca a darci il manoscritto e potrebbe essere un successo, perché la storia c’è».

Viene subito da pensare al successo di Terramatta di Rabito. Com’è finita in quel caso?
«Io all’epoca ero il corrispondente dalla Sicilia orientale de l’Unità e vivevo a Catania. Quindi tornai la stessa sera da Russo per riferire delle perplessità sulla scrittura e chiedere l’originale. ‘Originale davvero’, gli dissi. Lui si offese e io – che avevo 23 anni, non dimentichiamolo – alla reazione davvero dura del pluriomicida condannato all’ergastolo (che comunque s’era fatto 30 anni di carcere), devo aver balbettato una buffa risposta tipo: “Mi scusi, dottor Fuoco dell’Etna, è solo un qui pro quo”. Rido ancora pensando alla paura della vendetta dell’uomo ferito nell’onore di … novello scrittore. Che poi era ormai un mansueto vecchietto. Una ventina di anni dopo, un piccolo editore locale ha pubblicato quel testo».

Adrano città natale del pluriassassino Giuseppe Russo, autore del ‘diario’

Ti occupi da molti anni di cultura del cibo. Nel libro che hai scritto assieme a tua figlia Giulia I luoghi e i racconti più strani della Sicilia (Newton Compton, 2019) hai dedicato un capitoletto alla passione di Sciascia per il cibo.
«Oggi scrivere di cucina è di moda. Non c’è un solo autore – di gialli o romanzi rosa poco cambia – che non si atteggi a gourmet e non infarcisca le sue righe di ricette e sentori di vino, di rimandi allo streetfood o alla nouvelle cousine. Sciascia è stato un antesignano anche in questo caso, però con un vero radicamento alla terra e alle sue produzioni. Vincenzo Campo, un intellettuale siciliano trasferitosi a Milano, editore della Henry Beye e appassionato bibliofilo, è riuscito a scovare (e poi pubblicare in Sarde e altre cose allo zolfo) sei brevi testi dimenticati, scritti dal 1964 al 1987. Sono gustosissime chicche, come appunto quelle sul popolare pesce che offre lo spunto al titolo. Da apprezzare le precise descrizioni di Sciascia: ‘Mentre ancora lo zolfo è liquido e ardente della ‘gavita’ gli zolfatari usano cuocere certi loro cibi: e particolarmente le sarde salate. Basta, tenendole per la coda, calarle nello zolfo per un momento e ne escono rivestite di una crosta di zolfo, forma grottesca e surreale da suggerire alla pop-art. Sgranocchiata la crosta, ecco la sarda cotta: di un sapore che un po’ tiene di certi pesci affumicati ma con in più il sentore dello zolfo, piacevolissimo’».Una ricetta ben strana.
«Letto quel delizioso libretto, volli chiedere conferma a Emanuele Macaluso, purtroppo scomparso poche settimane fa, che tra le zolfare di Caltanissetta si era fatto le ossa come leader sindacale e politico. “Come no? – mi rispose al telefono Emanuele – la sarda si intingeva proprio un attimo, una entrata e una uscita, nella latta in cui stava il panotto di zolfo. Si creava una crosta che poi si doveva rompere”. E come per le sarde, ma con tempi di cottura più lunghi, Sciascia suggeriva lo stesso metodo per polli, conigli, capretti interi».

Sciascia nella cucina-ingresso del ristorante Majore (1986)

Sciascia aveva pubblicato i suoi testi sulla cucina nell’almanacco gastronomico Apollo Buongustaio e anche sui giornali “seri”.
«Come L’Ora su cui scrisse di Chiaramonte e della trattoria dove ‘si magnifica il porco’. Fino all’ultima volta che venne a Ragusa volle cenare da Majore assieme a Gesualdo Bufalino. Non rinunciava mai neanche alla Torta Savoia di Di Pasquale e alla cioccolata di Modica di Bonajuto. I dolci erano una sua passione, come emerge dal libro della Heny Beyle. Del cuscus precisa – per esempio – che può essere anche dolce, candito, perché “c’è cuscus e cuscus: il cuscus dei poveri e il cuscus dei ricchi, il cuscus che sazia e quello che delizia”. Sul sorbetto al gelsomino, il candiero, offre il sensazionale suggerimento di aggiungere anche ‘un po’ di odore di muschio e di ambra’. Per torrone e confetti indica senza indugio la mandorla di Avola. Sul salato suggerisce la ricetta del minestrone asciutto pitaggiu – ‘indubbiamente dal francese potage’ – e ci dona lezioni che non sfigurerebbero in alcun manuale per cuochi professionisti sulla difficoltà di fare un’arancina a regola d’arte. Un vero esperto.».Per il tuo libro hai raccolto anche i ricordi del fotografo e scrittore Ferdinando Scianna, amico stretto di Sciascia.
«Due episodi gustosi. Uno dice del legame alla terra. ‘Una volta che era a Milano – mi ha raccontato Scianna – lo invitai a fermarsi ancora qualche giorno. Ma lui manifestava un’incomprensibile urgenza di tornare in Sicilia’. ‘Scherzi – rispose – questa è la settimana che in campagna si cominciano a trovare gli asparagi selvatici’. L’altro episodio ci fa sorridere assai. ‘A Parigi – è Scianna a ricordare – eravamo ospiti da comuni amici. In suo onore avevano preparato la ricetta del coniglio di cui aveva scritto nel Giorno della civetta. Quando ce ne andammo, Leonardo disse esasperato che non era la prima volta. Non mi perdonerò mai, sbottò, di aver scritto di quel maledetto coniglio. Lo detesto, io, il coniglio’.

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2 Comments

  1. Sono un’amante della storia della cucina siciliana e ho trovato l’intervista molto interessante. Grazie mille Giulia, comprerò sicuramente il testo di Ottaviano e quello di Sciascia sulle sarde e lo zolfo 😊.

  2. Luca Bonacini Reply

    bellissima intervista, ti viene voglia di salire sul primo treno per la Sicilia…👏👏👏✌

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