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di Vito Castagna

Jean-Luc Godard sosteneva nel suo “Il maschio e la femmina” (1966) che così come il filosofo, il regista dovesse muoversi controcorrente.

Nell’Italia del ‘70, furono numerosi i registi che si posero in direzione inversa e contraria, primo fra tutti quel Pier Paolo Pasolini che pagò a caro prezzo il proprio dissenso. Ma tra i nomi meno ricordati di quel cinema d’opposizione vi è quello di Carmelo Bene, regista per diletto o forse per disprezzo, che ebbe modo di lavorare con lo stesso Pasolini. 

Carmelo Bene nei panni di Creonte in “Edipo Re” (1967), regia di P. P. Pasolini

A differenza del poeta di Casarsa, in Bene il discorso politico cede il passo ad una critica rivolta al mezzo audiovisivo stesso, sovvertendone le regole, stropicciandone i tempi e le modalità espressive.

Eppure, sta proprio in questa conflittualità l’originalità delle sue pellicole, tra le quali merita una maggiore attenzione quella di “Salomè“, del 1972. La trama del film è tratta dall’omonima trasposizione teatrale di Oscar Wilde, e si concentra sulla vicenda biblica della decapitazione del Battista.

La danza di Salomè ha affascinato molti artisti. Qui in una tavola di Benozzo Gozzoli

Quello che potrebbe sembrare un soggetto edificante in realtà si rivela un pretesto disorientante, tutto rivolto ad una società che non potrebbe più comprendere il martirio. Ed è così che Cristo si tramuta in un vampiro e dopodiché in un crocifisso che tenta inutilmente di inchiodarsi da solo alla croce. 

La stessa decollazione del profeta viene solo evocata da un bruto che taglia con una sciabola un’anguria, una scena più volte riproposta. Ridondante quanto i dialoghi, ripetuti allo spasimo, salmodiati, balbettati, masticati. Sono limpide, invece, le parole di Giovanni, rivolte ad una Salomè calva, dalla pelle di alabastro, tutte in pugliese e ingiuriose.

Donyale Luna nei panni di Salomè di Carmelo Bene

Spicca la mollezza dell’Erode interpretato da Bene. Voglioso, debole, colto da una bulimia di vino e frutta. Salomè è il suo unico desiderio, la sua danza un tormento.

Egli la agogna, la supplica promettendo tutto quello che la fanciulla desideri. Purtroppo per lui, il prezzo della danza è carissimo, come può esserlo solo una testa mozzata. Nemmeno un effluvio di doni diversi e di scuse sapranno far desistere Salomè.

Immagine forte questa, che ridicolizza il potere che è vittima delle sue stesse promesse e della sua lascivia.
Carmelo Bene scandalizza con una esplosione di colori e di corpi. Stordisce lo spettatore, lo lascia impietrito e sgomento di fronte ad un montaggio tagliato col machete, sovvertito, privo di consequenzialità. Il regista fa cinema, facendolo implodere dal suo interno, in una spinta iconoclasta.

Erode Antipa, interpetrato da Carmelo Bene

Non abbiate paura di scandalizzarvi. Non crediate che “Salomè” sia una mera provocazione. Come disse Pasolini: “Scandalizzare è un diritto, essere scandalizzati è un piacere. Chi rifiuta il piacere di essere scandalizzato è un moralista!”.

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