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di Stefano Vaccaro

Nel suo passaggio a più riprese per i comuni iblei che fino all’inizio dell’Ottocento componevano la Contea di Modica, Leonardo Sciascia riesce ancora a cogliere “qualche reliquia della serenità del vivere“, a toccare – fuggevolmente – “il giusto della vita. O la sua illusione“.

Che questi luoghi ne diano ancora, l’illusione di un vigore reale o apparente, non è cosa da poco e non è neppure cosa recente se è vero che, per la sua floridezza economica e un contesto socio-culturale differente rispetto al resto della Sicilia, la Contea di Modica ha goduto nel tempo della reputazione di essere un’isola nell’isola, ovvero una potente enclave dotata storicamente di ampia autonomia politica.

Leonardo Sciascia

Modica, nei fatti, possedeva tutti gli uffici di una capitale e capitale lo era davvero con un Tribunale di gran Corte ed una Curia di appello per le cause civili e penali, con uno stuolo di notai e avvocati a far coppia con le più importanti cariche amministrative, difensive e giurisdizionali.

Fregiarsi del titolo di Conte di Modica significava detenere il potere su uno dei più grandi feudi siciliani, lo compresero bene talune famiglie aristocratiche che, con la spada o con un anello nuziale, tentarono di prenderne il potere.

Alle fortune della Contea si sono alternate vere e proprie saghe familiari, Sciascia in una introduzione edita per Electa nel 1983, La contea di Modica, accanto ad una selezione di foto di Giuseppe Leone, ne ripercorre in breve la storia, affascinato dalle vicende umane di dame e cavalieri, dalla famiglia Chiaramonte, dai Cabrera e dalla leggenda del delirante amore di Bernardo per la regina Bianca di Navarra, dagli Enriquez e Vittoria Colonna, dal 1606, eponima della città da lei fondata.

Giuseppe Leone e Leonardo Sciascia; a destra) copertina della prima edizione de La Contea di Modica (Electa, 1983)

Un piccolo regno nel regno. “Sicut ergo in regno meo et tu in Comitato tuo”: come io nel mio regno tu nella tua contea. Così nel diploma del 20 giugno 1392 con cui re Martino concedeva a Bernardo Cabrera la contea che era stata dei Chiaramonte, all’aragonese ribelle. Magnifica famiglia, quella dei Chiaramonte. Troppo occupata a guerreggiare e a congiurare, troppo in gara coi re, troppo ostinata nel difendere il proprio privilegio, di più nobile ostinazione e coraggio rispetto ad altre famiglie allora quasi quanto la loro potenti […]. E lo splendore, la forza e l’ascesa della famiglia, si riverberavano nella vita del feudo, se lungamente tra quelle popolazioni ne durò la leggenda. O forse fu l’irreparabile rovina, la tragica estinzione, a impressionare il sentimento popolare e a far durare nella memoria quel nome, quello splendore. O forse, e anche, ci fu una mutuazione di fantasie cavalleresche (quelle, per intenderci, che molto più tardi daranno luogo all’opra di pupi) nella memoria storica: promossa, probabilmente, dal nome appunto – Chiaramonte.

Nel tracciare la storia della Contea di Modica, Sciascia si affida ad un manipolo di studiosi autoctoni i quali, già a partire dal XIX secolo, mirano a ricostruire a più riprese il contesto storico, ma anche economico, politico e culturale dell’entità feudale d’appartenenza.

Dall’avvocato Filippo Garofalo, autore nel 1856 dei Discorsi sopra l’antica e moderna Ragusa, apprende come la divisione delle terre in enfiteusi sia stata, in questa parte di Sicilia, meno soggetta “a dritti angarici e soprusi feudali” e invece luogo d’elezione di un’arricchita classe borghese.

Quasi cinquant’anni prima, nel 1808, l’economista Paolo Balsamo concludeva il Viaggio fatto in Sicilia e particolarmente nella Contea di Modica (1809), non sapendo ben decidere “se mai Ragusa o Modica sia la più facultosa; […].

Briganti
Paolo Balsamo e il frontespizio del “Giornale del viaggio fatto in Sicilia” (1809)

Definito dallo scrittore di Racalmuto l'”impareggiabile descrittore della contea”, è il barone dei “villani” Serafino Amabile Guastella – autore, tra l’altro, della felicissima opera che è L’antico carnevale della contea di Modica (1877) – a destare maggiore attenzione in Sciascia che più volte ha modo di menzionare nella sua narrazione del comprensorio ibleo.

A lui guarda per uno stornello popolare con protagonista Costanza Chiaramonte, per le guerre di santi patroni volentieri sfociate in faziose lotte paesane e, non da ultimo, all’antropologo chiaramontano si rivolge per scrivere in breve sulla poesia, la pronunzia e la grammatica dei sottodialetti dell’ex contea di Modica…

Serafino Amabile Guastella e il frontespizio del suo “L’antico Carnevale della Contea di Modica” (1877)

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2 Comments

  1. Stefania Campo Reply

    Scrittura raffinata e creativa che mette in luce la connessione fra letteratura e luoghi di questa parte di Sicilia, rapporto poco indagato e quindi ancora tutto da scoprire. Grazie Stefano per questo progetto che porti avanti da anni 🙏🏻

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