ovvero
Uomini e topi
di Giulia Cultrera
“I piani più accurati dei Topi e degli Uomini
vanno spesso storti,
e non ci lasciano che dolore e pena,
invece della gioia promessa”
(Robert Burns, To a Mouse)
Mai titolo fu più azzeccato. Shameless descrive e sintetizza alla perfezione questo show. Spudorati, folli, senza ritegno, vergogna o sensi di colpa. I fratelli Gallagher non guardano in faccia nessuno e ottengono sempre ciò che vogliono. Con qualsiasi mezzo, quasi mai lecito.
Soprattutto il patriarca, Frank, è molto abile nel manipolare, truffare e raggirare chiunque. Non importa in quali guai si imbatte, siate pur certi che riuscirà a farla franca. Il suo spirito guida è senz’altro un gatto: ha nove vite e cade sempre in piedi.
Una famiglia unita e affiatata, abituata a collaborare e a guadagnarsi giorno per giorno da vivere. Tranne Frank. Lui vince il premio come Peggior Padre del South Side (con sprazzi isolati di lucidità).
Eppure, non c’è riscatto né redenzione per la famiglia Gallagher. I loro sogni e desideri, le aspirazioni di realizzazione, di far carriera, rimangono tali. Per quanto possano avvicinarsi alla meta, i personaggi non riescono quasi mai realmente a raggiungerla.
Un po’ come in Uomini e Topi, nati in una condizione di miseria, destinati a rimanere vittime di una società opprimente e classista. Il mito del Sogno americano resta, appunto, un’utopia latente e inarrivabile.
I protagonisti di Shameless sono autodistruttivi, si boicottano da soli. Hanno del potenziale, ottengono degli ottimi risultati, ma cadono rovinosamente fino al punto di partenza. E non sempre si rialzano.
Tuttavia, quando si trovano in situazioni assurde, pericolose o potenzialmente mortali, riescono sempre a trovare una soluzione. Il metodo Gallagher è infallibile.
Caparbietà e altruismo sono i loro punti di forza. Si preoccupano sempre per il prossimo e accorrono subito in soccorso. Un po’ perché sono abituati a prendersi cura gli uni degli altri, un po’ per non dover concentrarsi sui problemi personali.
Una cosa è certa, si imbarcano in situazioni – e soprattutto relazioni – più grandi di loro. E proprio quando pensiamo che non possa esistere un personaggio ancora più tossico, ecco che Shameless riesce nuovamente a sorprenderci.
Lo show segue l’arco narrativo della tragedia: l’eroe è spinto da un desiderio, raggiunge la vittoria, compie delle scelte che lo portano al fallimento e non avviene il cambiamento tanto sperato.
Dalla tragedia attinge anche il tema delle colpe dei padri che ricadono sui figli. Ma qui avviene la svolta. Perché i giovani Gallagher – e Milkovich – non sono come i loro padri e non sono destinati a diventarlo. Hanno imparato dagli errori dei genitori, porteranno sempre con sé le cicatrici emotive.
Sono migliori. E cresceranno figli migliori.
La stagione finale non rende totalmente giustizia ai personaggi. Probabilmente perché non vorremmo mai dire addio alla famiglia Gallagher. Nonostante l’alto livello di cinismo che contraddistingue lo show, ci aspetteremmo un lieto fine perfetto.
I temi di attualità sono sempre i motori conduttori della serie e non poteva essere diversamente con la situazione Covid. Shameless, così come Superstore, ha deciso di inserire la narrazione nel contesto della pandemia, mostrando le conseguenze del virus sulla popolazione americana, in particolar modo sui quartieri più poveri di Chicago.
Una famiglia totalmente diversa da quella rappresentata, per esempio, in Modern Family, ma che riesce a entrare nel cuore dello spettatore proprio per la difficile condizione sociale ed economica di partenza.
Undici stagioni ricche di colpi di scena, personaggi odiosi e grotteschi, situazioni assurde da cui sembra impossibile uscirne indenni. Ma per i Gallagher nulla è impossibile, a parte sbattere Frank fuori di casa.