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Proponiamo la seconda parte della storia della Tipografia Fratelli Ferrante di Chiaramonte Gulfi.

 

di Giuseppe Cultrera

La Fratelli Ferrante di Chiaramonte, pertanto, fu anche un progetto editoriale e non soltanto un’attività economica di “fornitura di servizi” come si direbbe ora.

Nell’elenco di questa produzione provinciale, nei nomi degli autori dei soggetti e delle ricerche, si dipana uno spaccato di storia sociale e culturale del piccolo centro ibleo in un arco temporale molto significativo, che è quello che va dall’Unità d’Italia alle due guerre mondiali; quella che fu detta l’età moderna, per repentini cambiamenti, incontri di popoli, aspirazioni al primato dei valori e della coesistenza pacifica. I personaggi che frequentarono la tipografia Ferrante, in nuce ne sono anelito e rappresentazione.

storia di una tipografia
Cartolina degli anni ‘30 con l’indicazione delle scuole secondarie e superiori nella nuova provincia di Ragusa

La maestra elementare Sabatina Gambogi (coniugata Giuseppe Maria Ferrante) veniva dal nord Italia. Per lei la scuola era missione e impegno sociale. Lo si capisce dai suoi scritti, dalle sue letture, dai suoi interessi culturali. Una donna moderna e di idee progressiste, oggi diremmo. La sua prosa fluente e empatica, intrisa di deamicisiana aura, era incline più al verbo romantico che all’austero classicismo. I cognati tipografi pubblicarono diversi volumetti della dinamica insegnante (che fu pure ispettrice scolastica, in età matura).

Sul fronte opposto stava il professore Giovanni Interlandi, detto Vanni, fautore di un insegnamento rigoroso e austero; nelle sue pubblicazioni L’efficacia educativa (1894) e La donna nelle scuole maschili (1896) lo ribadisce con convinzione. Anzi in quest’ultima sembra avere nel mirino la maestra del nord Gambogi affascinata dal Cuore di De Amicis e forse pure dalle sue idealità socialiste. E qui il confine si faceva netto: il conservatore e un po’ misogino Interlandi, che già litigava in paese con idealisti e “pacifisti”, schiumava di indignazione per amor patrio. Interventista nella grande guerra, esortava i suoi alunni a difendere i confini come volontari. Suo figlio Telesio e alcuni dei colleghi più giovani corsero al fronte. L’approdo, poi, al fascismo e al suo becero razzismo, furono l’epilogo. Il figlio Telesio, scrittore e giornalista di valore, vi sprofondò.

storia di una tipografia
Vanni (Giovanni) Interlandi con il figlio (a sinistra) nel 1922, a Roma

Anche il barone Corrado Melfi di S. Giovanni fu cliente assiduo ed esigente: carta intestata, biglietti da visita, partecipazioni sono attestati da alcuni eleganti clishes ancora esistenti. I quattro volumi che pubblicò con i tipografi Ferrante (con il successore Vacirca molti di più) sono interessanti per eleganza formale e cura tipografica. Specie Memoria ai miei posteri (1886) dove oltre alle testatine, fregi, finalini, eleganti caratteri sono presenti numerose tavole, opera del litografo Giuseppe Maria Puccio (Chiaramonte 1852 – Ragusa 1937).

La tipografia era anche luogo di incontro e di confronto per tanti altri intellettuali: i nobili Guastella, Melfi, Saverio Nicastro, i borghesi avvocato Giovanni Rosso, i dotti prelati Giuseppe Maggiore, Alfonso Rosso e Giovanni Rosso e persino il pretore Espartero Bellabarba, che pur non essendo chiaramontano della storia e tradizione del piccolo borgo fu affascinato.

storia di una tipografia
Fregio tipografico per la carta intestata del barone Corrado Melfi (a sinistra); particolare di una litografia di Giuseppe Maria Puccio per un volume del Melfi

Il regio pretore Espartero Bellabarba veniva da Fano (dove era nato nel 1851); laureato in giurisprudenza all’Università di Urbino, era giunto a Ragusa, nel 1878. Qui sposò Angela Scribano imparentata con Raffaele Solarino, futuro sindaco di Ragusa. Liberale con simpatie “democratiche” era colto e appassionato di letteratura e archeologia. A Chiaramonte incontrò il barone Corrado Melfi che stava scavando le Antichità di Gulfi e fu subito amicizia e collaborazione, appassionandosi alla traduzione delle iscrizioni greche e latine rinvenute. Decise così di pubblicare un corposo studio sulle iscrizioni rinvenute dal Melfi e lo fece per fascicoli. Ma usciranno soltanto i primi due. Motivo dell’interruzione uno scontro con il barone Melfi sul metodo e sulla sostanza delle “interpretazioni gulfiane”. Il Bellabarba si affidava spesso nelle sue ricerche più alla fantasia che al metodo scientifico, per altro assente nel nostro per mancanza di studi specifici. Un esempio è la digressione storico–filologica–teologica sulle Statue bisantine in Chiaramonte (1893) tesa a dimostrare la veridicità della tradizione che attribuiva le statue marmoree della Madonna di Gulfi e del Salvatore ad artista greco dell’VIII secolo con consequenziale provenienza da Costantinopoli.

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Il barone Corrado Melfi (1850 – 1940) e (a destra) l’archeologo Paolo Orsi (1859 – 1935)

Nel repentino cambiamento del Melfi c’era, però, lo zampino dell’archeologo Paolo Orsi, direttore del Museo di Siracusa, che in uno scambio epistolare col barone chiaramontano aveva sottolineato l’approssimazione di metodo e di studio del Bellabarba consigliandogli di servirsi per le traduzioni di gente più qualificata.  Così, di lì a poco, le Poche osservazioni sulle “Iscrizioni gulfiane interpetrate da E. Bellabarba” sancivano la rottura di un sodalizio e forse anche di un’amicizia.

Saverio Nicastro del Lago era un rampollo dell’aristocrazia chiaramontana (una famiglia ben inserita nel potere economico e politico con un deputato al parlamento del Regno e il sindaco della città) preso da aspirazioni letterarie. Alunno del Guastella, che lo aveva pregiato della prefazione al suo primo volume di versi, spaziava dalla letteratura, alla poesia religiosa, all’impegno civile. Il libretto dell’azione sacra Maria di Gulfi (musiche del maestro Raffaele Corsini) ebbe più edizioni.

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Lo scrittore Serafino A. Guastella; Saverio Nicastro del Lago; copertina di un volumetto del Nicastro stampato dalla Tipografia Ferrante

 E siamo già sul finire del secolo. Dagli inizi del novecento e sino agli anni venti la produzione della stamperia artigianale subirà una evidente flessione (almeno relativamente agli opuscoli e libri) ripiegando sul materiale di cancelleria, stampati e legatoria. Ma la crisi, con la contrazione non solo economica, si era insinuata nella vita sociale.

Sul finire degli anni venti la piccola tipografia, sempre con sede all’inizio del Corso Umberto, verrà acquistata da Don Peppino Vacirca, che assocerà nella gestione il giovane lavorante Giovanni Fornaro. Dal secondo dopoguerra costui ne diverrà l’unico titolare. Intorno al 1988 la rileverà Salvatore Castello, con l’attuale denominazione di Grafiche Castello.

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Chiaramonte Gulfi, corso Umberto, cartolina della metà novecento: la prima porta sulla sinistra è l’ingresso della tipografia Ferrante dapprima, poi Vacirca, dal dopoguerra Fornaro e infine oggi Grafiche Castello

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