ovvero
Le auguriamo una celestiale giornata
di Giulia Cultrera
Superstore è considerato da molti l’erede di The Office. In entrambi i casi parliamo di una workplace comedy, ovvero una serie tv ambientata sul luogo di lavoro.
Generalmente conosciamo i protagonisti di uno show nell’ambito familiare. Li osserviamo nella loro quotidianità, ma sappiamo che buona parte delle scene si svolgeranno in casa o nei luoghi frequentati abitualmente. Qui, al contrario, impariamo a conoscere i personaggi durante le ore lavorative, raramente li vediamo impegnati in dinamiche personali.
Di conseguenza, possiamo farci un’idea sui protagonisti soltanto in base al loro modo di relazionarsi con clienti, colleghi, sottoposti e superiori. Concluso il turno lavorativo, si spengono i riflettori e non possiamo più sbirciare nella loro vita.
Sono sempre esistite serie tv di questo tipo, ne sono un esempio Scrubs e Boris. Perché, allora, paragonare Superstore a The Office? Cosa le distingue? Si basano su una tipologia diversa di comicità: i tempi morti, le battute al limite del politically correct, la caratterizzazione di personaggi goffi, maldestri, inquietanti e terribilmente inappropriati.
Le sitcom suscitano per lo più ilarità e intrattengono lo spettatore, creano protagonisti divertenti ma non intendono generare disagio e imbarazzo nello spettatore.
Superstore gioca maggiormente con questi elementi ricorrendo a una rappresentazione corale in cui tutti i dipendenti del Cloud 9 hanno punti di forza, aspetti caratteriali, debolezze che li distinguono e li rendono unici.
Ci confrontiamo con personaggi umani: non sono belli, vincenti, soddisfatti della propria vita. Sono soltanto reali, in un modo strano e assurdo.
Non mancano, dunque, dialoghi e situazioni imbarazzanti, al limite del nonsense, che rendono la serie coinvolgente e godibile.
Le tematiche affrontate da Superstore sono varie e molto attuali, per lo più incentrate sul contesto lavorativo: lotte sindacali, diritti negati, disparità di genere e di appartenenza etnica, sfruttamento e salari minimi. Ma non mancano denunce sociali raccontate attraverso equivoci, incomprensioni e giochi di parole.
Un ulteriore punto di merito va alla bravura e all’originalità con cui si sono adattati alla situazione Covid. La maggior parte delle serie tv ha preferito sorvolare o dare soltanto accenni sporadici sull’accaduto. L’ultima stagione di Superstore, invece, si è concentrata proprio sui cambiamenti che ne sono derivati.
In che modo? Portando in scena alcuni comportamenti sorti con la pandemia: l’iniziale sottovalutazione, l’isteria collettiva, i complottismi, le difficoltà logistiche e relazionali. Parlare di un argomento così delicato, evitando di ironizzare eccessivamente o di rappresentarlo in modo grave, non è assolutamente facile. Ma Superstore ci è riuscito, concludendo davvero in bellezza questo show e strappando un sorriso “riflessivo” fino all’ultimo.