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A. Nelson Hood

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di Redazione

“Certamente Ragusa è un posto che merita d’essere visitato. Se un viaggiatore si ferma una sera primaverile su una roccia sporgente o in una piazza in miniatura sarà testimone di una scena che non può fare a meno di imprimere piacevolmente nella sua memoria. Il sole sta tramontando striando l’orizzonte occidentale di porpora, oro e cremisi; e così abbagliante di luce è il cielo, che gli occhi si posano con sollievo nella foschia del viola rosato che tinge le valli più lontane. La pianura e le grigie rocce della montagna ripetono la tinta violetta. A distanza il mare sembra fuoco liquefatto.” (A. Nelson Hood, Sicilian studies, London,1915)

(Collezione G. Colosi)

Nella impressione del turista inglese lord Alexander Nelson Hood, trascritta l’anno successivo nell’immancabile libretto di memorie del viaggio in Sicilia da regalare ad amici e pari, c’è lo stereotipo della bellezza paesaggistica che val la pena di visitare; c’è il copione per il “bravo fotografo” che dovrà approntare la raccolta di cartoline illustrate da destinare al turista curioso o alla corrispondenza tra parenti ed amici lontani.

(Collezione G. Colosi)

Così montagne di cartoline illustrate in bicromia o in disadorno bianco e nero, passarono dai tavoli dei rivenditori alle mani degli eterogenei acquirenti per raggiungere paesi più o meno lontani (alcuni rimasero sul fondo di un cassetto assieme alle foto ingiallite di famiglia) per poi disperdersi nel tempo, passando da una mano all’altra.
Oggi quelle sopravvissute assurgono a documento sociale e testimonianza storica; portano, ignare, una scheggia di passato, che assommata a mille altre piccole schegge (e qui hanno una loro valenza testimoniale ed artistica, le immagini amatoriali dei tanti dilettanti, spesso nobili o ricchi borghesi e le fotografie professionali dei primi lavoranti in questa affascinante attività) ricostruiscono il volto di una città e comunità del tempo andato.

(Collezione G. Colosi)

Ragusa, fascino antico e aspetti di colore e costume, ne ha avuto e continua ad averne in abbondanza. Rileggere, l’uno e gli altri, è possibile, per i due secoli trascorsi, attraverso le testimonianze iconografiche.
Si potrà così scoprire che la strada, nella quale abitiamo, ieri aveva un’altra denominazione, aveva un monumento religioso o civile, divenuto col tempo fragile e cadente e con tempestiva opportunità eliminato e sostituito con un moderno palazzo; che i bassi di alcuni edifici ospitavano una varia umanità di artigiani e popolani, che ritroviamo fissati nella staticità del tempo, sulle foto o cartoline ingiallite, saltate fuori dal fondo del vecchio cassetto.

(Collezione G. Colosi)

Guardiamo con ironico stupore i casti costumi balneari dei primi bagnanti nel litorale dei Mazzarelli – come si diceva allora – le loro impacciate pose: «fermi tutti!» sembra intimare il fotografo, indaffarato a regolare il marchingegno di nuova invenzione. Lo stesso od altro fotografo, avrà sudato le tante proverbiali camicie, per riprendere il folto gruppo di popolo immobile attorno al santo patrono nella piazza principale: oggi, a distanza di un centinaio d’anni, provate a sezionare con l’aiuto di una lente d’ingrandimento o del programma di scansione dell’immagine del vostro computer; scoprirete in ogni centimetro quadrato, ricolmo di volti tra l’attonito e il controllato contegno, la vita di un mondo sconosciuto, storie segrete, angustie e gioie sigillate per sempre in quell’attimo dello scatto e impresse dal collodio sulla carta.

(Collezione G. Colosi)

Tante altre storie e fatti ci rammentano o confermano le immagini di feste religiose, avvenimenti politici, scorci urbani o periferici (a proposito, guardate le disadorne e deserte periferie di ieri e cercate di immaginare la rapida urbanizzazione, che si individua, via via, nelle successive istantanee).
Ad esempio sono cariche di struggente malinconia, le immagini degli anni sessanta: credo anche perché alla maggior parte di noi dicono o ricordano qualcosa. La gente adesso irrompe chiassosa nelle istantanee, si espone al giudizio, vuole il proprio spazio sociale (riguardate le pose timide e taciturne nelle lastre di fine ottocento ed inizio secolo XX, la gente sembra, con imbarazzo, cacciata dentro l’obiettivo, al quale con pudore cerca di celare il proprio animo). I ragazzi sono impertinenti e spavaldi (chissà quanta colpa ha il cinema, coi personaggi similari della commedia italiana!) le donne, accantonati scialli e velette, si abbandonano ad una posa scherzosa o ad un ammiccante sorriso e mariti o padri, piuttosto che riprenderli per il debordamento dalle convenienze sociali, sembrano piacevolmente divertiti. Stavolta la fotografia – se è permesso il facile gioco di parole – fotografa il cambiamento.

(Collezione G. Colosi)

Le prime “vespe” le mitiche “seicento” i lidi di Marina, che in estate ospitavano spettacoli e concorsi canori o di bellezza, sono la nostra Amarcord: struggente, piacevole, curiosa, impacciata, romantica. A secondo di come ciascuno di noi l’ha vissuta, conosciuta, inventata, subita.

(Collezione G. Colosi)