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di Giuseppe Cultrera

Il contadino alzò il viso sudato e guardò stupito verso la marina. Un brulichio di uomini armati copriva la spiaggia: alcuni ancora erano sulle imbarcazioni, altri si avviavano lesti verso l’interno.

«Mamma mia i greci» urlò e saltato in groppa all’asino, abbandonando zappa e bisaccia, lo incitò ad andare.
«Corri asino mio, corri che qui si mette male». E giù a spronarlo con le gambe e col punteruolo.
L’asino arrancava per la polverosa trazzera con tanto di lingua e quel peso che si faceva sempre più insopportabile. A un certo punto esausto volse il capo al padrone: «Tu dici che siamo nei guai. Ma sono io che ti porto in groppa!».

la logica dell'asino
Asino, disegno (Corriere della Sera) – La nobiltà dell’asino, xilografia, Venezia Bartoli, 1661

«Certo» fece il contadino.
«E se i greci ci acchiappano chi porterò in groppa?»
«I greci», rispose lesto il contadino.
«E che mi faranno i greci?»
«Quello che ti faccio io, penso»
«Allora» ragliò l’asino fermandosi «se per me non cambia niente, e asino dovrò continuare a essere, perché correre a perdifiato? Fatti tuoi. Peni e bbeni cu ll’ha si teni!»
E si piantò lì. Mentre dalla pianura camarinese l’orda dei nuovi conquistatori si approssimava minacciosa.

la logica dell'asino
J. A. Klein, Asino, 1823, acquaforte – G. M. Mitelli, Asino, incisione, 1678. Milano Civica raccolta Bertarelli

A metà del secolo scorso la presenza dell’asino nella vita quotidiana, specialmente del contadino, era ancora abbastanza frequente: come bestia da soma o da lavoro ma specialmente come cavalcatura. Ma nel cinquantennio precedente e nei secoli ancora prima era stata precipua la sua presenza come attivo “compagno” di fatica. Il Guastella, in un icastico passaggio delle sue ‘parità’, ricordava che la morte dell’asino, per il contadino, era un tragico evento. La piangeva più di quella della moglie: che sarebbe stata facile sostituire con un’altra, anche più giovane e forte, mentre per ricomprare l’asino ci volevano un bel po’ di soldi, che spesso non possedeva.

la logica dell'asino
F. Palizzi, Asino, matita di grafite, sec. XIX. Muzi, Stampa popolare, secolo XIX

Testardo come un asino si dice ma anche mite come l’asino. Inoltre, gli si attribuiva, forse per via di questa sua introversione, una durezza di comprendonio: difatti si dava dell’asino a chi non brillava per intelligenza.

Insomma, non ha avuto grandi simpatie nel passato. Adesso che è del tutto sparito dalla vita quotidiana dei lavoratori della terra e stentatamente si ricostruiscono allevamenti (per l’utilizzo del prezioso latte d’asina o per scopi turistici) ci accorgiamo che la sua discreta presenza era un tassello vitale del paesaggio umano. Abbiamo anche perduto alcune tipologie (quella pantesca o asino di Pantelleria, ad esempio è stata dichiarata estinta dal WWF) e altre, autoctone siciliane, si recuperano o mantengono attraverso l’Istituto per l’Incremento Ippico (la razza ragusana è tra queste). Rivederlo nei campi o negli allevamenti è una piacevole sorpresa.la logica dell'asino

di Giuseppe Cultrera

Per la sua Storia di Sicilia, nella prima metà del cinquecento, Tommaso Fazello, dotto frate domenicano, compie una lunga e accurata ricognizione del territorio siciliano. Pertanto la sua trattazione storica è anche un interessante documento dello stato di alcune piccole e poco note città dell’isola.

fazello e le rovine di gulfi
La prima edizione del De Rebus Siculis (Palermo, G. M. Mayda & G. F. Carrara, 1558); ritratto pittorico di Tommaso Fazello (Sciacca 1498 – 1570); edizione italiana della Historia di Sicilia (Venezia, Domenico & GB. Guerra, 1574)

Per Chiaramonte abbiamo due interessanti testimonianze: che la città medievale arroccata sulla collina avesse come quinta orientale una catena montuosa spesso innevata e che i resti della piccola città di Gulfi, nella valle sottostante, fossero ancora visibili.

Non più di otto miglia da Ragusa c’è Chiaromonte, centro fortificato fondato su colline impervie e scoscese da Manfredi Chiaramonte, una volta detto Gulfi, in una località più bassa. I suoi resti ed anche gli edifici sacri distrutti giacciono lì davanti agli occhi.

fazello e le rovine di gulfi
Chiaramonte medievale in una litografia acquerellata di Giuseppe Puccio (fine Ottocento); Santa Maria La Vetere (Santuario di Gulfi)

Sono in gran parte i resti delle chiese medievali di San Ippolito, Sant’Elena e San Lorenzo (di recente scoperti durante i lavori di allargamento della strada comunale di Gulfi, interrati nuovamente dopo il rilievo). Da questa chiesa sembra provenire il fonte battesimale in pietra lavica, oggi custodito all’ingresso del Santuario.

fazello e le rovine di gulfi
Contrada Gulfi, resti delle fondazioni della chiesa di San Lorenzo (secolo XII). Foto C. Battaglia

Il Santuario (Santa Maria La Vetere) resta però l’unica testimonianza esistente. Nella sua struttura è possibile leggere la stratificazione di almeno tre momenti costruttivi: uno alto medievale, uno rinascimentale e, infine, quello tardo barocco che tutt’oggi la contraddistingue. La transizione dalla prima alla terza fase è stata rilevata nei lavori di restauro dell’abside e della pavimentazione. La chiesa era leggermente più corta e più alta; i resti delle fondazioni e quelli delle sculture sommitali dei pilastri e del cornicione sono ancora esistenti, i primi sotto la nuova pavimentazione, i secondi nel sottotetto.

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Santa Maria La Vetere, elementi della chiesa originaria: (sinistra) Brani delle fondazioni medievali e tracce del limite dell’antico prospetto (indicato dalla freccia), (destra) Porta laterale a sesto acuto, (secolo XIII), con iscrizione sulla chiave di volta che tramanda il nome del costruttore «STEUA. DE/LUCIA. MISI/T. HAC CLA/UE IN HAC/PORTA+» Stefano de Lucia pose questa chiave in questa porta. (Foto arch. G. Gatto)

Le rovine delle chiese di San Nicola, San Ippolito e Sant’Elena, assieme ai resti di alcuni edifici pubblici e privati – che il Fazello aveva visto e di cui fa cenno nella Storia di Sicilia – sono totalmente scomparsi. Come? Ce lo spiega Raffaele Ventura nella sua Storia critica di Chiaramonte: tra metà e fine Ottocento fu operata un’intensa bonifica dei terreni di contrada Gulfi ricoperti di ruderi e rottami “già al presente scomparse, perché è tanta la premura della loro ricerca per farne coccio pesto che nel solo 1886 in una chiusa del Piano del Conte, per più di due mesi visse una numerosa famiglia raccogliendole dalla superficie. Ne è testimone tutto il paese. Le pietre piccole ivi sono in più mucchi; come molte per brecciame nelle strade a ruota” (in: Il canto di Dafni, pagina 46).

neviere
Chiaramonte Gulfi, Neviera. (Foto di Nicolò Gulino)

E neppure la neve, adesso, ricopre le montagne soprastanti Chiaramonte. Sono cambiati i cicli climatici. Sopravvivono, però, testimoni eloquenti di quel tempo, le numerose Neviere che quella neve raccolsero e conservarono per le torridi estati.

La Storia di Fazello resta ancora un’interessante lettura – specie nella moderna traduzione di Antonio De Rosalia e Gianfranco Nuzzo (1990) – per sondare quest’isola meravigliosa, crogiuolo di popoli e civiltà.neviere

Banner: illustrazione di Raffaele Catania.