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alluvione modica del 26 settembre 1902

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di Nunzio Spina

Il 26 settembre, per Modica, non è una data come un’altra. Sono passati più di centoventi anni, ma il ricordo della disastrosa alluvione che la investì in quel giorno del 1902 non si cancella dalla memoria storica della città; «ne deviò il destino», «ne mutò il volto», come già su questo blog ha commentato la saggista pozzallese Grazia Dormiente (Modica e l’alluvione del 26 settembre 1902)

Martoglio
Una foto di Modica (all’altezza di Piazza Municipio) che mostra il disastro del dopo-alluvione. (da “Vecchie foto di Sicilia”, Edizioni Greco)

Acqua e fango, straripati dai due torrenti che costeggiavano l’abitato vecchio, investirono con eccezionale impeto – in una lunga e tragica notte di pioggia – interi quartieri; la piena portò alla devastazione di ponti, strade e case, e soprattutto alla morte di un centinaio di persone, più un numero imprecisato di feriti e di sfollati (sui circa venti mila residenti che allora contava il capoluogo ibleo).

Pur con i limitati e tardivi mezzi di informazione di quei tempi, il fatto ebbe una notevole risonanza nazionale, grazie ai giornali che diffusero la notizia; il popolare settimanale “La Domenica del Corriere” vi dedicò la copertina a colori del suo celebre illustratore Achille Beltrame. La commozione suscitata diede il via a una ammirevole gara di solidarietà per una raccolta fondi, che da Milano in giù coinvolse numerosi enti e singoli cittadini, compresa l’offerta personale di Re Vittorio Emanuele III.

Martoglio
Copertina de “La Domenica del Corriere” del 12 ottobre 1902, disegnata da Achille Beltrame

Tra le tante voci accorate che manifestarono sentimenti di pietà, si innalzò quella vicina – intimamente siciliana – di Nino Martoglio (scrittore, regista e sceneggiatore), dalla cui mente scaturì l’impulso e l’ispirazione per comporre una poesia; tipico sonetto, con quattordici versi endecasillabi, suddivisi in due quartine e due terzine, in rima alternata. Tutto in quel vernacolo intriso di frasi e termini degli ambienti popolari, di cui lui si rivelò un cantore autentico e nobile al tempo stesso.

Il titolo, “La Notti di Modica”, inquadra in maniera essenziale tempo e luogo dell’accaduto. Piuttosto è il sottotitolo, “(episodiu cuntatu da un’urfanedda superstiti)”, a dare fin dall’inizio anima ai versi; una giovane superstite, rimasta orfana proprio a causa dell’alluvione, veste i panni del narratore interno, che rivive – con turbamento e dolore, perché suo malgrado onnisciente – ogni momento di quella drammatica notte dalla fine infausta.

Martoglio
Nino Martoglio (1870-1921) e un’edizione della Centona (Niccolò Giannotta Editore – Catania, 1948)

Riproponiamo qui la poesia, che fa parte della famosa raccolta “Centona”, nella sua forma originale. C’è una iniziale dedica al fratello di Martoglio, Ferdinando, (un vezzo dell’autore, che analogo ossequio amava riservare a tutti i componenti della propria famiglia, ad amici e personaggi illustri, come Giovanni Verga e Luigi Capuana); ci sono, alla fine, le solite “note” che traducono in italiano alcune locuzioni in dialetto (diremmo catanese, più che siciliano in genere, lui che era originario di Belpasso, paese sulle pendici a sud dell’Etna).

LA NOTTI DI MODICA
(episodiu cuntatu da un’urfanedda superstiti)

A me’ frati Firdinannu

Fra timpa e timpa, ‘ntra ‘na cava funna,
Modica sedi, capricciusa e stramma,
parti s’acchiana, parti si sprufunna,
lu tuttu si pò diri ‘na caramma.

Frisca lu ventu comu fa la ciunna,
currennu ‘ntra ‘dda gula, e scippa e stramma;
sdirrupa l’acqua, quannu chiovi, e l’unna
ci junci furiusa e si ‘ncaramma.

Era di notti, ‘na nuttata funna,
senza nuddu chiarìu, senza ‘na ciamma,
quannu successi ‘dda gran baraunna.

Ju ‘ntisi un gridu: – Figghia!!… – Era me’ mamma!…
E doppu mi spiriu, girannu tunna,
comu ‘na puddiredda ‘ntra la ciamma!…

Note. – Questo sonetto fu scritto appena dopo il raccapricciante disastro che colpì Modica con l’alluvione del 1902, la quale fece tante vittime e distrusse in gran parte la vecchia e ospitale città bassa. – Timpa (rupe) – Funna (profonda) – Stramma (irregolare) – S’acchiana (si monta, si va su) – Caramma (insenatura, antro profondo) – Frisca (fischia) – Ciunna (fionda) – Scippa (svelle, sbarbica, sradica) – Stramma (scombina, contorce) – Sdirrupa (precipita) – Chiovi (piove) – Unna (onda) – Junci (giunge, arriva, perviene) – Si ‘ncaramma (s’insena, si infiltra) – Funna (profonda) – Nuddu (nessun) – Chiarìu (chiarore) – Ciamma (fiamma) – Baraunna (baraonda) – Doppu (dopo) – Spirìu (sparì) – Tunna (tonda) – Puddiredda (farfallina, falena).

Il lettore sente il fischio minaccioso del vento, a mo’ di ciunna, correre veloce tra le rupi e le cave, che rendono stramma la posizione di Modica; vede quella gigantesca onda d’acqua – pure in una notte senza nuddu chiarìu – incanalarsi nella gola, e la furia che scippa e stramma. La violenza della natura domina la scena, fin quando un richiamo umano, Figghia!, riesce a farsi udire in quella baraunna; più che una invocazione di aiuto, è il grido di dolore di una mamma che sta per separarsi per sempre da una figlia. E che agli occhi di questa si disperde come una farfallina in una fiamma.

Martoglio conferma qui il suo estro letterario, con un linguaggio semplice, che l’uso del dialetto rende più incisivo e finisce con impreziosire. Dal comico al tragico, il racconto della vita quotidiana – sia di ambienti aristocratici che di quelli più umili, di fatti esaltanti come di avversità – genera sempre una fotografia fedele, espressione di un “verismo” puro. E in questa “Notti di Modica”, come in tante altre opere, l’autore riesce a trasmettere anche le emozioni di chi, come lui, possiede uno sguardo profondo.

Scriveva Luigi Pirandello, che gli fu fraterno amico (e quasi coetaneo), nella prefazione a “Centona”: «Nino Martoglio è per la Sicilia quello ch’è il Di Giacomo e il Russo per Napoli; il Pascarella e Trilussa per Roma; il Fucini per la Toscana; il Selvatico e il Barbarani per il Veneto: voci native che dicono le cose della loro terra, come la loro terra vuole che siano dette per esser quelle e non altre, col sapore e il colore, l’aria, l’alito e l’odore con cui vivono veramente e si gustano e s’illuminano e respirano e palpitano lì soltanto e non altrove… Nino Martoglio è tutta la sua Sicilia, che ama e che odia, che ride e giuoca e piange e si dispera, con gli accenti e coi modi che qui in Centona sono espressi per sempre, incomparabilmente».

Il 26 settembre 1902 Modica fu colpita da un terribile alluvione che ne deviò il destino. Due torrenti strariparono nel cuore della città con una violenza inaudita provocando una catastrofica distruzione: case e ponti furono spazzati via in pochi minuti dalla tempesta che si lasciò dietro una tragica scia di 112 morti e un numero imprecisato di feriti. Tutta l’Italia si mobilitò prontamente per quanti avevano perduto ogni cosa nel disastro, dimostrando grande solidarietà…

di Grazia Dormiente

Non appare superfluo riflettere sulla commemorazione del 119° anniversario della grande alluvione, che sconvolse Modica nel lontano 26 settembre 1902 e ne mutò il volto da “città dei torrenti” in quello di “deposito enorme di gigantesche alluvioni fantastiche” per dirla con Paolo Revelli.

Se la scenografia tardo-barocca, gemmata dal terribile sisma del 1693, determinò il radicale cambiamento della fisionomia della città medievale, a trasformare ancora una volta l’identità urbana ed i sistemi insediativi di Modica fu l’alluvione del 1902.

Il centro storico consente di recuperare la morfologia urbana medievale, determinata dalle profonde valli, un tempo solcate dal corso inferiore dei torrenti Janni-Mauro (San Francesco) e Pozzo dei Pruni, (Santa Maria) che isolavano il promontorio del Castello e la parte alta della città, difesa da mura non più esistenti. Ai piedi della precipite rupe e alla confluenza dei due torrenti che originavano il Motucano, o Fiume di Scicli, sorgevano gli altri insediamenti.

Il volto di città rupestre, ancorata agli alvei dei suoi torrenti, incanalati ed in parte coperti solo dopo la definizione urbana ottocentesca, evocò a più di un viaggiatore l’immagine della città lagunare, avvalorata anche dai ponti che collegavano gli opposti argini torrentizi. L’alveo dei torrenti costituisce perciò l’asse dell’attuale Corso Umberto: arteria principale arricchita da significativi brani architettonici, su cui reinventare il futuro della memoria.

La distruzione delle case a ridosso della Chiesa di S. Maria di Betlem

La celebrazione del 119° anniversario della tragica alluvione potrebbe essere motivata sia dal sacro ricordo che l’umano sentire suffraga, sia dalla divulgazione di relazioni tecniche, di atti parlamentari, degli scritti coevi di Giovan Pietro Grimaldi, di Giovanni De Benedictis, di Raffaele Grana Scolari, di Arturo Catanzaro, dalle corrispondenze giornalistiche del tempo e dalla splendida e coinvolgente narrazione di Giovanni Modica Scala edita nel 1969.

(da sinistra) La raccolta dei fondi per la città di Modica a Milano e la prima pagina de “Il Secolo Illustrato” del 5 ottobre 1902

Nel 2002 l’Amministrazione Comunale di Modica celebrava i cento anni della grande alluvione pubblicando il libro, “Modica: settembre 1902 i giorni dell’alluvione”, da me curato e impreziosito da immagini e documenti dell’Archivio dei Fratelli Antonio e Giovanni Di Raimondo, bibliofili e collezionisti di notevole e rara passione. Da tali fonti si ricava soprattutto il forte monito a risanare, il degrado e gli scempi orchestrati dall’incuria umana e dalla regia occulta della storia. Mitigate, probabilmente, dal fiume di solidarietà nazionale che il luttuoso evento modicano suscitò in molte città dell’Italia del primo ‘900 con la costituzione di Comitati Civici e di Passeggiate di Beneficenza che promossero la raccolta di consistenti aiuti da devolvere alla città disastrata. Sicché Milano e Palermo rifulsero con la realizzazione nel quartiere d’Oriente (“Dente”) di quella edilizia popolare, edificata nel 1903-1904 dall’Ente morale Milano – Palermo appunto, per accogliere le famiglie modicane scampate al tremendo assalto dell’alluvione.

(Sotto) il quartiere d’Oriente (“Dente”) edificato nel 1903-1904 dall’Ente morale Milano-Palermo. Sopra (da sinistra) il Comm. Carlo Castiglione del Comitato pro-Modica di Milano e il Sen. Giuseppe Tasca Lanza Presidente del Comitato di Palermo

Anche la sollecita costituzione a Modica del Comitato di Soccorso per i danneggiati della violenta inondazione merita particolare apprezzamento, non solo per la rappresentatività dei suoi componenti, ma perché configurò la sua organizzazione come esempio ante litteram di struttura di Protezione Civile. Se gli Atti del Comitato di Soccorso pei danneggiati dell’alluvione del 26 settembre 1902 in Modica, pubblicati nel 1903 dalla tipografia Carlo Papa, attestano a distanza di tempo competenza e provvida equità, le scritte della Chiesa di S. Maria di Betlem, la lapide murata nell’atrio del Palazzo San Domenico e la linea del livello dell’acqua tuttora visibile sui prospetti dei palazzi di Piazza Municipio, permangono quali segni del far memoria al di là di tutte le discusse celebrazioni.

Le cartoline illustrate provengono dall’Archivio dei Fratelli Antonio e Giovanni Di Raimondo

La stampa inglese dei primi del secolo parla dell’alluvione di Modica