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Antonio Magnano

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di Vito Castagna

Roma, 1960. Il giovane Antonio Magnano riceve una lettera dal padre. Con una calligrafia incomprensibile, gli ordina di tornare a Catania, sua città natale, e di prendere come moglie una sconosciuta.  

Questo l’incipit de Il bell’Antonio, film diretto da Mauro Bolognini e ispirato al celebre romanzo omonimo di Vitaliano Brancati. La sceneggiatura scritta a quattro mani da Pasolini e Visentini mantiene intatta quella nota di malinconica denuncia che si palesa nel libro, non tradendo quel gioco degli eccessi che lo hanno reso celebre. Perché difatti, l’Antonio interpretato da Marcello Mastroianni è considerato a furor di popolo l’uomo più bello di Catania, un Don Giovanni che non può non essere corrisposto.  

Marcello Mastroianni

Ma superata questa maschera, ci si accorge quanto il protagonista sembri indefinito, un adulto dai tratti fanciulleschi, quasi femminei. Lo spettatore si trova di fronte ad un ermafrodito”, tanto attraente quanto incapace di riprodursi.  

Ed è qui che si raggiunge il nocciolo della questione, il paradosso dell’eccesso: l’uomo più bello della città etnea, il più conteso e voluto dalle donne, è impotente. A fargli da contraltare, vi è il padre, Alfio Magnano (Pierre Brasseur), un borghese che ostenta la sua virilità, fiero delle fantasiose scappatelle che gli abitanti di Catania affibbiano al figlio. Nonostante ciò, secondo i disegni paterni, Antonio dovrà sacrificare la sua bramosia d’amore per un matrimonio di convenienza, quello con Barbara Puglisi (Claudia Cardinale), appartenente ad una delle famiglie più influenti della città.  

Claudia Cardinale e Marcello Mastroianni

Le premesse non sembrano delle migliori ma l’amore tra i due attecchisce. Eppure, non è destinato a durare.  

Con questa pellicola, Bolognini apre un solco nella società siciliana, palesando le insicurezze celate dietro un ipocrita machismo. Antonio è un diverso in un mondo che riconosce la sessualità solo come atto fisico e lui, in quanto impotente, non può essere considerato uomo. 

La sua impotenza è uno stigma così infamante, da superare di gran lunga quello del “cornuto”.  

Lo stesso amore di Barbara viene travolto dalle ingiurie, il suo rifiuto al marito è patrocinato dalla Chiesa che è disposta a sciogliere il vincolo del matrimonio. Un altro paradosso: come si può spezzare ciò che non può essere spezzato?  

A nulla vale la strenua e inutile opposizione del padre di Antonio alle malelingue. In verità, non è rivolta al bene del figlio, bensì alla salvaguardia del proprio nome perché, rispettando la verticalità patrilineare, l’onta dell’impotenza discende dal figlio al padre, infestando l’intero albero genealogico.  

Solo la madre del ragazzo (Rina Morelli), ne ricerca le cause frugando nel campo dei sentimenti, ma la sua è una reazione di difesa inconscia di Antonio, un afflato di maternità, non un rifiuto consapevole al preconcetto in quanto tale.  

In questo film, Mastroianni sveste i panni del latin lover che gli erano stati cuciti addosso. Nella sua biografia, scritta da Matilda Hochkofler, dirà: «Le proposte che avevo avuto dopo La dolce vita erano tutte da conquistatore, da amatore che batte i locali notturni. Amai subito demolirla questa immagine […]». 

Marcello Mastroianni

L’interpretazione di Claudia Cardinale non sfigura di fronte al divo: incantevole e gelida, risoluta e ottusa. Anche la sua Barbara è una perdente, schiacciata dai disegni della propria famiglia.  

La macchina da presa di Bolognini inquadra Claudia e Marcello in nuove pose, si sofferma sui primi piani, sugli sguardi silenti. Dedica caroselli alla Catania barocca, di via dei Crociferi e di porta Garibaldi.  

Chi pensa che Il bell’Antonio sia una critica contro l’ostentata virilità siciliana, che tanto facilmente parlava di onore, si sbaglia. Come già detto, questa pellicola ha il pregio di muoversi per eccessi: il più bello ma impotente viene calato in una delle realtà più retrive, affetta dalla chiusura isolana. In fondo, qui vi è l’affresco di «una Sicilia metafora del Mondo», di una repulsione nei confronti del diverso che unificava la Penisola.  

 

Recensione precedente – Il signore delle formiche