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Arcibessi

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di Redazione

Una delle figure più originali del panorama imprenditoriale chiaramontano del dopoguerra è stato di certo il Cavaliere Giovanni Alescio. Uomo di grandi idee, che seppe navigare gli anni difficili della miseria e dell’arretratezza del primo dopoguerra, quando in Sicilia mancava di tutto, cavalcando poi da protagonista gli anni del boom economico, fino al fisiologico declino dei primi anni ’90.

Giovanni Alescio

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La sua idea geniale di aprire un hotel-ristorante sull’incantevole monte Arcibessi diede grande notorietà a tutta la comunità chiaramontana, fino al punto di diventare un “must” nel suo genere. Punto di riferimento per l’intera Sicilia sud-orientale degli anni ’70-’80

Nasce a Chiaramonte nel 1920, il Cavaliere, e qui trascorre tutta la sua infanzia fino alla leva militare obbligatoria con destinazione Padova. Il periodo non era certo dei più felici. Spiravano fortissimi i venti di guerra che avrebbero sconvolto il mondo intero da lì a poco e travolto l’Italia fascista nella rovinosa guerra mondiale. Così giocoforza rimase lontano dal paesello natio fino alla fine delle ostilità.

Seconda guerra mondiale. Padova bombardata

Eppure in quegli anni difficili, sotto le armi, sviluppò la passione per il legno imparando il mestiere di falegname. Abilità che lo salvò dalla partenza per il fronte di guerra in Russia.

A salvarlo fu il casuale regalo di una culla di legno per il figlio appena nato della famiglia del Comandante della caserma, in cui era di stanza. Da quel momento diventerà il falegname di casa del Colonnello. L’arte a volte può salvare la vita.

Una falegnameria degli anni ’40

Tornato a Chiaramonte dopo sette anni, l’idea di aprire una falegnameria gli venne naturale, specializzandosi soprattutto nella costruzione di giocattoli di legno per bambini (ovviamente la plastica non esisteva a quel tempo). In quel frangente della sua vita conosce anche la simpatica Rosa Morales, donna intelligente, di spiccata personalità, capace di aiutarlo nella gestione delle sue attività commerciali. La sposerà nel febbraio del 1947 e dal loro amore nascerà prima il figlio Vittorio e poi la figlia Enza.

Giovanni Alescio insieme alla moglie Rosa Morales

In quegli anni il mestiere di falegname cominciò a stare un po’ stretto al nostro giovanotto dalle tante idee che, in un paesino mancante di tutto, si inventò la prima sala matrimoni. Si trovava nella palazzina della sua stessa abitazione, in via  San Giovanni 24, primo piano, angolo via Terlato. Sala che divenne presto gettonatissima in paese, essendo un’assoluta novità.

La casa dove il Cavaliere aprì la prima sala matrimoni

Un’idea che nella testa del Cavaliere si evolverà, come vedremo, fino ad assumere le sembianze del progetto dell’hotel-ristorante “La Pineta”, a fine anni ’60. Le migliorate condizioni economiche nell’isola avevano creato infatti un ricco mercato. Le famiglie cominciavano a spendere senza risparmio per i sontuosi ricevimenti dei matrimoni dei figli.  Questione di status sociale.

Giovanni Alescio con la famiglia al completo

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Torniamo a fare un passo indietro a fine anni ’40. Il nostro Vannino insieme alla moglie apre un negozio-bazar in  via San Vito, angolo piazzetta San Paolo, dove vendeva un po’ di tutto: dall’insetticida DDT, alla ferramenta, alle bombole di gas, fino ai materiali edili e persino le casse da morto che produceva lui stesso.

I coniugi Alescio nel negozio di via San Vito angolo piazzetta San Paolo

La chiesa mezza diroccata e sconsacrata di Santa Elisabetta era il suo deposito, poco più in basso nella stessa via San Vito. Qui erano nate le storie fantasiose su misteriose apparizioni di fantasmi e di anime dannate urlanti di dolore. E si favoleggiava in paese pure di “truvature” (tesori) che Vannino avrebbe lì scovato. Ovviamente leggende tipicamente paesane inventate soprattutto per invidia nei confronti di un uomo che stava dimostrando una certa abilità negli affari.

L’antica chiesa di Santa Elisabetta (non più esistente) in una tela di Carmelo Battaglia

Per le consegne a domicilio delle bombole del gas il Cavaliere aveva assunto Benito, un ragazzone veneto sempre allegro e simpatico a tutti che parlava un dialetto incomprensibile alla gran parte dei chiaramontani. Era uno di quei profughi dell’alluvione del Polesine del 1951, un’immane tragedia che aveva sconvolto un paese ancora alle prese con le profonde ferite lasciate dal conflitto bellico.

L’alluvione del Polesine del 1951

“Sembrava apparso dal nulla come portato dalla corrente impetuosa del fiume Po fino alla nostra lontanissima terra”, racconta Pippo FaillaGirava giornalmente per tutta Chiaramonte con una nuova “Ape Piaggio” stracarica di bombole per consegnarle a domicilio. Poi misteriosamente scomparve alla stessa maniera di come era apparso. Non si seppe più nulla di lui.

Un’Ape Piaggio come quella che guidava Benito

Una ne pensava e cento ne faceva, Vannino Alescio. Così in via Ciano aprì una moderna fabbrica per realizzare mattonelle di marmo e cemento e, nella strada che conduce al Santuario di Gulfi, insieme ad un socio, si inventò un Frantoio per la macinazione delle pietre.

Dalla vendita di materiali edili all’impresa edile il passo fu breve. Negli anni ’50 cominciò a costruire case e palazzine sia a Chiaramonte che nel comune limitrofo di Giarratana. Gli affari andavano a gonfie vele e le sue attività d’impresa riuscirono a dare sollievo alle diverse famiglie dei propri dipendenti, in un periodo di gravi difficoltà economiche e di tassi di emigrazione spaventosi.

Sulla sinistra si vede il vecchio frantoio di macinazione delle pietre nella strada che conduce al Santuario di Gulfi

Eppure l’apertura di un grande ristorante, come ricorda la figlia Enza, rimaneva sempre il suo più grande desiderio. E quel sogno in effetti si materializzò nel 1968. Lì dove l’aria era più pura e con una vista mozzafiato. Nella primavera di quell’anno fu posata la prima pietra per la costruzione de “La Pineta”. Un progetto, come detto, rivoluzionario ed innovativo per i tempi e realizzato nel cuore della pineta sul monte Arcibessi, a pochi passi dalla chiesetta della Madonna delle Grazie.

La posa della prima pietra nel 1968

Venne innaugurato la sera del 31 Dicembre 1970 con il cenone di San Silvestro e fu subito un grande successo. Gli sposini accorrevano da tutta la Sicilia sud-orientale per intrattenere i loro numerosi ospiti in quella grande sala con vista mozzafiato, che in breve divenne conosciutissima.

L’hotel-ristorante “La Pineta”

In quegli anni il Cavaliere gestì la struttura con sagacia investendo ingenti risorse per farla conoscere in tutta la Sicilia orientale. A tale scopo non si risparmiò nell’invitare le migliori vedette dello spettacolo per le speciali serate che spesso organizzava: da Pippo Baudo a Nuccio Costa, da Domenico Modugno e Claudio Villa a Fred Bongusto e Ornella Vanoni, da Marcella Bella e Lara Saint Paul a Guido Renzi e i Dick Dick fino al tenore Placido Domingo. Furono tantissime le star dell’epoca che transitarono per Chiaramonte.

Nella seconda metà degli anni ’70 “La Pineta” ospitò persino una squadra di calcio di serie A per la preparazione estiva: la famosa Lanerossi Vicenza di Gian Battista Fabbri e del giovanissimo campione Paolo Rossi, poi diventato protagonista assoluto del vittorioso “Mundial” spagnolo del 1982.

Il Lanerossi Vicenza della stagione 1977/78

Per primo venne inaugurato il ristorante-sala trattenimenti. Poi nell’estate del 1974 toccò sia all’Hotel che alla discoteca Popi-Popi: una delle prime della provincia iblea. Nata dalla estrosa voglia del Cavaliere di stupire, l’originalissimo design degli interni fu opera della geniale matita di Roberto Guastella, artista fuori da tutti i canoni, coadiuvato dal compianto Giovanni Bertucci.

Il compianto Giovanni Bertucci e la moglie in un brindisi. Al suo Studio Tecnico si deve il design della Discoteca PopiPopi

Il giorno dell’inaugurazione era numerosissimo il pubblico presente, anche per l’occasione di una selezione organizzata per la finale di “Miss Italia”. Data l’importanza dell’evento venne chiamato a presentare la serata il famoso presentatore TV Nuccio Costa.

Nuccio Costa, il terzo da destra, il giorno della selezione per la finale di Miss Italia

“Tutto era pronto – ricorda Pippo Failla – ma si tardava incomprensibilmente a dare inizio all’evento. Il Cavaliere era stranamente agitato e nervoso e ad un certo punto gli abbiamo chiesto spiegazioni. Visibilmente arrabbiato ci rispose che il ritardo era dovuto ad un errore della Prefettura di Ragusa che non aveva mandato in tempo i documenti per l’agibilità della discoteca. Nessuno dei presenti si arrese al problema burocratico, tanto meno il Cavaliere che ad un certo punto ruppe gli indugi e diede inizio ugualmente alla serata, anche senza il nulla osta della Prefettura“.

Marcella Bella con la Signora Maria Morales, cognata del cav. Alescio

La città di Chiaramonte fu spesso all’avanguardia della provincia iblea quanto a novità e idee a quel tempo. Le prime serate di carnevale, ancorché in piazza, si organizzarono proprio nei locali de “La Pineta” con grande successo di pubblico. Così come molti “the danzanti” delle scuole superiori iblee al PopiPopi e le notti magiche dei cenoni di fine anno nella grande sala ricevimenti. I clienti arrivavano sempre numerosi da mezza Sicilia.

Ornella Vanoni mentre canta nei locali de “La Pineta”

Gli anni d’oro furono certamente gli anni ’70, poi dalla seconda metà degli anni ’80 cominciò un lento quanto inesorabile declino fino alla chiusura avvenuta nel 1994. Nulla è per sempre. Il Cavaliere Alescio venne a mancare all’alba del nuovo millennio, come a voler sottolineare che quello non era più il suo secolo. 

Vannino Alescio e la Moglie Rosa negli anni ’80

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Si ringraziano per la gentilissima collaborazione e le foto: Enza Alescio, Erika Interdonato e Pippo Failla

di Giannandrea Giallongo

Chiunque si trovi a passare dalla Piana Comiso-Vittoria-Acate, guardando verso i rilievi collinari sullo sfondo, non può non essere catturato dalla cromaticità del marrone dei campi, dell’argento degli ulivi e del verde brillante della selva iblea. Da questo affascinante quadretto risulta evidente come la tipicità della natura dei luoghi si intrecci in qualche modo con la vita dei cittadini iblei.

Tra la selva dei monti si articola fitta una rete di sentieri e alcuni di essi nascondono piccole meraviglie paesaggistiche. Una tra queste è costituita dai ruderi della ferrovia Siracusa-Bivio Giarratana-Ragusa, una linea a scartamento ridotto, che tra le varie stazioni vantava pure la Necropoli di Pantalica.
Nel tratto che va dal bivio di Giarratana alla vecchia stazione di Chiaramonte i binari si snodano meravigliosamente tra i crinali attraversando prima Monte Lauro e poi l’Arcibessi, dove si insinuano tra trincee e gallerie.

Tunnel noti ai tanti ciclisti che in sella alle loro mountain bike pedalano tra pietre e fossi, salite e discese, varcando poi il ruscello fino a giungere su quella che fu la strada ferrata, attraversata un tempo da altre ruote e altri uomini, forse in una seduta leggermente più comoda. 

La suggestione è forte, buche e sussulti in velocità, luce e ombra che si alternano così come il caldo estivo e la fresca umidità celata nel buio delle gallerie, nella cornice di una natura che lentamente, seguendo le stagioni, si appropria di ogni spazio tra le pietre degli archi e i bordi dei sentieri. Arrivarci vale tutte le salite che aspettano poi i bikers sulla via del ritorno.

Non è però nota a molti la via per giungervi, poche sono le persone che sanno come e da dove arrivarci. E le rare cartine disponibili rivelano informazioni lacunose per i neofiti che si volessero avventurare alla scoperta dello stesso percorso attraversato da Re Vittorio Emanuele III in treno nel lontano 1933.

Oggigiorno tutti parliamo di ecoturismo e riscoperta del territorio. Bene. Qui ne abbiamo un affascinante esempio e basterebbero piccole accortezze per renderlo pienamente fruibile.

Non mi riferisco alla bonifica del sentiero e, per carità, nessun parquet o cemento. Fossi e rovi sono parte del paesaggio naturale, così come restaurare radicalmente le gallerie ci priverebbe dell’effetto “ruderi antichi” togliendo misticità al posto.

Qualche segnale qua e là lungo la via, invece, non deturperebbe la vista, anzi permetterebbe un migliore orientamento. Così come sarebbe il caso che si provvedesse a dare indicazioni sulla durata dei tratti, in bici e a piedi, per una più consapevole fruibilità a ciclisti e appassionati di trecking.

I diversi percorsi potrebbero essere nominati in base agli elementi caratteristici dei luoghi, prevedendo anche altre informazioni e curiosità che andrebbero a stuzzicare occhi curiosi e intraprendenti.

Basterebbero insomma piccoli investimenti eseguiti con costanza per ampliare il movimento di interesse che ruota attorno al bosco e a trasformarlo in una risorsa per l’intera comunità.

Bisogna soltanto saper copiare dagli esempi virtuosi che esistono da sempre nelle regioni nordiche come il Trentino Alto Adige, che ha saputo coniugare sapientemente turismo, impresa e rispetto per la natura.

Noi avremmo anche il vantaggio di un clima favorevole tutto l’anno. Fattore che si potrebbe rivelare determinante nella competizione con i paesi nordici. Peccato che manchi del tutto la volontà politica (a cui si somma l’ostacolo di una burocrazia contraria a qualsivoglia novità) per dare una reale svolta a un colpevole immobilismo che dura ormai da tempo immemore.