di Redazione
Numeri spaventosi. Sessantotto (68) sudici dall’inizio dell’anno nelle nostri carceri. Pensiamoci. Bisogna riflettere su quello che sta accadendo. A due terzi dell’anno in corso, è già stato superato il totale dei casi del 2021, pari a 57 decessi. È quanto emerge dal dossier sui suicidi in carcere nel 2022 realizzato dall’Associazione Antigone onlus, che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale. I numeri di questi dieci mesi generano un vero e proprio allarme, non avendo precedenti negli ultimi anni. Finora il numero più alto mai registrato era quello del 2010, con 45 casi di suicidio: 23 in meno rispetto ad oggi.
Delle 68 persone che si sono tolte la vita in carcere nei primi 10 mesi di quest’anno, 4 erano donne: un numero particolarmente alto se consideriamo che la percentuale della popolazione detenuta femminile rappresenta solo il 4,2% del totale. Ancora più impressionante se paragonato agli anni passati. Secondo i dati pubblicati dal Garante Nazionale, sia nel 2021 che nel 2020 soltanto una donna si era tolta la vita in carcere. Nel 2019 non si era verificato invece nessun caso di suicidio femminile.

Sul fronte anagrafico, l’età media delle persone che si sono tolte la vita è di 37 anni. La fascia più rappresentata è infatti quella tra i 30 e i 39 anni, con 28 casi di suicidi. Segue quella dei più giovani, con 17 casi di suicidi commessi da ragazzi con età comprese tra i 20 e i 29 anni. Vi sono poi 14 decessi di persone tra i 40 e i 49 anni e 9 decessi di persone dai 50 anni in su. I più giovani in assoluto erano due ragazzi di 21 anni, detenuti nelle Case Circondariali di Milano San Vittore e Ascoli Piceno. Il più anziano era un uomo di 70 anni detenuto nella Casa Circondariale Genova Marassi.

Queste tragedie fanno rimanere attonite le persone perbene, tranne i politici. L’ennesima tragedia nelle carceri italiane di cui la politica politicante, quella che si scanna tra tweet e devianze, non sembra volersi occupare. Nessun commento, nessuna riflessione: “Non è stato tema da campagna elettorale”, dice a “Il Foglio” il Garante dei diritti delle persone private della libertà. E le ragioni di questo scollamento, spiega Mauro Palma, in carica fino al prossimo febbraio, sono almeno tre: “C’è disinteresse perchè è un settore che non porta voti e consensi. C’è la miopia di gran parte della politica, che non si proietta in avanti ma guarda solo l’immediato, rinunciando a ridurre i costi che il mancato reinserimento dei detenuti produce, sul piano sociale, sanitario e su molti altro livelli”. E c’è poi un terzo tema: “Aver reso il carcere terreno di scontro ideologico. Da un lato sembra si voglia tutti fuori, dall’altro tutti dentro a marcire, buttando via la chiave”.

È chiaro allora che partendo da queste basi un dibattito efficace diventa impossibile. “Bisogna porsi su un altro piano, perché se il diritto penale non riesce a costruire anche percorsi di positività, a riaffermarsi come strumento sussidiaro insieme ad altri modelli di regolazione sociale, è inutile”, argomenta Palma. Il carcere “andrebbe depurato di questo elemento di rappresentazione simbolica. Non serve l’approccio duro, né quello troppo compassionevole, ma ragionare in termini di funzionalità”. A questo proposito Palma individua e suggerisce le tre priorità che tutti partiti potrebbero inserire nelle loro agende: “Un investimento culturale, ovvero istruzione e formazione massiccia all’interno delle carceri. Su quasi 55mila detenuti ce ne sono 1.200 che frequentano l’università ma anche 900 analfabeti”.

C’è poi una dimensione che non riguarda direttamente i detenuti, ma risulta comunque decisiva per la vita negli isituti di reclusione: “Una verifica delle competenze e una revisione dei regolamenti interni, che riservi maggiore attenzione alle necessità di chi è recluso e potenzi tutti i percorsi di connessione con il mondo esterno. È necessaria una maggiore presenza di operatori sociali. Compiti che oggi vengono a volte ricoperti dalla polizia penitenziaria che, oltre al ruolo di sorveglianza, finisce per farsi carico di altri tipi di problemi per i quali non è preparata”.

Infine, conclude Palma, bisognerebbe istituire delle “Case di controllo e accoglienza, con il supporto e la responsabilità dei sindaci”. A beneficiarne sarebbero tutte quelle persone che “non accedono a misure alternative in quanto senza fissa dimora, pur avendone diritto. Una situazione che riguarda migliaia di detenuti con pene brevi. Sarebbe anche una risposta al sovraffollamento e permetterebbe di restiruire centralità ai territori”.
Meno strumentalizzazioni, più soluzioni: i politici prendano nota. Forse è arrivato il momento di modificare radicalmente l’assetto carcerario italiano, sviluppando nuove prospettive di reclusione e rieducazione. Ma questi propositi sono rimasti prigionieri dei nostri pregiudizi.