di Olga Maerna
Il conflitto fra Ucraina e Russia si è riaperto, e domina le prime pagine dei giornali e le home page dei siti di informazione ormai da qualche settimana. Fiumi di inchiostro e di caratteri vengono spesi per analizzare la situazione, per studiarne i protagonisti e per cercare di prevederne i possibili risultati.

Tuttavia, già affermare che il conflitto si sia “riaperto” non è del tutto esatto: la guerra iniziata dal 2014, anno degli eventi di piazza Maidan, non è mai finita. Per quanto lontano dai riflettori e dalle prime pagine, è da allora che nel Donbass si combatte – un lento e logorante conflitto che vede non solo contrapporsi gli interessi dei due Paesi coinvolti (Ucraina e Russia), ma anche i sogni, gli interessi e le speranze di chi in quella terra vive da decenni.
Dopo l’annessione (o la “conquista”, o “appropriazione”, o “invasione” – la parola usata dipende dall’ideologia a cui ci si appoggia) della Crimea, le ostilità tra i due Paesi non sono terminate, e ricordarsene solo allo scoppio di una fase più severa del conflitto non permette di comprenderne la complessità.

Ma veniamo ai fatti più recenti, e alle loro possibili conseguenze: cosa succederà nelle prossime settimane (per quanto secondo diversi politologi e osservatori si tratti in realtà di una questione di giorni)?
La prima ipotesi, quella che ha suscitato i titoli più appariscenti, è sicuramente quella che vedrebbe la Russia impegnata in un’invasione dell’Ucraina in grande stile. Un attacco in piena regola, fatto con dispiegamento dei mezzi e delle truppe che già da qualche tempo vengono spostati e preparati lungo il confine.

Uno scenario del genere sembra però poco probabile – smentito dallo stesso presidente Putin, non supportato nemmeno dal governo ucraino. Per quanto la politica del Presidente russo non sia certamente incentrata sempre alla pacatezza, un’azione di questo tipo, così violenta e aperta, non converrebbe nemmeno alla Russia, in primis.
La risposta delle potenze occidentali, oltre che militare, sarebbe anche di natura politica ed economica: la Russia verrebbe tagliata fuori da qualsiasi tipo di relazione con i Paesi UE e NATO, perdendo di fatto anche importanti partner commerciali e ritrovandosi in una situazione politico-economica decisamente difficile.

Nelle ultime settimane in Italia si è tanto parlato della questione del gas: cosa succederebbe se, in caso di conflitto, la Russia “chiudesse i rubinetti” e togliesse all’Europa le forniture?
Le conseguenze senza dubbio metterebbero in serie difficoltà diversi Paesi dell’Europa occidentale, che dalla Russia di fatto dipendono per l’approvvigionamento di questa materia prima. Occorre però rendersi conto di quali sarebbero i danni che una chiusura di questo genere porterebbe anche alla Russia, e di come questo contribuisca a smentire questa ipotesi.

Un secondo scenario è quello che vede Putin interessato più che altro a mostrare la propria forza, senza però voler procedere davvero con un attacco armato in grande stile. Ciò che secondo alcuni interessa davvero al presidente russo è intimorire gli Stati Uniti e la NATO con l’ipotesi di un possibile attacco, ma solo per potersi poi trovare in una situazione di vantaggio diplomatico e avanzare così maggiori pretese a un tavolo di trattative.
Anche perché, secondo alcuni osservatori, gli Stati Uniti non sarebbero davvero pronti a entrare in campo a supporto di Kyiv, e stanno solo sfruttando la situazione per tenere testa alla Russia.

A questo punto bisogna allora ricordare quali siano le tre principali forze coinvolte nella vicenda. Per quanto il conflitto venga presentato come una contrapposizione tra Russia e USA (e di conseguenza tra Russia e NATO), occorre considerare il terzo polo del triangolo: l’Ucraina.
Ridurre il Paese a un semplice oggetto della contesa tra due superpotenze è riduttivo, oltre che irrispettoso nei confronti di una terra che ha la propria dignità e la propria autonomia, e che troppo spesso viene relegata al ruolo di terreno di scontro tra “grandi”.

Ricordiamo che dietro a ogni guerra, dietro a ogni titolo di giornale o conferenza stampa, ci sono persone reali, giovani che si arruolano e partono per combattere (spesso poco più che ragazzini), famiglie distrutte da un conflitto che, anche se spesso ce ne dimentichiamo, va avanti da anni e affonda le proprie radici in qualcosa di molto più profondo.

Il Donbass, così come tutto l’est dell’Ucraina e la Crimea, sono territori tradizionalmente abitati da una popolazione che è civilmente ucraina, ma che in diversi casi si sente culturalmente russa. Sempre che poi sia possibile distinguere tra i due aspetti in una terra in cui i confini tracciati sulla carta sono sempre stati profondamente mutevoli. Una terra in cui, a prescindere dal lato del confine in cui si vive, si è profondamente legati a ciò che succede dall’altra parte, dove magari vivono parenti e amici. Una terra in cui non sempre è facile distinguere tra “noi” e “gli altri”, perché per molte famiglie questa divisione non ha nemmeno senso, almeno tanto quante per altre può essere una questione di vita o di morte.

Se allora vogliamo provare a comprendere cosa sta succedendo in Europa orientale e a immaginare i prossimi sviluppi, non possiamo prescindere dal tenere in considerazione questa dimensione così quotidiana e umana.
Il rischio, altrimenti, è quello di ragionare come se stessimo facendo una partita a Risiko: parlando di eserciti, ma non di persone.