di L’Alieno
“La situazione è grave ma non è seria“. Sentenziava così Ennio Flaiano che sapeva bene di che pasta è fatto l’italiano. In Sicilia, poi, figuriamoci. Le nostre storie assumono i connotati della farsa e della tragedia allo stesso tempo, in una dimensione di nebbie perenni dove la verità appare sempre come l’unica vittima, inconoscibile, insondabile.
Non è un caso del destino che qui siano nati il relativismo del “così è se vi pare” del girgentino Pirandello e, ben prima, il nichilismo del “nulla è, e se anche qualcosa fosse non sarebbe conoscibile…” del filosofo lentinese Gorgia. Potreste mai immaginare due tipi che dicono cose così nati in Germania? Non sarebbe credibile.

E bisognerebbe ricorrere proprio a Pirandello e Gorgia per tentare di spiegare il come si è arrivati al crollo drammatico, di qualche giorno fa, di tre arcate della fornace Penna a Scicli. Una tipica storia contorta, intricata e ingarbugliata, per uno degli esempi più rari e affascinanti di archeologia industriale. Qui il tempo si fermò in un freddo fine gennaio del lontano 1924, per colpa di un incendio doloso senza responsabili (poteva essere diversamente?).

Voluta sedici anni prima, nel 1908, dal Barone Guglielmo Penna, era una fiorente e moderna industria capace di produrre una decina di migliaia di pezzi al giorno tra tegole e mattoni da esportare nei paesi della costa mediterranea. Dopo l’incendio solo buio pesto che dura tutt’ora tra la numerosa proprietà degli eredi Penna da una parte, interessati soltanto a fare cassa, e dall’altra l’annosa inefficienza e sciatteria di politica e burocrazia.
Inutile tentare di capire tra vincoli, sequestri, denunce, cause e ricorsi dalla durata infinita. Impossibile venire a capo di torti e ragioni che ancora impediscono di mettere in sicurezza il prezioso rudere e acquisirlo ai beni dello stato.
La “basilica laica” sul mare del Pisciotto, ovvero “la Mannara” della fortunata fiction del Commissario Montalbano, difficilmente potrà essere sottratta all’amaro epilogo. Siamo terra di tragedie.
foto banner di Marco Cupi (da flickr.com)