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Barone Saverio Nicastro del Lago

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di Giuseppe Cultrera

Nell’area iblea la personalità e l’opera del letterato Serafino Amabile Guastella (Chiaramonte 1819 – ivi 1899) fu predominante nella seconda metà dell’Ottocento. Molti dei suoi discepoli ne furono influenzati. Specialmente Saverio Nicastro del Lago, anche lui scrittore e poeta, che progettò e curò l’opera omnia. Editore ne fu il compaesano Giuseppe Vacirca (1891 -1966) che con il giovane aiutante Giovanni Fornaro (1912 – 1996), gestiva una piccola tipografia di Chiaramonte, già appartenuta ai Fratelli Ferrante.

L’opera prevedeva tre volumi di grande formato di circa 300 pagine ciascuno. In realtà venne stampato solo il primo volume e fu (mi raccontava don Giovannino Fornaro che ne fu il diuturno compositore) un flop; anche l’intervento economico del “Sindacato Autori e scrittori della provincia di Ragusa”, garantito dal Nicastro, si rivelò fittizio.

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S. A. Guastella. Stampa colorata di G. Puccio. 1899. – Copertina del primo volume delle OPERE del Guastella.  Ritratto fotografico di Saverio Nicastro del Lago

Di stampare gli altri due volumi, pertanto, non se ne parlò più.

Anzi quella catasta di quinterni da rilegare, man mano che arrivavano le richieste di copie, divenne d’impaccio nei locali, mai abbastanza capienti per la tipografia.

Sicchè un giorno –me lo raccontava, parecchi anni fa, lo stesso don Giovannino che era divenuto proprietario – si stufò di quel cumulo ingombrante di carta stampata che sottraeva spazio al lavoro e alle macchine:

 «Lo regalai al vittoriese della pescheria di S. Giuseppe, che spesso veniva in tipografia a chiedermi ritagli di carta inutilizzabili. Per un paio di giorni trafficò a svuotare l’angolo dove c’erano oltre 500 copie, in migliaia di ottavi sciolti».

Così i quinterni del primo volume dell’Opera omnia del Guastella finirono nella pescheria di don Neli per un uso che è facile intuire. Le sparute copie, in giro, restano a testimoniare un’utopia. Come, la fine esemplare delle altre, il limite di ogni progetto culturale. E un monito.

Il ministro di Berlusconi sintetizzava: Non è che la gente la cultura se la mangia! Che poi è l’ironico e caustico “carmina non dant panem” dei latini. (Ecco perché è un peccato trascurare lingua e cultura latina. Ma è inopportuno rammentarlo a quanti, inopinatamente, si sono occupati di scuola e beni culturali).

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