di Mimmo Arezzo
Non c’è nulla di peggio che cercare di ridurre troppa verità a uno slogan. “La matematica non è un’opinione” o “tutto è relativo”, sono affermazioni che da sempre hanno dato da mangiare a stuoli di presuntuosi che credono di sfoggiare una cultura che non hanno. Tanto sono frasi fatte per sostenere la qualsiasi cosa.
Gli esempi, al riguardo, sono veramente tanti. Partiamo da uno proprio “fondazionale”. Fra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900, fu grande il fermento intorno ai fondamenti della Matematica e del sapere. Nacquero le teorie assiomatiche di quasi tutti i rami della Matematica, proprio intesa come schema e palestra del pensiero universale.

Un grande logico tedesco, Gottlob Frege (1848-1925), ebbe l’idea di fondare tutto il sapere sul concetto di insieme. Mentre il nostro bravo (torinese) Giuseppe Peano (1858-1932) aveva costruito un insieme di assiomi per i numeri naturali abbastanza complesso, basato sul concetto di successivo (che è quello che ci permette di contare) e gli scrisse una (o più) lettere nelle quali gli diceva in sostanza: “Io non so dove, ma sento che nel tuo sistema c’è un errore di fondo. Perché tu dici (bene) che cosa sia un numero, che da solo non ti fa contare, mentre il mio sistema si basa proprio sul fatto che con i numeri (naturali) si conta”.

Nel 1905, stesso anno della nascita della relatività, il filosofo inglese Bertrand Russell (1872-1970) trova il baco nella costruzione di Frege, che scrive la sua famosa prefazione: “Poche cose possono essere più sgradite a uno scienziato che vedere la propria costruzione crollare sotto il macigno di un paradosso. Sono stato messo in questa condizione dalla lettera di un giovanotto inglese … – Russell aveva in realtà 33 anni – Pubblico ugualmente il mio volume perché l’esperienza sia di monito per le generazioni future …”. Ma abbandonò il suo programma e tornò a fare il logico; e noi oggi studiamo ancora i numeri naturali secondo l’impostazione di Peano.

Arrivai a Genova, nel 1966, preceduto da una immeritata fama, perché passato da Fisica a Matematica non sopportavo più la prima (come per i matrimoni …) e invece di preparare meglio gli esami di Fisica, che pure dovevo fare, andavo avanti nella ricerca messa su nella tesi di laurea, che era diventata un monumento e fu pubblicata negli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa.
A Genova trovai Direttore Eugenio Togliatti, il fratello di Palmiro, ma totalmente disinteressato alla politica. Ormai anziano, era stato un buon geometra, epigono della grande scuola italiana della prima parte del secolo ed era un’arca di scienza. Prendere il caffè insieme a lui era uno spettacolo, perché dalle tasche gli cadevano aneddoti meravigliosi come quello della lettera di Peano a Frege. Lui, che era torinese, si era laureato con un allievo di Peano e quindi mi sembrò di ricevere da lui notizie di prima mano, una specie di “Tutto il calcio minuto per minuto” scientifico, riservato a me.

Mi disse che c’era un libro, ormai raro, sul carteggio epistolare fra Peano e Frege e lo comperai subito; ma quella lettera non la trovai. Forse Togliatti aveva espresso una sintesi del concetto che si trovava sparso in un più ampio carteggio. Frege definiva il numero così: il numero 5, per esempio, è l’insieme di tutti gli insiemi che sono in corrispondenza biunivoca con l’insieme delle dita di una mano. Ci sono mille ragioni per considerare meravigliosa questa definizione (magari ne parliamo un’altra volta).
Ma, come diceva Peano, come si passa dal 5 al 6? (ed è proprio questo che ci permette di contare). La definizione di Peano diceva invece: chiamiamo insieme di numeri naturali un insieme N che ha un elemento 0 e una funzione s (come “successivo”) che ad ogni elemento di N associa un elemento di N (detto successivo di n) in modo
tale che:
– elementi distinti hanno successivi distinti
– 0 non è successivo di alcun elemento di N
– se H è un sottoinsieme di N che contiene 0 e di ogni suo elemento contiene anche il successivo, H coincide con N.
Sembra più farraginosa, e per l’insegnamento elementare lo è (verrebbe voglia di insegnare ai bambini quella sbagliata, se la cosa non fosse immorale) ma per esempio l’ultima proprietà è uno strumento di definizione e di dimostrazione
formidabile, che si chiama “principio di induzione”.