Continua la carrellata di brani musicati dal nostro amico Raffaele Buscema. Dopo “Ti vidi appena!” e “Pepita”, il musicista di Modica ha messo in musica il brano “La Penitente”, ancora una volta composto dal compositore catanese Salvatore Pappalardo, con testo di Serafino Amabile Guastella (sulla collaborazione tra i due, si rimanda a “Il Guastella che non t’aspetti. L’Amabile paroliere”).
“La Penitente” è una melodia per voce di Soprano o di Tenore, con accompagnamento di Pianoforte o Violoncello, dedicata alla Sig.ra Mariannina Finati, Soprano impegnata nei teatri di Napoli, città presso la quale, in quegli anni, lo stesso Pappalardo operava. L’opera fa parte della raccolta di sei melodie Brezze del Sebeto, edita nel 1846, dallo Stabilimento Nazionale Privilegiato di Giovanni Ricordi, avente sede a Milano nei pressi del celebre Teatro alla Scala.
La Penitente
Quando innanzi la tua mente nelle preci degli altari, dal tuo chiostro penitente un pensiero a me verrà… ah! il pensier de’ giorni amari che sull’alma a me scagliasti quando agli angioli sacrasti la tua vergine beltà. l pensiero dei giorni amari che sull’alma a me scagliati quando agli angioli sacrasti la tua vergine la tua vergine beltà. Or ricinta dal tuo velo le tue trecce offristi a Dio! perché mai disciolse il cielo quel che in terra amor lego? Ah! di quai falli or paghi il fio se niun fallo in te s’accolse? Odio il ciel che a me ti tolse e al dolor mi condannò. Di quai falli or paghi or paghi il fio se niun fallo in te in te s’accolse? Odio il ciel che a me ti tolse e al dolor mi condannò, odio il ciel che a me ti tolse e al dolor mi condannò! si al dolor mi condannò! ah sì mi condannò!
Facendo seguito all’articolo pubblicato domenica scorsa, il musicista modicano Raffaele Buscema ha musicato lo spartito di “Pepita”, componimento nato dalla “anomala” collaborazione tra il compositore etneo Salvatore Pappalardo e lo scrittore e studioso di tradizioni popolari Serafino Amabile Guastella. Collaborazione cui è dedicato il nostro contributo dal titolo Il Guastella che non t’aspetti. L’Amabile paroliere.
Pepita è un Bolero per voce di Basso o di Contralto, “con accompagnamento di solo Pianoforte e di questo unito ad altro istrumento”, dedicato al Sig. Marcello Matrilli de’ Duchi Gallo, nobile famiglia partenopea. L’opera fa parte della raccolta di sei melodie “Brezze del Sebeto”, edita dallo Stabilimento Nazionale Privilegiato di Giovanni Ricordi, avente sede a Milano nei pressi del celebre Teatro alla Scala.
“Venerato sig. Guastella, nel mandarle le mie Brezze Nolane, dove trovasi il suo divino Ti vidi appena!, mi permetto pregarla d’un segnalato favore. Potrebbe scrivere per me qualche duettino? È un genere da camera ricercatissimo, principalmente dai forestieri. Io non ne ho scritto niuno di questi componimenti, e, per provarmi anche in questo campo, amerei il sussidio della sua mente creatrice, che conosce così profondamente il cuore umano.”
Nel 1855, Serafino Amabile Guastella (1819-1899) riceveva questa lettera dal musicista di origini catanesi Salvatore Pappalardo (1817-1884), all’epoca particolarmente apprezzato presso i teatri di Napoli e compositore di musiche da camera del Conte di Siracusa, Leopoldo di Borbone, fratello del Re delle Due Sicilie. Da circa un decennio, Guastella e Pappalardo coltivavano un fecondo rapporto di collaborazione. Sebbene pregato di elaborare “qualche duettino”, in realtà il contributo di Guastella si tradusse nella stesura di un terzettino poetico, intitolato “L’alba”.
In precedenza, Guastella aveva già scritto due testi – “La Penitente” e “Pepita” – inclusi nella raccolta “Brezze del Sebeto”, edita nel 1846 dal celebre Giovanni Ricordi di Milano. La raccolta include sei melodie per canto, con accompagnamento di solo pianoforte, comprendenti anche un ulteriore titolo, “L’estinta”, attribuito a una generica sig.ra Guastella: non sappiamo, in questo caso, se si sia trattato di un caso di omonimia o di un banale refuso di stampa.
Nel caso de “La Penitente”, ci si trova di fronte a una melodia per voce di soprano o tenore, con accompagnamento di pianoforte e violoncello. “Pepita”, invece, è un bolero per voce di basso o contralto, con accompagnamento di pianoforte. Tali testi sono molto differenti tra loro, dando modo di verificare le due anime della poetica guastelliana. Da un lato, ne “La Penitente”, emerge tutta la spiritualità dell’autore, già presente in alcune poesie che nel 1836, allora diciassettenne, Guastella pubblicò sul periodico palermitano “Il Vapore”. Dall’altro lato, in “Pepita” si sublimano tanto un sottile erotismo quanto una sorta di amarezza finale, elementi entrambi presenti in alcune giovanili produzioni poetiche, chiaramente influenzate da una vena tardoromantica.
Del resto, già nella raccolta di poesie composte tra il maggio 1837 e il febbraio 1841 e intitolata “La religione del cuore. Romanze e melodie”, suo esordio editoriale, la prefazione conteneva le seguenti parole: “il cuore è una poesia per sé stesso, una poesia vera, generosa, profonda; una poesia senza regole, senza orpelli, senz’arte. In ciò solo sta il titolo di queste mie melodie, perché l’amore è poesia. (…). Le mie poesie saranno poche, lievi, fantastiche, perché ritraggono l’indole dei tempi nostri; saranno erotiche perché l’amore è la sola vita di un giovane; saranno sparse di una nube di leggiera tristezza; perché ciò forma l’indole del loro Autore”.
Alcuni componimenti compresi ne “La religione del cuore” costituivano a tutti gli effetti dei testi pensati per essere rappresentati in lirica, rispettando i meccanismi stilistici dell’Opera: essi, infatti, si contraddistinguono per la presenza di personaggi scenici e di una struttura suddivisa in atti o parti. Analogamente, altri due testi sono intitolati “A Listz” e “Il Waltz”, a testimonianza dello stretto legame intessuto dall’autore con il mondo della musica.
Un’ulteriore attestazione della sensibilità manifestata in quegli anni nei confronti della realtà musicale è costituita dal lungo e articolato saggio “Qualche parola su la musica italiana”, apparso nel gennaio 1839 sul “Giornale di Scienze Lettere ed Arti per la Sicilia”, in cui Guastella si soffermò sull’opera compositiva di Rossini, Bellini e Donizetti, comparandone le relative produzioni con quelle espresse nei primi decenni del secolo dalle scuole tedesca e francese.
Nonostante la giovane età, Guastella mostrava già uno spiccato senso dell’arte, fondato su un’idea della genialità che trovava espressione nella capacità di introdurre degli elementi prima di allora inediti e nel saper andare oltre il rischio e la tentazione dell’imitazione. Questo particolare approccio comprovava anche quanto egli tenesse in grande considerazione l’attività di Pappalardo, se accettò di collaborarvi, lungo un prolungato arco temporale, nella composizione di alcune opere musicali.
Serafino Amabile Guastella (1819-1899)
Tornando, così, ai testi predisposti per le liriche di Pappalardo, le ultime due, databili nella seconda metà del decennio 1850, si connotano essenzialmente per gli espliciti riferimenti al sentimento amoroso. “Ti vidi appena!”, cui si riferisce la lettera citata in apertura, fa parte di una raccolta di quattro melodie intitolate “Brezze Nolane”, edita dallo Stabilimento Musicale Partenopeo dell’Antica Casa Girard di Napoli: composizione per solo pianoforte, il testo si sofferma sul tema dell’amore eterno e irraggiungibile, cifra stilistica determinante l’intera opera.
Infine, il terzettino “L’alba”, per le voci di soprano, contralto e tenore, con accompagnamento di pianoforte, fa parte dell’Album vocale da stanza pubblicato nel 1857 dal Privilegiato Stabilimento Musicale Partenopeo, di Teodoro Cottrau. Qui, probabilmente, i temi dell’amore etereo e del desiderio raggiungono l’apice, consolidandosi nella struttura stessa dell’opera, dove le tre voci si rincorrono e intrecciano, contribuendo ad elevare toni, ritmi e qualità del componimento.
(foto da “Senzatempo”)
Ancora sul finire degli anni cinquanta, Guastella si dedicò alla scrittura di un dramma sacro, portato in scena nel Duomo di Chiaramonte nel 1859, in occasione del novenario di Maria SS. di Gulfi, con musiche di Antonino Pregadio. Si trattava dell’Aod, tema d’ispirazione religiosa ambientato in terra d’Israele, i cui principali protagonisti – il tiranno Eglon e l’eroe Aod – rappresentavano allegoricamente l‘assolutismo borbonico e l’eroe chiamato a liberare la Sicilia, a testimonianza del riformismo sociale caratterizzante questa fase del pensiero guastelliano.
Alla figura del poeta e del letterato, del pedagogo e dello studioso di tradizioni e costumi popolari, vediamo così aggiungersi l’autore di testi per musica, a testimonianza di una personalità eclettica e creativa, capace di rendere la figura di Serafino Amabile Guastella tra le più interessanti del panorama culturale isolano del XIX secolo.
Il Duomo di Chiaramonte Gulfi
Alessando D’Amato, Antropologo culturale, è attualmente funzionario presso il Ministero della Cultura, dopo aver collaborato con le Università di Roma ‘La Sapienza’ e di Catania e aver insegnato presso vari istituti. Le sue ricerche sono principalmente rivolte alla storia degli studi delle discipline demoetnoantropologiche e ai simbolismi rituali del meridione italiano.
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