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Burt Lancaster

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di Vito Castagna

Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa e quello di Luchino Visconti sono sedimentati nella nostra mente come un blocco unico, inscindibile. Certamente, il film ha saputo rappresentare fedelmente il libro, tanto da poterlo considerare come la miglior trasposizione sul grande schermo di un romanzo.

Il gattopardo di Visconti
Il celebre ballo. Le riprese di queste scene durarono 34 giorni

Pochi, però, affermarebbero che Il Gattopardo di Visconti sia una pellicola autobiografica. Francesco Piccolo col suo “La bella confusione” (Einaudi, 2023) ha proposto questa seducente interpretazione, sostenendola con fonti dell’epoca e con le testimonianze di chi è stato sul set in quel caldo 1963.

Per comprendere meglio bisogna muoversi per gradi. Innanzitutto, non vi sono dubbi che Il Gattopardo romanzo sia autobiografico, dato che il protagonista, Don Fabrizio, è ispirato al nonno dello stesso Tomasi. Ma, al contempo, parla molto del suo autore, che aveva subito un fortissimo ridimensionamento del suo prestigio nobiliare.

E infatti, il romanzo si concentra sul passaggio di consegne tra la nobiltà e la borghesia. Non vi è spazio per il popolo che intanto insorge contro il regime borbonico e abbraccia gli ideali delle giubbe rosse.

Il gattopardo di Visconti
La battaglia di Palermo ne Il Gattopardo (foto, Il Cinema Ritrovato)

Questo aspetto valse al Gattopardo romanzo una forte ostruzione da parte del PCI con Guido Aristarco in testa e i maggiori intellettuali dell’epoca, tra i quali Sciascia, che gli considerava di gran lunga superiore “I vicerè” di Federico de Roberto.

Ironia della sorte, Il Gattopardo film venne affidato a Luchino Visconti, a seguito di alterne vicende. Proprio a quel Visconti che era il regista apertamente schierato col PCI. La scelta mise subito il partito in imbarazzo, ma Visconti aveva promesso di rivisitare il romanzo e di dare al popolo siciliano una maggiore centralità.

Dopodiché, durante i sopraluoghi, la Titanus impose per il ruolo di Don Fabrizio Burt Lancaster, che fino ad allora aveva preso parte a soli film western. A Visconti non andava a genio, ma non poteva rifiutare. Si limitò ad ignorarlo. Eppure, quella scelta si rivelò azzeccatissima…

Il gattopardo di Visconti
Alain Delon, Claudia Cardinale e Luchino Visconti

Lancaster, arrivato a Palermo, frequentò la nobiltà palermitana, ma il Principe restava sfuggente. Come interpretarlo senza uno straccio di guida? Le riprese iniziali, infatti, non erano buone, Lancaster era spaesato. Il regista ne era adirato.

Ad un tratto, Lancaster osservò Visconti. Il Principe di Salina era sempre stato di fronte a lui, era il suo regista… Questo perché Visconti era un nobile, aveva vissuto la sua giovinezza nei più importanti salotti di Milano, fino a quando si era trasferito a Parigi ed era stato amante di Coco Chanel e aiutante del regista Jean Renoir. La storia del Gattopardo era la sua storia, quella della sua famiglia, della sua giovinezza. Era il suo mondo scomparso dopo una lenta agonia.

Per Visconti vedere Lancaster fu come riconoscersi. L’attore si atteggiava e camminava come lui perfino. Ed è in quel momento che l’attore americano diventa Don Fabrizio e Il Gattopardo si trasforma in un film autobiografico, abbandonando i propositi politici.

Burt Lancaster, Luchino Visconti e Suso Cecchi d’Amico, la principale sceneggiatrice del film

Questa consapevolezza spinse il regista a nuove scelte, a dare ad alcuni dialoghi un diverso peso. Celebre la decisione di non mostrare la morte del Principe e di terminare tutto dopo il ballo, che sancisce la vittoria assoluta di Angelica.

Il successo del film fu incredibile. Un trionfo scaturito da due vicende autobiografiche, dall’affezione inaspettata tra due artisti, Tomasi e Visconti, nata dalla sensibilità di un cowboy.

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