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Caffè Orientale

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di Grazia Dormiente

A Modica, città “alta di terrazzi e di chiese, aerea di visioni esatte dei paesi e dei mari della scienza e dell’arte”, per il Nobel Salvatore Quasimodo che vi nacque, l’essenza del cioccolato, che dal 2018 con il suo IGP conferisce alla città il titolo di Capitale Europea del Cioccolato, pervade tutt’oggi la scenografia tardo-barocca gemmata dalla frattura umana e materiale del terribile sisma del 1693.

Il poeta Salvatore Quasimodo

Ad ispirare gli innumeri ritratti della città non è solo la singolarità della morfologia urbana, ma anche la sua densa storia di Capitale dell’antica Contea, che dal XIV secolo per funzioni amministrative, giurisdizionali e di direzione politica si configurava come il più importante stato feudale della Sicilia.

Durante i suoi lunghi secoli di vita la Contea di Modica rimase quasi sempre sotto il dominio della Spagna, perfino nel 1713 allorché l’isola di Sicilia fu ceduta a Vittorio Amedeo II di Savoia. All’ influsso spagnolo è sicuramente da attribuire la consuetudine cioccolatiera delle aristocrazie locali, blasonati interpreti della vocazione nobile del cioccolato e della convivialità festiva e rituale.

Le carte d’archivio del ramo genovese del nobile casato dei Grimaldi, insediatosi a Modica nel XVI secolo, hanno restituito la traccia dolce della capitale dell’antica Contea, dove già a partire dal 1746 i “cicolateri” (sic) manipolavano aromatiche cotte di cacao di caracca.

La voce cicolateri che campeggia nel foglio archivistico del 1746 è stata adottata come certezza anagrafica del cioccolato di Modica IGP (Archivio di Stato Ragusa- Sez. di Modica – Fondo Grimaldi, Scritture diverse, vol. 86, c.513)

Si è così ricavata la certezza anagrafica del rinomato cioccolato di Modica, portando alla luce il valore storico-scientifico di fonti inesplorate, ora esposte nel Museo del Cioccolato, soglia nodale per la narrazione storica dell’inimitabile Cioccolato di Modica.

Soltanto alla fine del XIX secolo, in concomitanza con la comparsa a livello locale dei primi caffè e soprattutto con la coeva affermazione della borghesia, si estese ad altri ceti sociali il consumo del bruno nettare degli dei. Né fu abbandonato il sistema artigianale di lavorazione che conferisce al cioccolato, lavorato senza superare la temperatura di fusione dello zucchero, quella tipica granulosità che lo contraddistingue. 

Fonti archivistiche e bassorilievo dell’Italia in cioccolato nella Sala Ranieri III di Monaco nel Museo del Cioccolato di Modica (foto: G. Leone)

La seconda metà dell’Ottocento l’epopea del cioccolato a Modica rifulse al Caffè Orientale di Pietro Borrometi, ubicato al civico 108-110-112 del Corso Umberto I di Modica. Per lunghi anni restò il Caffè modicano per antonomasia, pluripremiata fabbrica con auree onorificenze nazionali e internazionali; il luogo per i cavalieri, gli intellettuali e i nobili del tempo, serviti magari dal mitico cameriere in ghette bianche Pietro Rocca, immortalato dallo scrittore Raffaele Poidomani. (Modica, 1912-1979)

Probabilmente solo alla fine degli anni settanta del novecento si passò dall’acquisto delle fave di cacao, tostate e macinate in loco, alla fornitura della pasta amara non concata, mantenendo però la tradizionale operatività della preparazione “a basse temperature”.

Archivio Fondazione Grimaldi

Processo manifatturiero che ha consentito di incrementare in anni recenti uno dei settori più importanti dell’economia modicana, anche per il conseguente indotto legato alle modalità promozionali di uno dei dolci connotanti il fascinoso campionario di prelibatezze iblee, rivisitate dalla creatività degli abbinamenti di gusto che nel segno del cioccolato hanno impreziosito vini, piatti e portate, rivitalizzando sapori e profumi.