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di Matilde Palpacelli

Consideriamo due immagini leggere: un hidalgo sottile sottile che cammina adagio e un ragazzo che si dondola fra i rami degli alberi; entrambi spostandosi in questo modo così peculiare e fuori dal comune paiono riuscire per un momento a volare.

A queste due immagini esili e a loro modo fragili i loro rispettivi autori hanno voluto affidare il peso più grande, quello di incarnare una vita impossibile eppure anelata, fatta di ideali inflessibili ed avventure rocambolesche affrontate con coraggio, dove l’eroismo è sempre possibile e non c’è torto che non possa essere contrastato con pieno successo. Ma c’è un momento in cui la storia deve finire, l’avventura deve essere interrotta e a noi che restiamo deve rimanere, del destino di questi hidalgos ingeniosos, un’immagine da interpretare e da custodire.

Sancio Panza e Don Chisciotte

La morte da “savio” di Don Chisciotte ci dice forse che con l’abbandono di quello sguardo che è un caleidoscopio di immaginazione, narrazione, avventure la nostra vita finisce; abbiamo bisogno della lente deformante che altro non è che il nostro sguardo sulle cose.

Se abbandoniamo il nostro punto di vista sul mondo, che per quanto folle possa essere è il nostro stile, per guardare il mondo con gli occhi di tutti, e quindi di nessuno, letteralmente smettiamo di esistere. È come se col suo Barone rampante, giovane e colmo di iniziative, dotato di una vita nonostante tutto piena e ricca, Calvino abbia voluto dare una seconda possibilità a quel Don Chisciotte costretto da una morte improvvisa ad abbandonare il suo ultimo progetto bucolico.

Il barone rampante. Foto: il Chaos

Forse solo se un suo Astolfo fosse arrivato fino alla Luna per ritrovargli il senno Don Chisciotte avrebbe potuto superare quel momento, o forse Cervantes lo manda a nostra insaputa sulla Luna da solo a ricongiungersi con la sua sanità. Da conoscitori profondi di Ariosto, che hanno fatto dell’Orlando Furioso una fonte comune del loro lavoro, è facile immaginare che Cervantes e Calvino si siano ispirati anche a queste immagini. E forse è proprio pensando ad Orlando e alla Luna che Calvino ha voluto riscrivere un finale diverso anche per il folle cervantino.

Cosimo in fin di vita, con un telo steso ai piedi dell’albero messo dai compaesani in attesa che cada, vede penzolare sopra di sé l’ancora di una mongolfiera. Morente salta, vi si aggrappa e vola via. E ci rimane il mistero se sia effettivamente caduto in mare, come tutti sospetteranno, o se invece sulla Luna non ci si arrivato davvero anche per l’hidalgo suo predecessore. Potrebbe essere questa l’immagine di leggerezza cercata, che riunisce riassume supera Ariosto, Cervantes, Calvino e le loro teorie sul peso e la levità del mondo e delle idee.

Astolfo sulla Luna. Foto: Associazione figli d’arte Cuticchio

La fine del Barone Cosimo Piovasco di Rondò è una sorta di redenzione di Don Chisciotte, un finale alternativo dove l’immaginazione, il gioco, è retto fino alla fine, pur nella vecchiaia e nella malattia. Cosimo è un Don Chisciotte che se ne va in alto, che se ne va da cavaliere, che non scende dall’albero neanche per dire addio.

E forse c’è tutto quello che non è stato qui scritto in quel corpo fuscello che spicca un balzo, si aggrappa al cielo e se ne va lontano, sparendo senza mai toccare terra. 

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