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Campobello di Mazara

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di L’Alieno

Da giorni le narrazioni sulla latitanza di Matteo Messina Denaro hanno continuato a sorprenderci nei loro aspetti più grotteschi, o forse no. Si è scoperto, ad esempio, che l’uomo più ricercato d’Italia è stato operato di tumore all’ospedale di Mazara del Vallo nel 2020, poi nel 2021 nella clinica Maddalena di Palermo, infine ricoverato un mese anche a Trapani. Prima ancora pare abbia subito un intervento agli occhi in Spagna e uno a Messina per il suo “strabismo del miope elevato”.

Ma le bizzarrie vanno ben oltre. Il suo stile di vita non assomigliava certo a quello di un eremita: donnine, shopping nelle più famose boutique e gioiellerie di Palermo, pranzi e cene nei migliori ristoranti, regolari visite al bar sottocasa, in barba alle telecamere dei Carabinieri, persino i selfie e lo scambio del numero di cellulare con il personale e i pazienti della clinica. Cose mai viste.

Il selfie con un medico della clinica Maddalena di Palermo e il momento della cattura

A questo punto è lecito chiedersi dove lo abbiano cercato in questi 30 anni, sull’atollo di Bikini? No, la verità è molto più sottilecomplessa. Messina Denaro ha vissuto per la gran parte della sua latitanza a casa sua, tra Castelvetrano (31 mila abitanti) e Campobello di Mazara (11 mila abitanti). Paesotti del trapanese dove ci si conosce un po’ tutti. Chiaro che ci fosse chi lo cercava, (come l’ex P.M. Teresa Principato) ma c’era anche e soprattutto chi vanificava regolarmente le ricerche.

Non è un caso che il Procuratore Capo di Palermo, De Lucia, abbia parlato di “borghesia mafiosa” connivente, ovvero non di episodiche coperture offerte da amici influenti, quanto piuttosto di una stabile congrega formata “da membri delle istituzioni, da attori politici ed economici che hanno un ruolo preminente nei diversi territori e che costituiscono un sistema di potere che include anche soggetti mafiosi in senso stretto…”, ha scritto l’antropologo Vesco*, che riprende la tesi non nuova del criminologo Baratta**, secondo cui dovremmo rinunciare alla nostra abitudine per le definizioni ontologiche, come “stato contro mafia”, e adottare una definizione relazionale che concepisce mafia e Stato come due elementi che costituiscono un unico, complesso, fenomeno.

(Da sx) L’ex Senatore Antonio D’Alì, Sottosegretario agli interni (FI), condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e Alfonso Tumbarello, il medico massone di Matteo Messina Denaro

Per concludere c’è anche lo stravagante pensiero del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, per il quale le limitazioni all’uso delle intercettazioni sarebbero una priorità. Come se le indagini sulla criminalità organizzata non nascessero spesso da inchieste partite per altri reati. E dei “trojan” per controllare gli smartphone degli indagati addirittura ne parla come di “armi incivili” da limitare a casi eccezionali… Chiaro il messaggio?

Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio (foto corriere.it)

* Antonio Vesco, ricercatore del Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Catania
** Il prof. Alessandro Baratta (1933-2002) insieme a Renato Treves è stato uno dei maestri della sociologia del diritto in Italia, in particolare per i suoi contributi socio-criminologici sul diritto penale e sul concetto di devianza.