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Carlo Calenda

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di L’Alieno

Giorgia Meloni è da record. Piaccia o no, sarà la prima donna italiana a diventare Presidente del Consiglio. La prima erede diretta del vecchio MSI ad arrivare così in alto e una leader capace di traghettare un partitino dalla quasi irrilevanza del 4% ad un sonante e vincente 26%. Il tutto in soli quattro anni. Onore al merito.

Ma adesso, archiviati i festeggiamenti e finita la “pacchia” (dell’opposizione), comincerà tutta un’altra storia per dimostrare di essere all’altezza del consenso ricevuto. Consapevole che i cannoni dei mercati finanziari potrebbero far fuoco in qualsiasi momento, qualora dovesse cedere a qualche stravagante pulsione populista. Ma non mi sembra tipo da errori così banali. Tanto più che il gigione Salvini, suo osceno alleato populista, è stato quasi azzerato.

Giorgia Meloni (foto Wikipedia)

Le novità della Meloni non riguarderanno che marginalmente il governo dell’economia e la politica filo-atlantica, penso. Si concentreranno piuttosto sul presidenzialismo, sulla restrizione dei diritti civili, sul ritorno ad uno stato più confessionale, sul respingimento dei barconi e su una concezione un po’ più fredda dell’Europa: forse non proprio sovranista come ai tempi della “pacchia”, ma nemmeno europeista.

Secondo la massima “marciare divisi per perdere meglio”, a sinistra, invece, sono andate in onda le comiche. Il PD, innanzitutto, con il suo “pericolo fascista” da elezioni del ’48, Un fiasco. Poi l'”avvocato del popolo” che ha evitato sí il disastro dei 5stelle, ma non un forte ridimensionamento rispetto alle politiche 2018: dal trionfale 32,67% al modesto 15,5% dei consensi, ce ne passa. Una bizzarra gara a retromarcia con il PD che ha visto Conte indietreggiare più di Letta (18,9%).
Infine Calenda e Renzi, i due Napoleoni della politica italiana, che si sono confermati solo come fenomeno classista da Ztl: 7,9% (3,95% a testa). Pochino per il loro smisurato ego.

(da sx in alto in senso orario) Enrico Letta, Giuseppe Conte Matteo Renzi e Carlo Calenda (foto wikipedia e flickr)

Due ultime considerazioni. Una per la Sicilia, che segue l’andazzo nazionale ma con la non trascurabile perversione del successo iperpopulista del “Cateno”. Basta il nome per farsi un’idea. L’altra per la mia Chiaramonte, dove l’anziano ex Ras locale, in camicia hawayana per l’occasione, non ha inteso bene la durissima lezione del giugno scorso e ha voluto concedersi un umiliante bis davanti alla giovane esordiente Silvia Melia, che ha preso più del triplo delle sue striminzite preferenze (285). Così è quando non si possiede (o si è perso) il senso del ridicolo.

(Da sx) Silvia Melia, Sebastiano Gurrieri, Cateno De Luca

di L’Alieno

Metti due galletti (narcisi) nello stesso pollaio, un sondaggio compiacente che promette risultati (potenzialmente) mirabolanti e il terzo pollo, pardon, polo, è servito. Sembra tutto così facile per il duo Calenda-Renzi. L’assioma di partenza è che gli italiani siano centristi per natura e se gli dai il “contenitore” giusto (e il loro è il più giusto di tutti) non vedranno l’ora di riconoscersi tutti quanti lì, nel fantomatico “grande centro”, che come esclusiva identità e collante avrebbe la famosa “Agenda Draghi”.

I due estremisti moderati… (foto casateonline.it)

Mi chiedo di quale e quanta povertà è fatta ormai la politica italiana, se tutto inizia e finisce con un’agenda di respiro temporale cortissimo. E due leader, a presiederla, con caratteristiche di personalità incompatibili perché fin troppo simili nei difetti. Bene ha fatto Emma Bonino (che donna!) a defilarsi e dichiarare che non si possono smentire i patti sottoscritti a soli cinque giorni di distanza. Non è serio. Ma cosa è rimasto di serio nella politica di questo paese? Senza quasi più partiti (Dio fulmini i movimenti!) e a rimorchio di personalità disturbate? Lasciatemelo dire, la vera novità in questa contesa è la normalità di un Enrico Letta che non ha mai alzato i toni, non ha scomunicato mai nessuno e non ha mai desiderato fare l’azionista (dispotico) di maggioranza. Pur essendo l’unico leader a capo di un partito vero e certo di avere più voti di tutti gli altri messi assieme, da quel lato politico. Lontanissimo, per indole, dal “Lei non sa chi sono io!” di certo estremismo moderato.

Enrico Letta

Una nota di merito pure a Fratoianni e Bonelli, che pur rivendicando con giusto orgoglio l’ala sinistra dello schieramento progressista, come portatori di istanze più legate ad una precisa identità sociale, si sono dimostrati né snob, né dogmatici, né afflitti da quello storico ed insopportabile complesso di superiorità che opprime da sempre l’intellettualismo di sinistra e certo (storico) populismo della stessa specie (Bertinotti). Area politica oggi rapprentata da gruppuscoli politicamente irrilevanti, da un lato, e più corposamente dal qualunquismo dell’“avvocato del popolo”, dall’altro. Quest’ultimo patrocinato dal solito comico vate e dal Signor “Io sono la Via, la Verità e la Vita” de “Il Fatto Quotidiano”. Dio (quello vero) ce ne scansi e liberi.

di L’Alieno

Da vecchio liberale, fossi stato tedesco, non avrei avuto difficoltà a votare la destra di Merkel. Ma come si fa a votare in Italia un diversamente liberale all’amatriciana come Berlusconi? Cosa dovrebbe rappresentare a 85 anni, dopo che ad uno ad uno i moderati del suo partito lo stanno salutando tutti?

Primo populista della politica italiana, “Putiniano” in politica estera, indifferente ai diritti civili, liberista nei giorni pari, statalista in quelli dispari, libertino sempre. È l’accrocco confuso a cui si riduce il suo ideale politico “liberale”. Figuriamoci il resto della compagnia di destra tra “Dio, patria e famiglia”, madonne, rosari, antiabortismi, negazione dei diritti e simpatie per Orban.

Silvio Berlusconi (foto European People’s Party da flickr)

Ma cambiamo pagina. A sinistra il liberal del momento pare Carlo Calenda, che ha oscurato la stella (liberal) di Renzi. Anzi, diciamo che quest’ultimo si è oscurato tutto da solo.
“Qui si fa come dico io!” tuona contro il povero PD, un giorno si e l’altro pure. Nessun dialogo con gli ex grillini di Di Maio e con la piccola ala sinistra di Fratoianni.

Qualcuno ha definito Calenda con il simpatico ossimoro di “estremista moderato” (e in effetti gli calza a pennello). Ma oltre all’arroganza del “qui si fa come dico io!”, quale sarebbe la sua strategia per battere la destra? Anzi, ha una strategia per battere la destra? A me qualche dubbio viene. Sondaggi alla mano, con il sistema parzialmente maggioritario uninominale, la destra unita vince. Mentre Calenda sembrerebbe solo interessato ad arrivare ad una percentuale a doppia cifra, magari per giocarsi la futura leadership progressista. Tanto l’oggi è andato già a Meloni.

Carlo Calenda (foto Lucamaiella da Wikipedia)

Il pericolo è che arrivi a vincere soltanto il primo premio per chi ce l’ha più grosso (l’ego). Premio già vinto da Renzi in passato. Mentre il Conte castiga-draghi, l’ex “avvocato del popolo” tornato a fare l'”avvocato del popolo”, rischia la completa irrilevanza. Nonostante il titanico sforzo dell’unico sponsor (Il Fatto Quotidiano) per farlo apparire il più grande statista italiano dopo De Gasperi.

Discorso a parte per la sinistra antisistema. Quella ortodossa, puritana, dogmatica, comunisteggiante e pure frammentata in dieci diverse sigle insignificanti. Farà la solita (solitaria) fine che ha sempre fatto, con Santoro e senza Santoro: una serie di zero virgola qualcosa che saranno interpretati come sicura base di partenza per un immancabile radioso futuro. Amen.

Michele Santoro (Foto Paolo Benegiamo da flickr)

Foto banner e social Assianir da Wikipedia