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Cavalieri di Malta

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di Giuseppe Barone

Agostino Grimaldi nasce il 3 maggio 1639 come terzogenito del barone Giovanni e di Girolama Rosso Landolina e viene prescelto a “vestire l’abito” dei Cavalieri di Malta ad appena 6 anni come strategia di nobilitazione della famiglia, in cui ogni membro segue un particolare “cursus honorum” adeguato alla ricchezza e al prestigio del casato. L’Ordine melitense di San Giovanni era il più ambito dall’aristocrazia europea per diverse ragioni: per farne parte occorreva dimostrare di possedere i “quattro quarti” di nobiltà da parte della linea paterna e materna, si accresceva la dimensione internazionale della famiglia e si acquisivano meriti nella “guerra santa” contro i Turchi “infedeli” che controllavano allora il Mediterraneo centro-orientale.

Agostino Grimaldi (1639 – 1660)

Agostino viene perciò educato agli ideali cavallereschi nella Congregazione dei Nobili presso il Collegio gesuitico di Modica, sotto la sorveglianza del Rettore Diego Ascenzo e di un manipolo di precettori che lo avviano agli studi umanistici, scientifici e alle arti marziali. Le carte d’archivio ci restituiscono uno spaccato straordinario della formazione culturale di questo “giovin signore” della Contea, che a 10 anni scrive epigrammi latini, un martirologio di San Giorgio e giostra da provetto cavallerizzo nel torneo equestre della Madonna delle Grazie.

Nell’estate del 1657, al compimento del diciottesimo anno d’età, scatta il complesso cerimoniale della partenza del nobile “novizio” per Malta. Il commiato dall’estesa parentela, le visite ai conventi e monasteri della città con relativi doni e lasciti, le funzioni religiose, le opere di carità per poveri e disabili, le cavalcate su un bianco destriero tra ali di folla, scandiscono la ritualità barocca di un’epoca che costruisce con questi strumenti simbolici l’identità collettiva dello “stato” degli Enriquez Cabrera.

L’antico Collegio gesuitico di Modica. Oggi sede del Liceo Classico T. Campailla (foto radiortm.it)

Nel mese di ottobre da Siracusa salpa su una feluca per l’isola dei Cavalieri accompagnato da due servitori e dal “ciantro” di San Giorgio, Diego Spadaro, per essere accolto con i dovuti onori dal Gran Maestro Martino De Redin, che lo affida alle cure del castellano Vincenzo Carroz amico personale del barone Giovanni. Da Modica i genitori seguono con attenzione il noviziato del figlio, attraverso una fitta corrispondenza in cui Agostino descrive le sue giornate maltesi fatte di studio severo, preghiere, addestramento militare e servizio presso il grande Ospedale.

Non mancano le brillanti conversazioni serali di geopolitica e filosofia con gli alti dignitari dell’Ordine e con le “allegre comitive” con gli altri novizi, che però destano le preoccupazioni paterne per il voto di castità professato dai Cavalieri: su ordine del barone Giovanni il gesuita Ascenzo si reca a Malta per troncare i “turpi adescamenti” di qualche vogliosa cortigiana e per verificare la purezza dei costumi del giovane rampollo.

Il Gran Maestro Martin De Redin (1579 – 1660)

Nel marzo del 1659 Agostino comincia la sua prima avventura in mare aperto, con una “carovana” di navi maltesi, veneziane, genovesi e pontificie che perlustra il Mediterraneo in attesa di lanciare l’assalto finale all’isola di Candia occupata dagli ottomani. Dalla sua nave egli scrive ai genitori dettagliate relazioni sull’esperienza militare, sulle scaramucce col nemico, sui ricorrenti rischi di naufragio per il mare in tempesta, ricevendo commosse risposte di un padre e di una madre orgogliosi per gli ideali cristiani del figlio.

Da Modica don Giovanni Grimaldi è in corrispondenza diretta con l’ammiraglio della flotta cristiana, il Principe Fabrizio Ruffo della Bagnara, che nella primavera del 1660 gli scrive di aver nominato l’appena ventenne Agostino “padrone” della nave Capitana: un vero onore riservato solo a nobili di rango elevato. Ad agosto prende il via l’operazione d’attacco, dopo l’arrivo di altri 4.000 uomini di rinforzo giunti da Zacinto al comando del Principe Almerico d’Este. Il giorno 22 si muove l’imponente flotta della coalizione con 40 galee, 50 vascelli, 6 galeazze e 20 brigantini d’ appoggio, che il 23 notte è a Candia, di fronte all’ isolotto di Suda. Dalla tolda della sua “Capitana” il giovane Grimaldi scrive l’ ultima lettera ai genitori intrisa di affetto e di fede religiosa perché sa che anche morendo va ad “eternarsi ” per la gloria di Cristo.

Il giovane Principe Almerico d’Este (1641 – 1660)

Agostino sta male, con febbre alta per una broncopolmonite, ma scende a terra ugualmente per guidare il drappello d’attacco. La resistenza del nemico è però accanita, i Cavalieri sono subito accerchiati e Agostino viene colpito al fianco da un colpo di moschetto che gli spappola il fegato. Portato sulla nave ammiraglia, muore dissanguato tra le braccia del principe Ruffo della Bagnara, e grazie ad una temporanea tregua sarà tumulato nella piccola chiesa dell’isoletta di Suda. Solo alla fine d’ottobre giungerà a Modica la notizia della sua morte che getta nello sconforto i familiari.

Sul palazzo avito, ben visibile da tutta la città, sventoleranno i drappi del lutto come pure pavesato con neri tendaggi è il duomo di San Giorgio, dove si svolgono solenni esequie con l’elogio funebre recitato dallo storico Placido Carrafa, giudice d’Appellazione. Condoglianze ufficiali giungono da Genova, daI Principato di Monaco, dai Senati di Messina, Noto, Caltagirone. Il Barone Grimaldi affida al carmelitano Giovanni Paolo dell’Epifania , Priore del convento modicano, l’incarico di compilare la biografia del “martire” Agostino “ad futuram memoriam rei publicae” e come esempio per la “virtuosa gioventù” della Contea.

“L’idea del cavaliere gerosolimitano mostrata nella vita di Fra’ Agostino Grimaldi e Rosso” fu scritta dal Giovanni Paolo dell’Epifania carmelitano residente nel convento di Santa Maria del Popolo su incarico della famiglia e dei giurati di Modica, e venne pubblicata a Messina nel 1662 con dedica al Cardinale Gerolamo Grimaldi Arcivescovo d’Aix en Provence della linea genovese dei Cavalleroni da cui discende il ramo modicano del casato.

Il Cardinale Gerolamo Grimaldi Arcivescovo d’Aix en Provence (1597 – 1685) (Immagine da Wikipedia)

Si tratta di un’opera celebrativa, destinata a un’eventuale causa di beatificazione del giovane che però non fu proseguita. Essa rappresenta tuttavia un esempio significativo della letteratura encomiastica dell’età barocca in Italia. Un’edizione reprint dell’opera con un mio saggio introduttivo è stata consegnata a S. A. il Principe Alberto di Monaco, a suggello della sua visita a Modica nel 2017.

di Giuseppe Barone

La prima monografia sul cioccolato compare nel 1631 a Madrid ad opera di Antonio Colmenero de Ledesma, ma tradotta in Italia solo nel 1666 (Roma) e nel 1678 (Venezia). Nella storiografia un ruolo di protagonista viene assegnato al cardinale pugliese Francesco Brancaccio, munifico donatore della ricca collezione di libri che rese possibile la fondazione a Napoli della  prima Biblioteca pubblica (la Brancacciana).

(Immagine Bibloteca Nacional de España)

Nel 1664 il prelato ebbe infatti modo di pubblicare a Roma  il trattatello “De chocolatis  potu diatribae” che cercava di sciogliere la lunga controversia dibattuta tra gli ordini religiosi circa il divieto di consumare in Quaresima e nelle feste di precetto il cosiddetto “brodo indiano”.  Con pertinenti riferimenti fisico-chimici e teologici Brancaccio sosteneva che solo nella forma “densa” il cioccolato rompeva il digiuno, mentre in forma liquida poteva essere assunto anche nel periodo quaresimale.

Il cardinale non esitava addirittura a proporre una gustosa ricetta per rendere più sostanziosa la dolce bevanda senza incorrere in peccato mortale. Il dibattito teologico e morale continuò però ad infuriare fino al XIX secolo tra rigoristi (domenicani) e possibilisti (gesuiti), fino a coinvolgere lo stesso Alessandro Manzoni che ne “I promessi sposi” ne fa sorbire una “chicchera” calda a Gertrude monaca di Monza prima di rinchiudersi in clausura.

Sulla tavola dei Cavalieri dell’Ordine di S. Giovanni, tuttavia, il cioccolato si consumava da tempo. Già nel 1658 il medico, botanico e letterato maltese Gian Francesco Buonamico (1639-1680) compone un inedito “Trattato della Cioccolata” che lo studioso Giovanni Bonello ha ritrovato tra i carteggi di un Archivio privato (in “Histories of Malta”,  2000).

Gian Francesco Buonamico (Immagine di RSekulovich – Wikipedia)

Dopo lunghi soggiorni di lavoro nelle principali capitali europee, descritte con vivide annotazioni tipiche della letteratura del Grand Tour, Buonamico rientra a Malta su invito del Gran Maestro Cotoner che lo nominava medico navale al servizio delle galere giovannite, nelle cui cambuse non mancava mai il prezioso alimento. Più che le dissertazioni scientifiche sulla  composizione dell’alimento, lo interessano i percorsi storici della diffusione del cioccolato e le pratiche sociali del suo consumo da Portogallo e Spagna alla penisola italiana e alla Sicilia.

La Valletta (Malta) in una incisione del XVII sec.

A differenza dell’opinione comune che attribuiva a conventi e monasteri le più rinomate ricette di preparazione del “cibo degli Dei”, Buonamico offre un’originale interpretazione “di genere”  della cioccolatomania esplosa in Europa nel XVII secolo. Sarebbero state le donne, a suo avviso, le grandi consumatrici di quel nettare caldo che permetteva loro di essere allegre e di ingrassare, in modo da imitare le forme abbondanti e sinuose della bellezza femminile rappresentate nelle tele di Rubens e dei grandi pittori rinascimentali: un canone estetico che avrebbe resistito in arte e in letteratura fino al XIX secolo.

Pittura di Jean Chevalier, XVIII sec.

Il Trattato affronta diverse questioni, come le qualità organolettiche del prodotto, le sue proprietà benefiche (estingue la sete, pulisce il sangue ed il fegato, “addolcisce” il corpo)  ma pure le controindicazioni (non abusarne d’estate, può provocare flatulenze) , nonché gli usi migliori per apprezzarne più pienamente aromi, dolcezza, energia, buonumore.

Nel suo saggio Giovanni Bonello si sofferma su alcune ricette “speciali” suggerite dallo scrittore maltese. Una viene espressamente dedicata alle persone comuni e “volgari”: qui al cacao andavano aggiunti zucchero, cannella, pepe al pimento, chiodi di garofano ed eventualmente acqua di rose ed arachidi. La pasta poteva essere confezionata in barrette solide, buone comunque per essere sciolte e bevute. Un’altra è invece riservata agli uomini e donne “di riguardo” come preti, suore, militari e politici: in questo caso andavano aggiunti ingredienti esotici come curry indonesiano e altre spezie, che per i “deboli di stomaco” potevano sostituirsi con ambra, muschio ed essenza di rose bianche d’Egitto.

Buonamico esprime anche la sua ammirazione per l’uso “italiano” di raffreddare il cioccolato con la neve, un metodo ritenuto salutare e ormai accettato anche tra i Cavalieri di Malta, che non a caso si rifornivano dall’Etna e dalle neviere iblee (Palazzolo, Buccheri, Monterosso).

La folta presenza dell’aristocrazia della Contea tra le file del prestigioso Ordine cavalleresco di S. Giovanni  (dai Grimaldi, ai Lorefice, dagli Ascenso ai Celestre, dagli Arezzo ai Ribera) ha certamente favorito la circolazione di ricettari manoscritti, come il “Libro de’ secreti per fare cose dolci” del siciliano Michele Marceca del 1748 (edito nel 2007 in un volume curato da M. Goracci e L. Lombardo)  e di pratiche gastronomiche gelosamente conservate e rielaborate nelle cucine dei nobili casati. Le “golose dolcezze” modicane si sono formate nello spazio euromediterraneo iberico-maltese e la Contea ha rappresentato una cerniera strategica di scambi culturali ed economici lungo le rotte del Mare Nostrum. Una “grande storia” da ripensare guardando al futuro.

(Immagine malta.italiani.it)