di V. La Cognata, M. Barresi, M. Iacono e V. Castagna
Tra i curtigghi e i carrugghi, tra le piazze e i palazzi dell’antica nobiltà, Chiaramonte nasconde e custodisce uno scrigno di arte e cultura straordinario, che si traduce e declina in ben dieci musei. Lo scopo loro affidato è il più nobile che si possa avere in una città: preservare la memoria e l’identità di un’intera comunità.

Eppure, chissà perché, non sempre riusciamo a valorizzare appieno il patrimonio culturale che abbiamo a disposizione. Anche il presentarsi al mondo come “città dell’olio e dei musei” imporrebbe delle responsabilità che iniziano dalla conoscenza reale di ciò che si possiede, dalle problematiche insite alla loro gestione, per arrivare ad esprimere al massimo grado le potenzialità di cui si dispone. Ecco perché al fine di colmare le nostre stesse lacune, abbiamo provato a scavare un po’ più a fondo nella problematica, tentando contestualmente di lanciare (a mo’ di sfida) delle proposte concrete.

Partiamo da una premessa. La concezione del museo di oggi non può più essere considerata quella di un tempo. La sensibilità verso questa forma di cultura è cambiata, la tecnologia stessa ha messo a disposizione nuovi strumenti e creato nuove potenzialità. I fruitori del 2021 chiedono che un museo sia un’istituzione viva, inclusiva, interattiva e dinamica, capace di mettere in campo anche attività di ricerca, di comunicazione e formazione. Tali aspetti erano alla base della riforma Franceschini avviata nel 2014, che aveva come obiettivo proprio quello di porre i musei su un percorso di modernizzazione. L’obiettivo purtroppo è stato raggiunto parzialmente. Soprattutto le piccole realtà sono rimaste indietro.

È il caso dei musei di Chiaramonte, che per lo più versano in una condizione di arretratezza concettuale e in stato di abbandono che dura da anni. L’impostazione (a parte l’eccezione della mostra permanente più recente) poteva anche andare bene trent’anni fa, ma non è più attuale né capace di creare suggestione ed emozione nel visitatore. Non tocca certo a noi indagare sui perché questo è avvenuto e nemmeno siamo interessati a cercare i responsabili, ma dobbiamo comunque registrare quest’antica verità per ripartire. Allo stesso tempo vogliamo anche sottolineare i passi degli ultimi mesi verso la giusta direzione dovuti alla nuova gestione (creazione del marchio dei musei, creazione di un sito web che offre informazioni e servizi, attività di marketing mirate).

Nella nostra visita dello scorso luglio abbiamo registrato la mancanza persino di cose banali: le indicazioni in lingua inglese per i turisti stranieri, la garanzia di un’adeguata manutenzione delle strutture (porte che non si aprono o addirittura il malfunzionamento di un impianto elettrico che tiene spesso al buio un intero museo) e la pulizia stessa degli ambienti esterni. E che dire della Pinacoteca De Vita oltre i limiti della fruibilità? La sciagurata scelta di mettere dei vetri di protezione sui quadri (per loro natura riflettenti) e un’illuminazione totalmente errata impediscono l’apprezzamento dei dipinti.

Perché poi non accorpare quelli tra loro più simili e scorporare quelli che invece nulla hanno in comune? Lo step successivo potrebbe essere quello di intensificare la progettualità (un museo va di continuo aggiornato e ampliato se possibile) e l’introduzione di elementi originali capaci di poter creare una vera e propria “esperienza museale”. Concetti per la verità non nuovi, esistono da trent’anni, ma evidentemente faticano ad arrivare fino alle nostre periferie.

Insomma, le criticità sono molte, ma moltissime potrebbero essere le idee da sviluppare, qualcuna delle quali, ci rincuora sapere, è già in cantiere. Posto che il problema non sia l’attuale gestione, né la mancanza di idee, né la volontà di volerle realizzare, rimarrebbe insoluto piuttosto l’annoso problema delle risorse economiche da impiegare. I fondi dove potrebbero essere reperiti? Un sistema di finanziamenti che ovviamente non gravi soltanto sulle tasche comunali, ma possa attingere a fondi europei e anche privati?

“Adotta un museo” potrebbe rappresentare almeno in parte la giusta soluzione! Non soltanto lo slogan della nostra proposta. Se si può adottare uno spazio verde nelle città, perché non si potrebbe fare la stessa cosa per i musei?

Come sappiamo, quasi tutti i musei chiaramontani rispecchiano più o meno delle realtà produttive ben salde nel nostro territorio. Quello dell’olio, ad esempio, potrebbe rappresentare alla perfezione la possibile applicazione pratica della nostra idea. Perché sono tante le aziende che si occupano della produzione del nostro pregiatissimo olio e lo vendono in tutto il mondo. Queste potrebbero spontaneamente farsi carico della gestione o di almeno una parte delle spese per l’ammodernamento e l’ampliamento del museo. Non soltanto per disinteressata generosità verso la collettività, ma anche perché esistono delle facilitazioni fiscali e per ricavarne uno spazio di visibilità per le loro aziende o la disponibilità per creare eventi specifici.

La stretta collaborazione tra istituzione museo e i frantoi locali potrebbe produrre benefici comuni a tutto campo, anche creando percorsi ad hoc che permettano al visitatore di “fare esperienza” nell’evoluzione della produzione: dagli strumenti arcaici presenti nel museo fino a poter apprezzare dal vivo una modernissima azienda in azione. Ovviamente con la possibile esperienza olfattiva e degustativa del prezioso oro verde. Modelli simili potrebbero essere applicati anche per gli altri musei fatta eccezione per quello ornitologico (chiuso al momento) che meriterebbe un discorso a parte. Ma non è questa la sede.

L’iniziativa “Adotta un museo” avrebbe dunque lo scopo di fare rete tra mondo produttivo e strutture museali, in modo da soddisfare interessi individuali e collettivi in un rapporto a somma positiva per il territorio. Si offrirebbe così un’immagine viva, positiva e innovativa della comunità. Questione di essere aperti alla sperimentazione e mettersi alla prova.

Crediamo infatti che i musei non possano essere più visti soltanto come oggetto di “patriottico vanto”. Perché nei fatti li sentiamo distanti da noi, a tratti estranei e non li riteniamo nemmeno una risorsa per la comunità (non a caso uno dei più stupidi luoghi comuni è: “con la cultura non si mangia”). Ma bisogna fare lo sforzo di vederli adesso in una luce nuova, capaci di poter fare sistema con le realtà produttive del territorio, ove possibile.
Chiaramente si tratta di un progetto ambizioso, che fa leva sulla sensibilità dei singoli e sulla volontà di miglioramento e innovazione, ma siamo fiduciosi. Con la giusta spinta si potrebbero realizzare progetti molto importanti per il nostro futuro.
