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chiesa di San Francesco all’Immacolata

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di Giuseppe Barone

La Ragusa preterremoto si organizza come città continua nel corso del XVI secolo, con un centro storico segnato dalla presenza di una nuova cortina edilizia civile ed ecclesiastica. Prima di allora il castrum normanno-svevo sorgeva abbarbicato sulla collina dell’attuale Ibla con un tessuto abitativo povero e sfrangiato in nuclei sparsi, retaggio dei precedenti periodi arabo e bizantino.

A trainare la rivoluzione urbanistica del ‘500 concorrono numerosi fattori. In primo luogo va sottolineata la colonizzazione agricola dell’altopiano ibleo, favorita dall’aumento del prezzo del grano e dai contratti di enfiteusi con cui i Conti Enriquez Cabrera cercarono di mettere a cultura le terre non coltivate e di accrescere l’esportazione cerealicola dai “caricatori” di Pozzallo, Mazzarelli e Scoglitti.

La contea di Modica e gli stemmi degli Enriquez-Cabrera

Nobili e borghesi, “massari” e “mastri” della Contea ottengono in concessione le terre e molte ne occupano abusivamente per accrescere produzione e reddito: i La Restìa tra il 1550 e il 1570 sono tra i più attivi nelle usurpazioni, ma le fonti archivistiche testimoniano un vero e proprio “assalto” alle terre che trasforma l’altopiano ibleo in un anticipato Far West di vecchi e nuovi coloni i cui lucrosi proventi alimentano lo sviluppo edilizio della città.

Paesaggio dell’altipiano ibleo (foto da naturamediterraneo.com)

Sull’onda dell’espansione economica le famiglie nobili e i giurati della città finanziano soprattutto l’architettura ecclesiastica. Il quattrocentesco duomo di San Giorgio si amplia con un alto campanile e si arricchisce all’interno con la “cona” del Gagini ordinata dai Giampiccolo baroni di Cammarano nel 1573 per celebrare la vittoria della flotta cristiana a Lepanto, trasformandosi in una chiesa rinascimentale. Anche l’angusta fabbrica di San Giovanni nel quartiere degli Archi si ingrandisce sotto la direzione di Antonino Di Marco, un architetto che si era formato a Roma ed ancora ingiustamente trascurato.

Il portale del Duomo di San Giorgio a Ibla, tra le poche testimonianze del periodo antecedente il terremoto del 1693 (foto di LeZibou da Wikipedia)

A fare la differenza è l’insediamento nel centro del paese degli Ordini religiosi. I Minori conventuali giungono per primi, abbandonano il vecchio sito malarico a valle e agli inizi del secolo innalzano il convento e la chiesa di San Francesco all’Immacolata, dove spiccano le cappelle gentilizie dei La Rocca e degli Arezzo: quì dal 1565 al 1568 dirige il Capitolo provinciale Carlo Bellìo , dotto teologo che qualche anno dopo viene chiamato ad insegnare Filosofia metafisica all’ Università di Padova.

La chiesa di San Francesco all’Immacolata a Ibla. Edificata nel XIII sec. fu oggetto di numerosi rifacimenti

Quasi contemporaneamente penetrano nel cuore della città i Domenicani (nell’attuale chiesa di San Vincenzo Ferreri), mentre terzi si piazzano i Cappuccini che lasciano anch’essi la vallata San Leonardo per stabilirsi nello spazio centrale degli attuali Giardini iblei. Intorno al 1550 arrivano i Carmelitani, seguiti dai Minori riformati a Santa Maria del Gesù. Nè si trascuri la presenza degli Ordini femminili. Il monastero di Valverde risaliva al XIV secolo, ma è nel 1538 che la badessa Sigismonda Iurato sostituisce la severa regola agostiniana per quella carmelitana, governando per un ventennio le “canonichesse” dei casati Castellett, Sammito, La Restìa.

La chiesa dei Cappuccini con annesso convento nei giardini di Ibla

Nel 1590 il generoso lascito del barone netino Carlo Giavanti (vedovo di donna Violante Castellett ) consente alle Benedettine di S. Giuseppe di collocarsi a fianco del palazzo del Consiglio civico, finché nel 1620 si avvia la costruzione del grande Orfanatrofio di S. Teresa a cui i giurati dell’Università cedono i “diritti di fiera” per finanziare la fabbrica conventuale.

Busto del Barone Carlo Giavanti (1540-1606), fondatore del Monastero delle Benedettine (foto da benedettine-rg.it)

L’architettura civile registra il sorgere di nuovi palazzi, di case “solerate” a più piani, di “dammusi”, fondaci e “poteghe”, mentre l’attività protoindustriale si concentra a valle con le concerie e con la lavorazione della canapa. Nel quartiere degli Archi sorgono il Monte di Pietà nel 1545 e l’Ospedale di San Giuliano attiguo alla chiesa della Madonna dell’Itria sotto il patronato dei Cavalieri di Malta, la cui presenza prestigiosa si consolida con la Commenda gerosolimitana fondata da Blandano Arezzo nel 1626.

Gli storici hanno finora sottovalutato la grande espansione cinquecentesca che ha fatto di di Ragusa una città moderna. L’epidemia di peste del 1576-77 sarà una drammatica battuta d’arresto, che spingerà le aristocrazie virtuose e i “mastri” operosi ad avviare una seconda rinascita urbana.

La chiesa di Santa Maria dell’Itria con il suo caratteristico campanile. Attiguo vi era l’Ospedale di San Giuliano. (foto di Ludvig14 da Wikipedia)

Giuseppe Barone è Professore Emerito di Storia. Dirige le riviste “Archivio storico della Sicilia Orientale” e “Archivio Storico Ibleo”. È stato Preside di Facoltà e Direttore del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Catania. È autore di molti volumi e ricerche di storia italiana moderna e contemporanea. Fra i suoi lavori dedicati all’area iblea segnaliamo due opere pubblicate dalla Banca Agricola Popolare di Ragusa: “Le città iblee dai Borboni all’Unita” (2011) e “Gli Iblei nella Grande Guerra” (2015). Il suo libro più recente: “Storia mondiale della Sicilia” (Laterza 2019).