di Nunzio Spina
Ricompensò l’aiuto ricevuto in Sicilia con un’opera da grande artista, quale era. Nel 1608 Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, vagabondava ancora per città e paesi, in fuga dalla condanna di decapitazione per un omicidio di cui si era macchiato durante la sua permanenza a Roma e in cerca di una definitiva affermazione del suo genio e del suo stile pittorico. Trentasette anni e uno spirito in continuo fermento, che volentieri trasferiva dai burrascosi avvenimenti di vita vissuta alle immagini realistiche – e mirabilmente illuminate da una luce intensa – dei suoi dipinti.

Stavolta fuggiva dall’isola di Malta, che appena l’anno prima l’aveva accolto per farne un cavaliere del proprio aristocratico Ordine. Il tempo di riprodurre due tele, e lasciarle là a futura gloria (“Decollazione di san Giovanni Battista” e “San Girolamo scrivente”), che già si era ritrovato rinchiuso tra le mura di una prigione, non la prima, tratto in arresto per il litigio con un cavaliere superiore in grado. Riuscì a evadere – lui solo seppe come – e puntò la prua verso la vicina Sicilia: a Siracusa c’era un amico conosciuto durante gli anni romani, il pittore Mario Minniti, pronto ad allargare le braccia.

Toccare un suolo diverso era come rigenerare, ogni volta, il suo animo di artista, oltre che di uomo. E forse c’era anche il bisogno di ricambiare in qualche modo – e il suo non poteva che essere quello di dipingere – l’ospitalità che gli veniva offerta. Il rituale condusse all’ennesimo capolavoro, lasciato in eredità: il “Seppellimento di Santa Lucia”. Fu la prima opera del Caravaggio realizzata in Sicilia. Olio su tela, quattro metri per tre, destinata alla pala d’altare per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro (o Fuori le Mura), nel sito in cui, secondo la tradizione, la santa patrona della città fu martirizzata e sepolta.

Viene raffigurato sul tono dei rossi e dei bruni – col solito contrasto di luci e di ombre, col rilievo scultoreo delle figure illuminate, col naturalismo e il pathos che sempre emerge dall’intera composizione – il drammatico momento in cui la giovane Lucia, distesa esanime, sta per essere seppellita, tra il rassegnato dolore di alcuni presenti e la vigorosa indifferenza dei due personaggi intenti a scavare. Persino lo sfondo, che l’artista lascia in genere volutamente buio e in secondo piano rispetto ai soggetti, acquista qui un significato particolare. Il vuoto che sormonta le figure, a indicare gli enormi spazi di una catacomba, è con ogni probabilità riconducibile alla latomia più famosa di Siracusa, l’Orecchio di Dionisio.

Ipotesi verosimile e suggestiva, dal momento che era stato proprio Caravaggio, affascinato dai reperti archeologici della città, a battezzarlo con questo nome (lui, in realtà, lo aveva chiamato Orecchio di Dionigi), per la sua caratteristica forma, simile a un padiglione auricolare, e per le sue proprietà acustiche, che permettevano al tiranno greco Dionigi di ascoltare dall’alto, non visto, i discorsi – amplificati dall’eco – dei nemici che rinchiudeva in quella grotta.

Il Seppellimento di Santa Lucia era destinato a una vita movimentata, quasi che l’autore vi avesse trasmesso la propria indole irrequieta. La chiesa per la quale era stato commissionato fu costretta a disfarsene nel 1971, a causa degli effetti nocivi che procurava la vicinanza col mare; venne dapprima trasferito al Museo Bellomo di Siracusa, poi a Roma, nel ’79, presso l’Istituto Centrale per il Restauro.
Da qui un lungo girovagare per la Penisola, per mostre e restauri, fin quando nel 2009 è tornato a Siracusa, per trovare posto però in un altro edificio dedicato alla martire, la Chiesa di Santa Lucia alla Badia, in Piazza Duomo. Ci sarebbero voluti un altro decennio e l’immancabile trasloco per una mostra – a Rovereto nel 2020, con tanto di polemiche –, prima del ritorno nella sede originaria della Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro. Giusto riconoscimento storico allo scopo per cui era stata concepita l’opera e alla volontà del suo autore, Michelangelo Merisi detto Caravaggio, per il quale il 18 luglio (era il 1610) ricorreva l’anniversario della sua morte.
