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Chiese di Comiso

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di Pippo Inghilterra

Attraversando, nel silenzio della notte, la strada dei tre conventi di Comiso (Monastero di S. Giuseppe in piazza, Oratorio dei Filippini e Monastero di Regina Coeli), quando niente più rimane d’un passato antico, perdura ancora il ricordo “che emerge dall’anima delle cose e ti richiama nella solitudine la presenza, tra le ombre del passato” di qualcuno e di qualcosa… Al viaggiatore allora può venir voglia di salire i gradini del Monastero di Regina Coeli, tirare la campanella e farsi aprire.

La strada dei tre conventi tra la piazza, col Monastero di San Giuseppe (di cui s’intravede il campanile) e il Monastero di Regina Coeli. Particolare del Paesaggio di Comiso (1824).

Entrando nel monastero, superato il vestibolo e i due parlatoi, si apre l’ampio chiostro che delimita, attraverso i portici, da un lato le celle e dall’altro la chiesa del monastero. “La chiesa specialmente era splendida, per copia d’ornati che l’arricchivano. Fra i quali eccellevano, un interessante soffitto a colori e oro, con al centro la “Gloria di Maria in cielo” e agli angoli, in quattro graziosi ovali, la “Presentazione”, “l’Annunziazione”, la “Visitazione” e la “Vergine col putto” oggi nella chiesa della Madonna della Catena. Oltre al soffitto, da additare all’attenzione degli amatori era altresì una deliziosa “Visione di Santa Teresa” attribuita a Pietro Novelli, oggi nella chiesa di San Biagio, e il bellissimo coro delle monache in stile barocco, ma di grande effetto”, scrive Fulvio Stanganelli.

La splendida “Visione di Santa Teresa” attribuita alla scuola di Pietro Novelli, oggi nella chiesa di San Biagio

Di questa chiesa non esiste più niente, rimane solo una foto (conservata da Antonello Lauretta), una traccia in un documento scovato da Paolo Nifosì e una planimetria. Il Monastero di Regina Coeli era ricco di rendite e possedimenti e “fu sempre ben numeroso, e contò, tra le altre, ben quattro Principesse della famiglia Naselli” (P. Tommaso Blundo, 1770) vissute nell’agio e in un luogo di bellezza, dove nel 1739, fu incaricato il grande architetto del Val di Noto, Rosario Gagliardi, a disegnare il coro in legno delle monache, all’interno della chiesa.

Ora, se vi trovate di notte a passare dalla strada dei tre conventi, cercate d’ascoltare. Una notte, tornando a casa, mi è parso di sentire. vicino al muro del monastero, quello che sembrava un canto armonioso di inni e lodi a Dio…

(Da sx) stralcio planimetria catastale della strada dei tre conventi ora via degli Studi. (A dx) stralcio planimetria del luogo del Monastero di Regina Coeli (1902)
(A sx) la Chiesa dell’Annunziata di Comiso, con in basso a sinistra un pezzo del pilastro d’angolo del Monastero Regina Coeli. (A dx) la chiesa della Madonna della Catena

di Pippo Inghilterra

Dei pochi turisti di passaggio a Comiso, pochissimi visitano le chiese minori, a parte quella di San Francesco per il monumento ai Naselli. Ma se qualche turista colto, affamato d’arte, decidesse di varcare la soglia di qualcuna delle venti chiese minori, sarebbe ricompensato dalla vista dei tanti bei quadri “erranti”. E se poi decidesse di entrare nella chiesa di Santa Maria di Monserrato, non si stupirebbe di fiutare il passaggio di dipinti di grandi artisti come Jan Van Eyck, Rogier Van der Weyden o Antonello da Messina.

“Su la poetica balza di una vecchia cava della nostra famosa pietra, si erge, poco lungi dalla città, a Mezzogiorno, una chiesa solitaria e sufficientemente vasta, dedicata alla Vergine di Monserrato (…). Nell’altare di questa chiesa c’è un quadro che richiama all’opera di Antonello (…), dove un tardo e ignoto imitatore dell’arte fiamminga raffiguro’ piuttosto bene e arricchendola di molte, anzi troppe, dorature, Maria SS. sedente in trono, sotto un ricco baldacchino, con sul grembo il Putto, che giulivamente tiene in una mano un cardellino. Fa da sfondo a questo gruppo centrale, un monte irto di punte digradanti – una delle quali, l’artista, per far comprendere a tutti, che quello era appunto il Monserrato, con amena trovata, fa segare a due angioli – nei cui greppi e nelle nove scene, che completano la tela, è dipinta sommariamente la leggenda del ritrovamento della taumaturgica Madonna spagnuola.” (F. Stanganelli, 1915). Questo quadro è oggi scomparso.

Madonna col Bambino (particolare) Polittico di San Gregorio (Antonello da Messina, 1473, Messina, Museo Regionale)

Il cercatore di memorie, uscendo poi dalla chiesa, osserverebbe, da quel luogo di silenzio, un paesaggio antico. Scorgerebbe tra i canneti un fiume largo e profondo, che scorre tra alte ripe paurose della vallata dell’Ippari e che sfocia nell’infinito del mare. Sentirebbe ai suoi piedi, le voci della città trasportate dal vento, che riverberano, come canne d’organo, nelle cave di pietra.

Molte erano le madri che, nel silenzio, percorrevano quella trazzera, che portava alla chiesa “ra Bedda Matri ri Muntisirratu” per ascoltare un “responso di Sibilla” e pregare “a Maronna ‘a muta”. Le voci della città davano risposte solenni, per un figlio in guerra o un marito lontano.

(Da sx) Paesaggio antico di Comiso, 1893 e la Chiesa di Monserrato in un dipinto del 1822 (particolare)

di Pippo Inghilterra

Superata l’ultima curva di un percorso tortuoso arrivò in treno alla Stazione. A Francesco Gurrieri apparve finalmente la città di Comiso distesa ai piedi dei monti Iblei. Rimase colpito da quelle dolci colline punteggiate dal verde scuro dei carrubi, dalla mole delle due chiese maggiori che dominavano il paesaggio e dal solco del fiume Ippari che, nascosto tra i canneti, lambisce la città per poi perdersi lentamente verso il mare.

Vecchia cartolina della Stazione di Comiso. (Foto di Giuseppe Laleta)

L’architetto Gurrieri, prima d’intraprendere il suo giro tra i monumenti religiosi di Comiso, si fermò un attimo ad osservare il contesto storico della città. Decise così di iniziare il percorso dalla Chiesa Madre, osservando i lavori post terremoto del 1693 e quelli più recenti di completamento della facciata ad opera dell’ingegner Santoro Secolo. S’incamminò poi verso la vicina Chiesa di San Francesco respirando quell’aria rinascimentale intrisa di cultura arabo-normanna.

Paesaggio di Comiso, tempera su carta (1893) e la facciata della Chiesa Madre

Salendo quindi verso l’Annunziata fu colpito dalla leggerezza del disegno del campanile. Scese lentamente verso l’ampio spazio di piazza della fontana, osservò un palazzo dal fastigio ondulato, che sembrava una chiesa, e gli sembrò quasi di percepire una leggera brezza che gli sfiorò il viso. Quell’aura sembrava che trasportasse parole da un lontano passato e la piazza sembrò impregnarsi di quel venticello che rifluiva da epoche lontane per spargersi poi in tutta la città.

L’interno della chiesa di San Francesco e il particolare della cupola. (A destra) il campanile della chiesa dell’Annunziata

Giunto in piazza vide radunata come in una festa tanta gente. Vide un bambino sotto gli archi, vicino al Circolo di Conversazione dei gentiluomini altezzosi e dei preti. Vide seduti, come in un cinema all’aperto, i partecipanti ad comizio socialista, i “viddani” che a “rutulacciu” parlavano intorno alla fontana. Poi i “mastri” ragionare vicino alla “Società i figli del Lavoro”. Vide ancora intorno alla piazza tante “putie” e in mezzo il “pischiu” degli acqualuori.

La piazza era ancora il luogo degli sguardi. Poi si diresse verso la chiesa del Patrono San Biagio (“San Milasi”), dal portale tardo barocco, che parlava già un linguaggio manierista. Si lasciava alle spalle il ricordo dei monasteri, lassù in alto, in quel luogo di silenzio dov’è più naturale elevarsi a Dio.

La chiesa di San Biagio con il suo bel portale barocco

Infine il nostro viaggiatore, carico di passione per la bellezza delle architetture, riscese verso la Stazione ferroviaria per prendere il treno di ritorno e scrivere un articolo per “La Vedetta Iblea” sui monumenti religiosi della città. Diede un ultimo sguardo al paesaggio e vide un pastore che dall’alto delle colline, appoggiato alla sua canna immobile e pensieroso, sembrava aver sposato un paesaggio senzatempo.
Da quel luogo di silenzio il pastore ascolta da sempre, nel vento, le parole che salgono dalla città.

“La vedetta Iblea”, settimanale dei Fasci di Ragusa e l’arch. Francesco Gurrieri