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Cioccolato

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di Giuseppe Barone

La prima monografia sul cioccolato compare nel 1631 a Madrid ad opera di Antonio Colmenero de Ledesma, ma tradotta in Italia solo nel 1666 (Roma) e nel 1678 (Venezia). Nella storiografia un ruolo di protagonista viene assegnato al cardinale pugliese Francesco Brancaccio, munifico donatore della ricca collezione di libri che rese possibile la fondazione a Napoli della  prima Biblioteca pubblica (la Brancacciana).

(Immagine Bibloteca Nacional de España)

Nel 1664 il prelato ebbe infatti modo di pubblicare a Roma  il trattatello “De chocolatis  potu diatribae” che cercava di sciogliere la lunga controversia dibattuta tra gli ordini religiosi circa il divieto di consumare in Quaresima e nelle feste di precetto il cosiddetto “brodo indiano”.  Con pertinenti riferimenti fisico-chimici e teologici Brancaccio sosteneva che solo nella forma “densa” il cioccolato rompeva il digiuno, mentre in forma liquida poteva essere assunto anche nel periodo quaresimale.

Il cardinale non esitava addirittura a proporre una gustosa ricetta per rendere più sostanziosa la dolce bevanda senza incorrere in peccato mortale. Il dibattito teologico e morale continuò però ad infuriare fino al XIX secolo tra rigoristi (domenicani) e possibilisti (gesuiti), fino a coinvolgere lo stesso Alessandro Manzoni che ne “I promessi sposi” ne fa sorbire una “chicchera” calda a Gertrude monaca di Monza prima di rinchiudersi in clausura.

Sulla tavola dei Cavalieri dell’Ordine di S. Giovanni, tuttavia, il cioccolato si consumava da tempo. Già nel 1658 il medico, botanico e letterato maltese Gian Francesco Buonamico (1639-1680) compone un inedito “Trattato della Cioccolata” che lo studioso Giovanni Bonello ha ritrovato tra i carteggi di un Archivio privato (in “Histories of Malta”,  2000).

Gian Francesco Buonamico (Immagine di RSekulovich – Wikipedia)

Dopo lunghi soggiorni di lavoro nelle principali capitali europee, descritte con vivide annotazioni tipiche della letteratura del Grand Tour, Buonamico rientra a Malta su invito del Gran Maestro Cotoner che lo nominava medico navale al servizio delle galere giovannite, nelle cui cambuse non mancava mai il prezioso alimento. Più che le dissertazioni scientifiche sulla  composizione dell’alimento, lo interessano i percorsi storici della diffusione del cioccolato e le pratiche sociali del suo consumo da Portogallo e Spagna alla penisola italiana e alla Sicilia.

La Valletta (Malta) in una incisione del XVII sec.

A differenza dell’opinione comune che attribuiva a conventi e monasteri le più rinomate ricette di preparazione del “cibo degli Dei”, Buonamico offre un’originale interpretazione “di genere”  della cioccolatomania esplosa in Europa nel XVII secolo. Sarebbero state le donne, a suo avviso, le grandi consumatrici di quel nettare caldo che permetteva loro di essere allegre e di ingrassare, in modo da imitare le forme abbondanti e sinuose della bellezza femminile rappresentate nelle tele di Rubens e dei grandi pittori rinascimentali: un canone estetico che avrebbe resistito in arte e in letteratura fino al XIX secolo.

Pittura di Jean Chevalier, XVIII sec.

Il Trattato affronta diverse questioni, come le qualità organolettiche del prodotto, le sue proprietà benefiche (estingue la sete, pulisce il sangue ed il fegato, “addolcisce” il corpo)  ma pure le controindicazioni (non abusarne d’estate, può provocare flatulenze) , nonché gli usi migliori per apprezzarne più pienamente aromi, dolcezza, energia, buonumore.

Nel suo saggio Giovanni Bonello si sofferma su alcune ricette “speciali” suggerite dallo scrittore maltese. Una viene espressamente dedicata alle persone comuni e “volgari”: qui al cacao andavano aggiunti zucchero, cannella, pepe al pimento, chiodi di garofano ed eventualmente acqua di rose ed arachidi. La pasta poteva essere confezionata in barrette solide, buone comunque per essere sciolte e bevute. Un’altra è invece riservata agli uomini e donne “di riguardo” come preti, suore, militari e politici: in questo caso andavano aggiunti ingredienti esotici come curry indonesiano e altre spezie, che per i “deboli di stomaco” potevano sostituirsi con ambra, muschio ed essenza di rose bianche d’Egitto.

Buonamico esprime anche la sua ammirazione per l’uso “italiano” di raffreddare il cioccolato con la neve, un metodo ritenuto salutare e ormai accettato anche tra i Cavalieri di Malta, che non a caso si rifornivano dall’Etna e dalle neviere iblee (Palazzolo, Buccheri, Monterosso).

La folta presenza dell’aristocrazia della Contea tra le file del prestigioso Ordine cavalleresco di S. Giovanni  (dai Grimaldi, ai Lorefice, dagli Ascenso ai Celestre, dagli Arezzo ai Ribera) ha certamente favorito la circolazione di ricettari manoscritti, come il “Libro de’ secreti per fare cose dolci” del siciliano Michele Marceca del 1748 (edito nel 2007 in un volume curato da M. Goracci e L. Lombardo)  e di pratiche gastronomiche gelosamente conservate e rielaborate nelle cucine dei nobili casati. Le “golose dolcezze” modicane si sono formate nello spazio euromediterraneo iberico-maltese e la Contea ha rappresentato una cerniera strategica di scambi culturali ed economici lungo le rotte del Mare Nostrum. Una “grande storia” da ripensare guardando al futuro.

(Immagine malta.italiani.it)