di Vito Castagna
CANTO VIII (parte seconda)
Il dannato raccolse tutte le sue forze per lanciarsi contro di me. I suoi muscoli guizzavano dal fango, come se del sangue caldo li nutrisse e copioso ne dilatasse i vasi. Ero atterrito e già mi immaginavo nel fondo del lago, dilaniato dalle sue mani e dalla sua bocca marcescente. Virgilio, accortosi solo allora di quell’inaspettato passeggero, si sporse dalla barca. L’anima lo fissò immobile spalancando gli occhi, priva di coraggio.
«Vattene via! Ritorna con gli altri cani!». Dopo queste parole, affondò il calzare nel volto dell’aggressore. Questi non ebbe il tempo di reagire e, ferito tra il naso e l’occhio destro, cadde nella melma. Poi Virgilio, come elettrizzato dalla sua stessa audacia, mi abbracciò e mi baciò una guancia: «Che anima sdegnosa!». Con spregio sputò nell’acqua. «Sia benedetta colei che ti partorì» mi disse continuando ad osservare la sua saliva nella melma, che velocemente stavamo per lasciarci dietro. Questa rimase a galla prima di oltrepassare un leggero strato di muschio galleggiante.
«Quel dannato fu in vita tanto orgoglioso che nessuna buona azione rese onore alla sua memoria. Per questo la sua anima giace qui, colma di ira. Coloro che lassù si credono dei grandi Re, quaggiù saranno dei porci che si dimenano nel fango. Nessuno li ricorderà con benevolenza».
Ed io, ancora scosso da quanto accaduto, pronunciai parole crudeli, cariche di risentimento: «Prima di lasciare questo luogo maledetto, vorrei vederlo affondare nella palude per non far più ritorno». Sedutosi a prua mi rispose: «Il tuo desiderio si avvererà molto presto».
Guardai la scia che, come una ferita, ci lasciavamo alle spalle fendendo il muschio. Il capo del dannato affiorò dal pelo dell’acqua rendendo ben visibile la ferita purulenta che gli aveva causato Virgilio. Improvvisamente venne tirato in fondo, poi si generò della schiuma attorno a lui e un groviglio di mani si abbattè su quel corpo già offeso. Gli iracondi si accalcavano gridando: «Addosso a Filippo Argenti!». L’orgoglioso si fece largo con bracciate ampie ma, divorato dalla follia, cominciò a mordersi gli arti egli stesso, provocandosi delle ferite profonde. Un’onda di corpi lo avvolse. Seguirono dei rantolii strozzati, il rumore dell’acqua smossa violentemente. Infine, vi fu silenzio e la palude dello Stige tornò quieta.
Inorridito dal destino di quel concittadino, distolsi lo sguardo. Intanto, un lamento funebre forava i vapori e risuonava nelle mie orecchie, raggelandomi il cuore. Virgilio conosceva la provenienza di quel pianto disperato. «Ci stiamo avvicinando alla città di Dite, patria di cittadini afflitti e di orde di demoni. Ascolta il loro canto, monito per chi vi viene condotto». Scorsi tra la nebbia dei bagliori indistinti, poi la luce divenne più nitida e di fronte a me svettarono le cupole rosse delle moschee, dal colore tanto acceso da sembrare uscite da una fornace arroventata dalle fiamme del basso Inferno.
Raggiungemmo i fossati della città e le mura di ferro si stagliarono minacciose di fronte a noi. Dopo aver circumnavigato la cerchia merlata alla ricerca dei moli, Flegias attraccò su una passerella di legno, ricoperta di muschio, e ci ordinò di scendere. Non appena toccammo terra, in migliaia si precipitarono sugli spalti delle mura e mi osservarono chiedendosi chi fossi e perché mi recassi in quella città, pur essendo vivo. Quei grugni demoniaci mi facevano tremare i polsi. Virgilio si avvicinò al portale serrato e chiese di parlare con uno dei loro rappresentanti. «Vieni tu solo; il tuo compagno, invece, ritorni indietro, visto che ebbe l’ardire di addentrarsi in questo triste regno. Ritrovi da solo la via di casa» urlò un abominio da una feritoia. Trattenevo, tremante, il braccio alla mia guida. «Maestro, non vorrai dargli ascolto! Non mi abbandonare! Se non ci lasceranno passare, troveremo un’altra strada».
«Nessuno potrà opporsi al nostro viaggio. Ma devi aspettarmi qui, abbi fiducia in me!» disse. Si aprirono le porte ed una nutrita folla fece cerchio attorno al saggio. Non riuscii a comprendere le loro parole ma il colloquio non durò molto. La brigata si divise e gli abitanti di Dite si richiusero dietro le ombrose mura. Sconfortato, Virgilio tornò a me col capo chino. Poi, riuscì a trovare la forza di parlarmi: «Chi ci ha negato l’accesso alla città dolente… Non preoccuparti della mia rabbia, supereremo questa prova. La loro tracotanza sarà punita. Vedrai, qualcuno ci aiuterà!».
CANTO VI – VII – VIII (prima parte)