di Lucia Battaglia
“Il tuo intento sia dirigere la malevolenza verso i suoi vicini immediati, verso coloro che incontra ogni giorno, e di cacciare la benevolenza lontano, nella circonferenza remota, verso gente che non conosce. La malevolenza diventerà così perfettamente reale, la benevolenza in gran parte immaginaria […] Noi vogliamo mandrie che finiranno per diventare cibo; Egli vuole servi che diverranno, infine, figliuoli. Noi vogliamo assorbire, Egli vuol concedere in abbondanza. Noi siamo vuoti e vorremmo riempirci: Egli possiede la pienezza e trabocca”
Lettura del mese di giugno della nostra “Pizza letteraria” è stata “Le lettere di Berlicche” di Clive Staples Lewis. Un autore anglosassone, vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, che ha una biografia ricca di cambiamenti riguardanti il suo rapporto con la religiosità e il credo cristiano anglicano. Cresciuto in un ambiente religioso e praticante se ne allontana all’età di 15 anni e per circa 30 anni, per poi tornare all’antica fede.

L’originale opera è stata scritta dopo il periodo di ateismo ed il tema, al di là dell’apparente paradosso, è la fede. Perché parlo di apparente paradosso? Il libro nasce come libro satirico con l’intento di raccontare la dottrina cristiana per antitesi, muove quindi da un’idea geniale, assumere il punto di vista del diavolo (Berlicche appunto) che istruisce un giovane ed inesperto demone (Malacoda) sulle tecniche atte a dannare l’animo umano del “paziente”.
L’autore riesce purtroppo soltanto per le prime 5 lettere a mantenere uno spassoso andamento con delle trovate ingegnose e divertenti del punto di vista del demonio. Dalla sesta lettera però si smarrisce, o per meglio dire, smarrisce questa verve ironica e in preda a una sorta di delirio mistico non riesce più a tenere fermo il punto di vista del e sul demonio, cade così nella facile trappola di parlare di Dio.
Il tono salace si trasforma gioco forza in tono pedante e catechetizzante e quella che era apparsa una trovata brillante scivola lettera dopo lettera verso una deriva che non esito a definire noiosa. Certo, i giudizi in seno al Gruppo di lettura non sono stati così univoci né così uniformemente negativi. Qualcuno ha trovato le prime lettere inquietanti al punto da provocare una sorta di “senso di colpa” per ritrovarsi quasi a condividere il punto di vista del demonio, mentre ha apprezzato in parte le lettere a seguire proprio perché improntate ad un fine pedagogico (o spudoratamente indottrinante, nella versione più critica) che rivela lo scopo ultimo dell’autore appena riconquistato al cristianesimo.
Un libro che ci ha diviso nei giudizi. Da una parte atei e agnostici, dall’altra i credenti. Dibattito vivacissimo, dunque, che ha cementato ancora di più il gruppo per la consapevolezza che la vera ricchezza risiede nelle differenze, nella disomogeneità e nel rispetto per i distanti e (a volte) inconciliabili punti di vista.