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di Paolo Monello

Dopo la morte di don Juan Tomàs Enriquez Cabrera avvenuta nel 1705, i suoi diritti su Medina de Rioseco passarono al nipote Pascual, che a sua volta dopo la pace di Vienna del 1725 tra Carlo VI e Filippo V poté entrare in possesso anche dei beni siciliani appartenuti allo zio, fra cui la Contea di Modica, di cui ebbe l’investitura nel gennaio 1729. Il tragico destino dell’Almirante lo rese famoso a lungo nel ‘700 spagnolo ed addirittura nel 1827 la scrittrice francese Laure Junot Saint Martin, duchessa d’Abrantes, scrisse un romanzo tradotto in spagnolo nel 1838 con il titolo “El Almirante de Castilla”.

Quindi, più che davanti ad un “traditore”, ci troviamo di fronte ad un uomo che per la fedeltà ad una causa perse tutto: i beni ed anche la vita, un esempio mirabile di lealtà. Ma che fine fecero gli oggetti preziosi e gli oltre 200 quadri che il conte di Modica si era portato appresso da Madrid fino a Lisbona?

Don Juan Tomàs Enriquez Cabrera e il romanzo “El Almirante de Castilla” di Laure Junot Saint Martin, duchessa d’Abrantes (1838)

L’Almirante destinò tutto il denaro liquido di cui disponeva a Lisbona (oltre 211 milioni di reis portoghesi, equivalenti a circa 5 milioni e 300.000 reales spagnoli: una somma assai cospicua!) alla Compagnia di Gesù, con l’obbligo di fondare un collegio per la formazione di missionari gesuiti destinati alle Indie orientali e alla Cina, sotto titolo di “Nostra Signora della Concezione”.

L’Arciduca Carlo d’Asburgo

Una casa-noviziato da costruire a Madrid nel caso l’Arciduca Carlo fosse riuscito a diventare re di Spagna; a Lisbona, se non ci fosse riuscito. Niente lasciò al fratello Luis né al nipote Pascual (la cosa è comprensibile visto che entrambi lo avevano rinnegato e Pascual aveva testimoniato nel processo contro di lui!), ma volle destinare alla nipote donna Maria Enriquez (figlia del fratello Luis e che nel 1740 avrebbe ereditato dal fratello Pascual la Contea di Modica) un lascito di 5.000 ducati sulle rendite di Pietrabuena (che però era stata sequestrata, con le case ed i palazzi di Madrid e tutto il resto).

La Contea di Modica nel ‘700 e gli stemmi della famiglia Enriquez Cabrera

Oltre al denaro liquido lasciò anche 10 arazzi, gioielli ed altre cose preziose, tra cui servizi di porcellana e d’argento. Juan Tomas era stato molto colpito dalla perdita di ben 280 chili di argento lavorato, depredato dai francesi che avevano catturato la nave su cui viaggiava con destinazione Olanda per farlo fondere (giugno 1703). Infine i quadri, ben 200, come sappiamo. Agli oltre 200 milioni di reis vanno quindi aggiunte le somme ricavate dalla vendita di tutti questi oggetti preziosi.
Scrive la studiosa americana Angela Delaforce nel suo “From Madrid to Lisbon and Vienna: The journey of the celebrated paintings of Juan Tomás Enríquez de Cabrera, Almirante de Castilla” (The Burlington Magazine 2007): 

Ristampa dal testo originale del 1838

«…Nell’estate del 1705, subito dopo la morte di Juan Tomas [avvenuta il 29 giugno], gli arazzi, alcune rare tappezzerie, dipinti, servizi da tavola, argenti, armadi e cassapanche, orologi, pezzi di ambra, gioielli e pietre preziose furono stimati e messi in vendita a Lisbona. Gli arazzi includevano paesaggi o boschi: 12 pannelli con le “Storie di Enea”, che si dicevano tessuti ad Anversa e col marchio di Bruxelles; otto pannelli con le “Storie di Mosè” tessuti in Francia, di cui si sapeva che erano stati acquistati a Roma da[ll’avo] Juan Alfonso; e altri descritti come nature morte e fiori».

Gli oggetti lavorati in oro e in argento, che comprendevano un preziosissimo servizio da tavola fatto in Olanda, furono tutti comprati dal Re del Portogallo, Dom Pedro II, mentre «…un altissimo prezzo (circa 54.777.900 reis) fu pagato per le pietre preziose (smeraldi, diamanti ed altri gioielli con pietre), tutte acquistate dal futuro imperatore, l’Arciduca Carlo».

Un arazzo con le “Storie di Enea”

Juan Tomas aveva portato da Madrid anche argenti liturgici e preziosi reliquiari della sua cappella privata, che nel testamento destinò alla cappella del nuovo Collegio gesuitico da costruirsi, con la disposizione di creare una custodia per il suo cuore, che doveva recare un’iscrizione ed essere collocata sull’altare, dentro la base del piedistallo di una grande statua della Vergine dell’Immacolata Concezione.

Sul destino della collezione di quadri degli Enriquez (ricordo che venne annoverata tra le maggiori della Spagna del XVII secolo), le notizie avute in passato erano non del tutto complete: si scrisse che la collezione fu tra i beni sequestrati all’Almirante nel 1703 e che sarebbe stata dispersa in Spagna (molti quadri però sono oggi al Prado, tra cui quello del duca di Lerma, proveniente dalla collezione di Giovanni Alfonso).

Ritratto equestre del duca di Lerma (particolare), Peter Paul Rubens (1603)

Ma oggi sappiamo che gran parte dei 200 quadri portati nell’esilio, da Lisbona andarono a finire a Vienna. La maggior parte di questi quadri (tra i più preziosi trasportabili), fu acquistata dall’Arciduca Carlo, per il prezzo di 100.000 cruzados (pari a 40 milioni di reis, cioè 1 milione di reales spagnoli), ritenuto dai contemporanei un prezzo irrisorio di fronte al valore complessivo di tanti capolavori.

La fama del valore della collezione del Conte di Modica stuzzicò diversi amanti dell’arte, fra cui anche l’inglese duca di Marlborough, John Churchill (antenato di Winston Churchill) e altri acquirenti olandesi ed italiani. Ma tutti arrivarono tardi o meglio, gli esecutori testamentari dell’Almirante (i padri gesuiti Cienfuegos e Casnedi) preferirono venderli a colui che sembrava stesse per diventare il nuovo re di Spagna, cioè l’Arciduca Carlo e la transazione fu perfezionata il 26 febbraio 1706.

John Churchill, antenato del più famoso Winston Churchill

Dei quadri il 1° febbraio 1705 era stato fatto un inventario, accluso al testamento, purtroppo andato perduto dopo il 1916. Tale documento fu però fra le mani di uno storico gesuita coevo, padre Antonio Franco, che ci riferisce che alcuni quadri erano stati donati dal duca di Medina de Rioseco al re Dom Pedro II e ad altri dignitari della corte portoghese.

Tra i 200 quadri dell’Almirante, padre Franco scrive che c’erano 30 opere di Tiziano (due delle quali acquistate dallo stesso conte di Modica), 9 dipinti di Correggio (uno dei quali sarebbe una copia di “Giove e Io”), 3 di Raffaello, 1 del Perugino, 2 di Michelangelo, 3 di Brueghel, 26 di Van Dyck, 34 di Tintoretto, 1 di Dürer, 5 di Veronese e 3 di Luca Giordano. Per il resto, non ci sono numeri per gli altri artisti, e solo per deduzione possiamo calcolare che c’erano 33 quadri attribuiti a Guercino, Guido Reni, Jusepe de Ribera e Nicolas Poussin; gli altri erano descritti solo come opere di “celebri” pittori, tra cui il genovese Luca Cambiaso, conosciuto come “Luqueto” in Spagna, l’autore di una “Maddalena penitente”.

Luca Cambiaso, conosciuto come “Luqueto”, l’autore di questa “Maddalena penitente” (particolare)

Nel resoconto di padre Franco, Juan Tomàs aveva portato a Lisbona anche 26 quadri dei Bassano (sui 90 registrati nel 1691): uno dei quali potrebbe essere quello denominato “I Cambiavalute”, ora attribuito a Leandro Bassano. I 22 dipinti di Rubens, secondo la lista di padre Franco, suggeriscono che Juan Tomàs nel suo esilio portò con sé tutti i quadri che possedeva del maestro fiammingo (tra essi “Venere, Marte e Cupido”, forse quello ora alla Dulwich Picture Gallery di Londra).

“I Cambiavalute”, adesso attribuito a Leandro Bassano

Tra i quadri di Rubens appartenenti alla collezione Castiglia (così infatti è denominata la collezione degli Enriquez dagli studiosi) ed identificati abbiamo un “Cristo Infante e San Giovanni Battista con due angeli. Gli altri sono “Andromeda legata alla roccia” (ora alla Gemäldegalerie, Berlino), “Un paesaggio autunnale con vista dell’Het Steen” e “Un trionfo romano” (entrambi oggi alla National Gallery di Londra), “Marte e Venere” (oggi al Palazzo Bianco, a Genova) e il quadro citato sopra “Venere, Marte e Cupido”. Inoltre, la collezione conteneva 10 ritratti, due di filosofi e una scena mitologica con Nettuno. Uno dei ritratti, allora descritto come un “Ritratto di Cardinale”, è il “San Gerolamo” di Vienna (foto 7).

“Ritratto di Cardinale”, Peter Paul Rubens

Tra i quadri certamente provenienti dalla collezione Castiglia ed oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna è la cosidetta “Allegoria della Vanità” dell’artista madrileno Antonio de Pereda y Salgado (1611-1678), nota anche come “Desengaño de la vida”, che fu ereditato nel 1691 da Juan Tomàs da suo padre. «Allora era appeso nella galleria dedicata ai quadri di eminenti Spagnoli, la Pieza de Españoles, e viene descritta in dettaglio ed ha una stima alta nell’inventario di quell’anno. In esilio, in disgrazia e contemplando il suo incerto destino, l’ultimo Almirante avrebbe trovato un pungente significato nella Allegoria della Vanità, un’eloquente immagine della effimera natura del potere terreno. Il magnifico angelo con le ali spiegate che sovraintende ai simboli della ricchezza della vita terrena e ai simboli della morte contiene un ritratto-cammeo dell’imperatore Carlo V, e per Juan Tomas la presenza dell’Asburgo avrebbe avuto un profondo significato personale» (Delaforce).

Un altro dipinto potrebbe essere il “San Giovanni bambino e l’Agnello”, ora considerato un’opera di Murillo (1618-1682), mentre del maestro spagnolo Pedro de Orrente (1580-1645) sarebbe il “Cristo al lazzaretto di Bethesda”. A Vienna dal 1720 sono anche presenti altri dipinti, probabilmente acquistati a Napoli da Juan Alfonso tra il 1644 ed il 1646: due del pittore Agostino Beltrano (1607-1656), un discepolo e seguace di Massimo Stanzione (1585-1656): uno rappresenta “Alessandro il Grande”, a cavallo del suo Bucefalo, l’altro “Il trionfo di David”; il terzo, “Il martirio di Sant’Orsola” è del napoletano Scipione Compagno (attivo tra il 1636 ed il 1664).

“San Giovanni bambino e l’Agnello”, adesso considerata opera di Murillo

Passò un decennio prima che i quadri dell’Almirante di Castiglia Conte di Modica lasciassero il Portogallo per il loro viaggio verso Vienna. La ragione del ritardo non è nota, ma potrebbe essere stata connessa alla loro sicurezza in mare in tempo di guerra (la guerra di Successione durò fino al 1714), mentre secondo alcune altre fonti ci sarebbe stato un tentativo della Corte portoghese di trattenerli. Infatti solo il 19 luglio 1715, quattro anni dopo che l’arciduca Carlo era salito al trono imperiale col nome di Carlo VI, padre Cienfuegos partì da Lisbona – via Inghilterra – con i quadri per l’imperatore di Germania.

“Cristo al lazzaretto di Bethesda”, Pedro de Orrente

La Delaforce infine si chiede perché solo così pochi dipinti possano essere identificati fra i circa 200 quadri che, come si è detto, rimanevano della collezione dell’Almirante di Castiglia. Il problema è se e dove questi quadri furono custoditi in Inghilterra durante il loro viaggio, e quando e come essi finalmente arrivarono a Vienna, dove furono sistemati nella galleria della Hofburg fatta predisporre appositamente. Di tutti i quadri fu fatto un catalogo dipinto, opera di Ferdinand Storffer, di cui il pittore napoletano Francesco Solimena (1657-1747) immortalò nel 1733 la presentazione a Carlo VI.

“Il martirio di Sant’Orsola”, Scipione Compagno

La partenza da Lisbona salvò questi quadri per la posterità. Se fossero stati trattenuti dalla Corona portoghese, sarebbero stati distrutti nel tremendo terremoto, tsunami e incendio che 40 anni più tardi, il 1° novembre 1755, distrusse il Palazzo della Riviera e ciò che c’era dentro, insieme con tutta la città di Lisbona. Se politicamente amara fu la sorte di Juan Tomàs Enriquez de Cabrera, lo splendore dei resti della collezione di quadri della famiglia Enriquez ancora oggi illumina i musei europei ed in particolare il Prado di Madrid e il Kunsthistorisches Museum di Vienna. E tanto basta per dare torto al Marchese di Villabianca e a Raffaele Solarino

1733. “La presentazione a Carlo VI”, Francesco Solimena