di Luigi Lombardo
La vicenda del Dio che muore e rinasce è un motivo ricorrente in particolare nelle mitologie dei popoli del bacino del mediterraneo appartenenti all’area del vicino oriente, uno dei mitologemi fondamentali della storia di questi popoli. Ad un dato momento della storia di questi popoli mediorientali questo mitologema si innestò o sostituì miti e riti della rigenerazione della natura, legati al ciclo stagionale, che nella primavera ponevano la rinascita della natura. La vita naturale che rinasce assume le sembianze di un dio, dalle fattezze giovanili, che morendo e rinascendo annualmente fa rinascere la stessa natura e al contempo propizia la renovatio umana, nei termini più spiritualizzati.

In area medio orientale dunque si fondono due culture, che riescono a conciliare i riti del ciclo vegetale con l’archetipo del Deus patiens che muore e rinasce. Da questo evoluto sincretismo religioso il Cristianesimo farà nascere un rinnovato quadro mitico religioso, che tuttavia a più riprese mostra le sue origini soprattutto nella concezione del tempo.

Le religioni naturali hanno una visione ciclica, conforme all’andamento circolare dell’anno (anno da anulus, anello). Le religioni soteriologiche orientali innestano su questo fondo la visione nuova di un tempo rettilineo (inizio-creazione / fine-resurrezione-salvezza finale). L’una e l’altra di queste visioni mai ebbero la meglio. Le due religioni, la naturale e la personale, trovarono nel cristianesimo un tentativo di sintesi. Così nel tempo ciclico dell’eterno ritorno fu innestata la vicenda esemplare, unica, irripetibile della morte e passione del figlio di Dio.
La ripetizione rituale di tale morte assunse semmai l’aspetto di una “commemorazione”, un termine che cercava di spiegare la persistenza di una “cultura del tempo”, anche in ambito cristiano, assai difforme da quella ufficiale, presente in particolare negli ambienti agro-pastorali, intrisi ancora di cultura e religiosità pagana.

La triste vicenda del figlio di Dio, del Cristo, sotèr, ha sorprendenti e non casuali riscontri nelle vicende “drammatiche” di alcune popolarissime divinità orientali, i cui culti con estrema facilità si diffusero nell’occidente romano: Attis e la madre Cibele, Adone e Astarte. Ma già presso la religione greca si fece strada potente la figura di Dioniso, le cui pietose vicende diedero vita ad una delle religioni misteriche più diffuse nell’occidente greco-romano: anche Dioniso muore (fatto a pezzi) e rinasce, riaccendendo nei seguaci la speranza di una seconda vita. I primi cristiani identificarono nel Bacco romano il loro Cristo.

In questo contesto culturale, fra monoteismo giudaico, messianismo, attese soteriologiche e culti misterici di varia provenienza, nasce la festa di Pasqua cristiana, in un particolare e straordinario clima sincretistico, che contrassegna un periodo storico che va dal I al III secolo dopo Cristo. Sant’Agostino per primo diede una sistemazione liturgica e teologica alla Pasqua: egli fissò il concetto di “passaggio” di Cristo, il quale attraverso la passione giunge alla morte e al suo superamento con la resurrezione.
Questo itinerarium vitae è garantito a tutti coloro che crederanno in Lui. Fu Agostino che codificò definitivamente i termini del sacro triduum: «sacratissimum triduum crucifixi, sepulti, resuscitati» (il triduo del crocifisso, del sepolto e del risuscitato). Questa scansione liturgica si è conservata nei riti cattolici e nelle varianti folkloriche moderne.

La liturgia cattolica ha subìto nel corso dei secoli modifiche e adattamenti, fino all’ultima e definitiva sistemazione, che prevede il giovedì i riti dell’istituzione dell’eucaristia in coena domini e la lavanda dei piedi, il venerdì la commemorazione della morte di Cristo, il sabato notte la resurrezione con i riti connessi (benedizione del fuoco e battesimo soprattutto). La domenica continua la gioia della resurrezione. Questo percorso ufficiale ha costituito la base in cui la cultura folklorica ha innestato le proprie cerimonie, molte volte in sintonia con l’ufficialità, tante volte dissonante o comunque non conforme.

I riti popolari derivano da quel particolare momento storico che fu l’età barocca, che accentuò gli aspetti teatrali e processionali (già presenti nei riti delle origini) della Pasqua, la presenza e il ruolo delle confraternite organizzate, l’affermarsi di una presenza popolare che caratterizzò diversamente molte cerimonie pasquali.

Sembra possibile poter ricostruire idealmente un unico cliché liturgico, presente a vario modo e nelle diverse articolazioni in tutti i centri siciliani dove si celebra ancora la Pasqua “popolare”. Salvo poi a constatare che questo complesso unitario di liturgia e riti, che facilmente si intravede, si frastaglia in ogni centro, in ogni città, in ogni paese in una miriade di varianti locali del rito, che sono la sostanza poi della Pasqua popolare.
A due anni dallo scoppio della pandemia come saranno i “nuovi” riti pasquali? difficile dirlo. In genere dopo grandi eventi catastrofici i riti e la pietas popolari si rafforzano, si ripropongono ancora più sentiti. Staremo a vedere.
