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Conti di Modica

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di Paolo Monello

Si è già detto che nel Consiglio di Stato sedeva anche l’Almirante di Castiglia, Conte di Modica, Juan Tomàs Enriquez Cabrera (1646-1705), considerato dagli storici locali (da Solarino in poi) come “traditore”.

In verità – come ho già avuto modo di sottolineare – dopo aver combattuto per decenni contro la Francia di Luigi XIV, trovarsi un suo nipote sul trono di Spagna fu cosa assai indigesta per molti nobili spagnoli. E Juan Tomas fu uno di quelli che considerarono la cosa insopportabile. Ma vediamo di sapere cosa gli successe.

Juan Tomàs Enriquez Cabrera (1646-1705), Conte di Modica

Il 13 settembre 1702, il Conte di Modica don Juan Tomàs Enriquez de Cabrera aveva lasciato Madrid, con un seguito di 300 persone e 150 carri, di cui 38 pieni di mobili, biancheria, vasellame prezioso, gioielli, arazzi, tappezzerie e almeno 200 fra i quadri migliori della sua collezione (nel maggio 1701 ne aveva donati 140 al convento di Valdescopezo, dove erano sepolti dal 1477 numerosi esponenti della famiglia Enriquez).

La destinazione era Parigi, dove l’Almirante avrebbe svolto il ruolo di ambasciatore presso Luigi XIV, nonno del nuovo Re di Spagna Filippo V di Borbone. In verità i rapporti tra gran parte della nobiltà spagnola ed il nuovo Re dopo i primi mesi si erano guastati.

Filippo V di Borbone, Re di Spagna

Seguendo le disposizioni di Luigi XIV (che almeno fino al 1709 controllò il governo spagnolo del nipote), numerosi nobili spagnoli furono allontanati dai posti di responsabilità e sostituiti con francesi. Ma il caso dell’Almirante fu emblematico e lo avrebbe consegnato alla storia. Infatti, pur avendo giurato fedeltà al nuovo sovrano, il Conte di Modica – come capo riconosciuto del “partito austriaco” (la regina vedova era stata confinata a Toledo) – fu oggetto dei sospetti di Luigi XIV e della ostilità del Cardinale Portocarrero (forse al soldo di Luigi XIV, che aveva “convinto” Carlo II morente a designare suo erede il giovane parente francese). Il quale, subito dopo l’arrivo di Filippo V a Madrid nel febbraio 1701, lo privò delle cariche a Corte e degli incarichi di governo precedentemente ricoperti.

Luigi XIV, Re di Francia

Fra le prime disposizioni date a suo riguardo da Luigi XIV era quella di allontanarlo da Madrid, anche nominandolo ambasciatore a Parigi, un’idea che rimase silente per circa un anno prima di prendere forma nell’aprile 1702. Infatti, prima di partire per l’Italia, Filippo V lo nominò ambasciatore straordinario a Parigi, ma Portocarrero lo declassò ad ambasciatore ordinario con la riduzione di un terzo del compenso e non ci fu verso di costringerlo a rispettare la disposizione del Re.

Umiliato, don Juan Tomas prese la decisione che maturava da tempo, anche perché la situazione internazionale era mutata. Nel maggio 1702 infatti Inghilterra, Olanda e Austria avevano dichiarato guerra alla Francia, dopo che Luigi XIV aveva tradito il trattato di ripartizione del marzo 1700 (l’ennesimo fatto alle spalle della Spagna) e aveva occupato le Fiandre spagnole, auspicando che Francia e Spagna si unissero sotto un’unica corona.

Il Cardinale Portocarrero

Inoltre Filippo V aveva concesso l’esclusiva della tratta degli schiavi neri ad una compagnia francese: era così scoppiata la prima guerra del XVIII secolo, passata alla storia come Guerra di Successione spagnola (1702-1714). Pertanto si costituì un’alleanza a sostegno del pretendente austriaco al trono di Spagna, l’Arciduca Carlo, cui il padre Leopoldo ed il fratello Giuseppe avevano trasferito i loro diritti (si disse allora che per convincere l’imperatore Leopoldo determinante era stato proprio Juan Tomas).

Per poter realizzare il suo proposito di riacquistare la sua libertà d’azione, il conte di Modica finse di accettare la nomina di ambasciatore ordinario a Parigi e chiese l’autorizzazione ad accendere nuovi prestiti per far fronte alle spese: ancora una volta i beni liberi della Contea di Modica (come fossero un odierno bancomat) gli fecero da garanzia per avere pochi giorni prima di partire due prestiti, il primo di 26.800 scudi e il secondo di 12.000 scudi.

L’Arciduca Carlo D’Asburgo, poi Imperatore Carlo VI

Per il suo piano, chiese alla regina reggente Maria Luisa di Savoia anche una lettera di raccomandazione per Luigi XIV, lasciando a Madrid un corriere che gliela portasse appena scritta dalla regina e partì, dirigendosi a nord, con il suo corteo, di cui facevano parte anche il medico personale e tre padri gesuiti, fra cui il suo maestro Álvaro Cienfuegos, autore di una sua breve biografia premessa alla vita di San Francesco Borgia (1726) e fedele seguace dell’Arciduca poi imperatore Carlo VI.

All’altezza di Medina de Rioseco però deviò dal cammino verso Parigi, con la scusa di incontrare il fratello Luis (sposato con una discendente della famiglia reale Inca) e il nipote don Pascual Enriquez: quindi si fermò a Tordesillas, anche per aspettare la lettera della regina. Quando gli arrivò, la sostituì con un’altra, e la lesse davanti a tutti dicendo che la regina gli aveva ordinato di passare in Portogallo come ambasciatore straordinario per trattare con il Re Dom Pedro II un’alleanza o almeno la neutralità.

Dom Pedro II, Re del Portogallo

Insomma, fuggì in Portogallo, dove chiese asilo e prese subito contatto con l’ambasciatore imperiale, mettendosi a disposizione della “augustissima Casa d’Austria”. La scelta di Juan Tomas impressionò tutti. Persino Luigi XIV, pur ordinandone l’estradizione e la punizione, fu colpito dall’agire di un uomo che per fedeltà ad una causa era disposto a perdere tutto.

Infatti immediatamente fu ordinato di processarlo per tradimento, disobbedienza, falsificazione di lettere della regina e si ordinò il sequestro di tutti i suoi beni spagnoli e siciliani (cioè la Contea di Modica e le baronie di Alcamo e Calatafimi). La rottura non poteva essere più totale ed infatti, dopo un processo segreto (in cui testimoniò anche il nipote don Pascual, fuggito a sua volta dal Portogallo dopo aver seguito lo zio, ignaro dei suoi piani), nell’agosto 1703 l’Almirante fu condannato a morte, mentre tutti i suoi beni venivano man mano confiscati.

I castelli in Sicilia dei Conti di Modica. (Sopra) quello di Alcamo, (sotto) quel che rimane di quello di Modica distrutto dal terremoto del 1693

Juan Tomas fu così colpito da una tremenda “damnatio memoriae”, che si materializzò con l’ordine di togliere i suoi ritratti dal Duomo di Milano (di cui era stato governatore per 9 anni) e con la distruzione, secondo Villabianca, degli stemmi degli Enriquez Cabrera nella cappella del Castello a Modica, dove le sepolture erano adorne di «…iscrizioni, quali oggi si veggono cancellate per ordine del Governo sul principio del secolo presente decimo ottavo insieme con tutte le altre più antiche, e moderne di tutti i Conti di Modica a motivo del partito Austriaco, che abbracciò in detto tempo il Conte Gio. Tommaso Enriquez…».

La Contea di Modica nel XVII sec. e gli stemmi della famiglia Enriquez

In un primo tempo lo si era solo condannato all’esilio, ma dopo che gli si attribuì la responsabilità di aver convinto il re del Portogallo ad entrare nell’Alleanza contro Filippo V, gli si comminò la pena di morte. Dopo la condanna, l’Almirante pubblicò un Manifesto politico che fece molto scalpore anche all’estero (fu tradotto e stampato in inglese), in cui, riaffermando la sua lealtà e devozione agli Asburgo e al ramo austriaco, spiegava le ragioni della sua scelta, accusando il Duca D’Angiò (mai chiamato “Re”) di aver asservito la Spagna alla Francia, additando il Cardinale Portocarrero e il suo circolo come coloro che avevano plagiato il morente Carlo II a favore del nipote di Luigi XIV.

Manifesto politico in cui don Juan Tomàs Enriquez Cabrera riaffermando la sua lealtà e devozione agli Asburgo spiegava le ragioni della sua scelta

Accusava in particolare Portocarrero di aver falsificato il testamento dell’ultimo degli Asburgo spagnoli con l’aggiunta della clausola dell’obbligo delle nozze tra il nuovo Re ed una Arciduchessa austriaca, proposta peraltro respinta dall’Imperatore Leopoldo (in seguito l’Almirante scrisse anche i testi dei proclami dell’Arciduca e del Re del Portogallo).

Nella complicata vicenda della guerra, Juan Tomàs giocò un ruolo assai importante, agendo come un vero e proprio inviato dell’imperatore, riuscendo a far passare il Portogallo dalla neutralità al fronte della Lega. Convinse anche Leopoldo a mandare suo figlio, incoronato Re di Spagna a Vienna nel settembre 1703 col nome di Carlo III, a Lisbona per guidare l’attacco alla Spagna.

Guerra di successione. L’assedio di Barcellona (1706) con la flotta anglo-olandese che obbligò i borbonici di Filippo V a ritirarsi dalla città

Il giovane raggiunse Lisbona nel marzo 1704. Ad accoglierlo Juan Tomàs, che fu nominato Generale della Cavalleria. Ma anche nel circolo dell’Arciduca a Lisbona non mancavano i contrasti e sulla strategia da seguire l’Almirante fu messo in minoranza (diceva che nel circolo di Carlo tre soli ragionavano: l’Arciduca, il nano ed il cavallo…).

Juan Tomàs Enriquez de Cabrera, in un primo tempo spalleggiato dagli Inglesi (che avevano approfittato della situazione per impadronirsi di Gibilterra), proponeva di invadere la Castiglia dall’Andalusia. Prevalse invece la linea d’attacco alla Catalogna, che si pensava si sarebbe sollevata contro Filippo V. Ma Juan Tomàs non era destinato a vedere la fine della Guerra di Successione.

La cartina politica d’Europa di inizio ‘700

Infatti subito dopo quel consiglio di guerra in cui era stato messo in minoranza, il 29 giugno 1705 morì all’improvviso ad Estremoz, all’età di 59 anni, forse per un ictus. La sua morte fu salutata con piacere a Madrid e a Parigi, dove alcuni ministri di Luigi XIV avevano pensato anche di farlo uccidere a Lisbona…). Il re del Portogallo, Dom Pedro II, si occupò delle sue esequie e l’Almirante fu sepolto nella cappella maggiore del convento di San Francisco ad Estremoz.

Il convento di San Francisco nella città portoghese di Estremoz, dove fu seppellito don Juan Tomàs Enriquez Cabrera nel 1705

di Paolo Monello

Le prime notizie sui tragici eventi siciliani erano pervenute a Madrid ai primi di marzo. Infatti già il 7 marzo il Consiglio di Stato aveva esaminato il contenuto delle informazioni arrivate da Napoli e trasmesse dal viceré, il Conte di Santo Stefano.

Questi, infatti, con data 30 gennaio, aveva fatto arrivare a Madrid copia di una nota inviatagli dal Marchese Garofalo, Preside della Provincia di Cosenza, relativa ai leggeri danni subiti dalle Due Calabrie l’8 e l’11 gennaio. Niente al confronto di ciò che era accaduto in Sicilia, come facevano presagire invece le lettere di don Baltasar Bazan, Governatore del porto di Messina, del protomedico don Domenico Bottone (autore poi dell’opera “De immani Trinacriae terraemotu”, una copia della quale mi è pervenuta dalla Royal Society di Londra) e del Castellano di Catania don Joseph de Bustos (che a stento si era salvato), con notizie di “rovine e stragi” in numerose città e terre del Regno di Sicilia.

Francisco IV de Benavides y Dávila, noto anche come Conte di Santo Stefano (1640 – 1716). Vicerè di Sicilia dal 1678 al 1687 e Vicerè di Napoli dal 1687 al 1696

Non essendo ancora arrivate lettere ufficiali da Palermo da parte del Viceré, il Duca di Uzeda, e non conoscendo bene l’entità del disastro, il Consiglio di Stato, nella certezza che comunque da un simile evento si dovevano temere gravi perdite nelle entrate patrimoniali dello Stato, non poteva fare altro che suggerire al Sovrano di voler “ordinare si facessero delle rogatorie per placare l’ira divina, ma che si facessero solo al chiuso, nei conventi e senza manifestazioni esterne, per non aggiungere al comune sconforto un simile genere di afflizioni pubbliche”. Con il termine “rogatoria” si intendevano pubbliche processioni, con litanie, per impetrare il perdono divino, a volte anche con effusione di sangue da parte dei partecipanti, con afflizioni varie.

Un rilievo scultoreo di Don Juan Francisco Pacheco, Viceré di Sicilia e Duca di Uzeda

Del Consiglio di Stato nel marzo 1693 facevano parte il Duca di Ossuna, il Cardinale Portocarrero (che gran parte avrà in seguito nel “convincere” Carlo II morente a designare suo erede il candidato francese, il Duca Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV), il Marchese di Mancera, l’Almirante di Castiglia, il Conte di Frigiliana, il Marchese di Villafranca (Presidente del Consiglio d’Italia), il Duca dell’Infantado ed il Duca di Montalto.

Non mancarono in quella seduta gravi preoccupazioni per la situazione militare nel Mediterraneo, per l’entrata delle flotte inglese e olandese, con la necessità di inviare in Sicilia quanti più soldati possibile di fanteria, per riparare all’indebolimento in cui si sarebbe trovato l’esercito di stanza nell’isola a seguito dei gravi danni subiti dalle fortezze di cui già si aveva cenno.

Il Cardinale Luis Manuel Fernández Portocarrero e il Duca Filippo d’Angiò salito al trono di Spagna con il nome di Filippo V

Il Marchese di Villafranca aggiunse che fortunatamente per la Sicilia, nei mari italiani c’era la flotta spagnola che avrebbe potuto assistere quelle popolazioni dove fosse necessario. Di questo intervento della flotta spagnola in Sicilia nulla sappiamo ad oggi: in documenti anteriori e successivi al terremoto leggiamo invece che fu la Sicilia, devastata e bisognosa di tutto, a continuare a fornire denaro e frumento – per la guerra contro la Francia – al Duca di Savoia e al Governatore di Milano, rivelatisi insaziabili e voraci divoratori del sangue della povera Sicilia prima, durante e dopo il terremoto.

Resti dell’architettura iblea pre-terremoto: (da in alto a sinistra in senso orario) il portale di San Giorgio a Ragusa Ibla, il castello di Noto antica, l’arco dell’Annunziata a Chiaramonte, un portale dell’antica Giarratana e il portale gotico dell’ex convento del Carmine di Modica

Come ho già scritto, del Consiglio di Stato faceva parte don Juan Tomas Enriquez de Cabrera, Duca di Medina de Rioseco, Almirante di Castiglia, che in quanto Conte di Modica era stato duramente colpito dalle gravissime distruzioni subite dalla Contea. Il quale però – come si apprende da una nota dei Maestri Razionali del 6 maggio 1693 – non sembrava essersi reso conto “della universal rovina”, al contrario di altri feudatari delle terre vicine “che si sono impegnati fino alle camicie per diseppellire le loro terre dalle rovine e precipitii in cui li ridusse il terremoto” (Giovanni Morana, “L’indomani dell’11 gennaio 1693 nella Contea di Modica”, 1997, pag. 53).

Don Juan Tomas Enriquez de Cabrera, Conte di Modica dal 1691 al 1702

Tra i documenti del Consiglio d’Italia troviamo un verbale del 15 maggio 1693 in cui si autorizza in via del tutto eccezionale l’estrazione da tutti i caricatori del Regno delle 12.000 salme di frumento annue della cui esportazione il Conte di Modica godeva sin dal 1392 (privilegio confermato nella costosa transazione del 1451, per pagare la quale Giovanni Bernardo Cabrera aveva venduto nel 1453 Comiso a Periconio Naselli ed altre terre ad altri): autorizzazione prima negata dal Viceré, il Duca di Uzeda, perché il Conte di Modica poteva esportare solo dai caricatori di Pozzallo, Termini e Castellammare ma poi concessa su parere del Tribunale del Real Patrimonio in base ad un memoriale sui danni della Contea (che purtroppo non abbiamo), dove appunto Juan Tomas giustificava tale necessità di esportare da tutti i porti del Regno per la grave situazione debitoria in cui già versava e che era peggiorata a causa del terremoto.

Le rovine del castello dei Conti di Modica

Passato alla storia come “traditore”, in verità Juan Tomas Enriquez fu personaggio notevole del regno di Carlo II. Nato a Genova nel 1646, fu XI Almirante di Castiglia, VII Duca di Medina de Rioseco, Conte di Melgar e di Modica, visconte di Cabrera e Bas, Grande di Spagna, Gentiluomo di Camera di S.M., Capitano della Guardia Reale. Questi i suoi titoli, conquistati in gran parte sul campo.

Juan Tomas non fu infatti solo un cortigiano. Dopo una gioventù scapestrata (come quella di altri nobili spagnoli dell’epoca), il padre Juan Gaspar lo avviò alla carriera militare. Dal 1671 svolse il servizio militare a Milano, con la carica di Maestro di Campo del Tercio, poi fu Generale della Cavalleria, ambasciatore straordinario a Roma (1676), Governatore di Milano per ben otto anni (1678-1686), nuovamente Ambasciatore a Roma (1686) e poi Vicerè di Catalogna nel 1688. Ritornato a Madrid, dopo la morte del padre, nello stesso 1691 entrò nel Consiglio di Stato e negli anni convulsi della lenta agonia di Carlo II, con la Corte dilaniata dai “partiti” francese, bavarese ed austriaco, venne riconosciuto come uno degli uomini più potenti di Spagna, pur non essendo formalmente un primo ministro.

I possedimenti spagnoli in Europa nel ‘600

Juan Tomas fu l’ultimo Almirante perché dopo qualche esitazione, giurò fedeltà al nuovo re Filippo V e su richiesta di Luigi XIV fu nominato ambasciatore a Parigi dal cardinale Portocarrero suo acerrimo nemico, ma con pochi poteri ed ancor meno risorse: al solo fine di essere allontanato dalla Corte. Finse di accettare e nel settembre 1702 partì da Madrid con decine di persone al seguito e numerosi carri pieni di mobili e suppellettili (e gran parte della sua raccolta di quadri), diretto verso la frontiera con la Francia.

Arrivato però a Medina, deviò verso la frontiera portoghese, portando con sé il nipote Pascual (che subito però capita l’intenzione dello zio tornò a Medina e per questo dopo la pace di Vienna del 1725 riavrà la Contea di Modica). Accolto dal re del Portogallo e dagli Inglesi che controllavano il regno, fece parte dei sostenitori dell’arciduca Carlos (figlio dell’imperatore d’Austria Leopoldo) e fu uno dei comandanti delle truppe alleate nella guerra di successione.

La Contea di Modica nel XVII secolo

Morì all’improvviso dopo un consiglio di guerra, ad Estremoz, il 29 giugno 1705. Dopo la sua fuga, era stato condannato a morte per tradimento e tutti i suoi beni sequestrati. La Contea di Modica divenne possesso personale del Re Filippo V, che in seguito abolì il titolo di Almirante di Castiglia. Ma oltre che per la sua sfortunata vicenda politica, Juan Tomas merita di essere ricordato per altro: la sua straordinaria collezione d’arte che in parte portò con sé in Portogallo e che dopo la sua morte fu acquistata dall’arciduca Carlo, che in seguito la trasferì a Vienna nel nuovo Museo da lui creato: il primo nucleo del Kunsthistorisches Museum.

L’Arciduca Carlo d’Asburgo pretendente al trono di Spagna (nel 1711 diventò Imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo VI) e il Kunsthistorisches Museum dove si conserva parte della collezione d’arte degli Enriquez-Cabrera, acquistata proprio da Carlo.

Già, perché non molti sanno che gli Enriquez furono tra i maggiori collezionisti d’arte del Siglo de Oro spagnolo: una collezione nata dall’amore per l’arte dell’antenata italiana Vittoria Colonna, da lei trasmessa al figlio Giovanni Alfonso (1596-1647), da questi a sua volta al figlio Giovanni Gaspare (1625-1691) e quindi a Giovanni Tommaso. E poiché le notizie sulle collezioni meritano di essere riprese (ne ho già parlato altrove) i lettori mi consentiranno di discostarmi un po’ dall’oggetto principale ed accennare all’amore per l’arte della duchessa e contessa Vittoria Colonna, fondatrice della città di Vittoria e dei suoi figli e nipoti.

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