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Cultrera di Montesano

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di Giuseppe Cultrera

Più che una lettera è il biglietto d’accompagnamento di un cortese omaggio, da parte di un ricco commerciante vittoriese a una nobildonna chiaramontana. E si apre uno spaccato di vita quotidiana e sociale, del primo ottocento, in questo lembo della Sicilia orientale. 

Eccellenza 
Giusto in punto mi viene mandato da Scoglitti un pesce, e quindi mi fo un dovere spedirlo sperando esser gradito in famiglia, e perdoni l’ardire. Pure le spedisco poche patate che ho a stento potuto avere.
Ben presto spero sentire lo ristabilimento della Sig.ra Baronessa, assicurandole che siamo disturbatissimi di tale malattia ma speriamo tutto finito. La rispetta molto mia moglie…

Una lettera alla baronessa
La lettera del 1854 e ritratto di Donna Marianna Cultrera (foto Montesano)

Chi scrive è un agiato possidente e commerciante vittoriese, Don Rosario Carfì Pavia, fornitore di derrate e, sicuramente, del buon vino che produceva nella sua azienda. La destinataria del “cortese” dono è la baronessa Marianna Cultrera di Montesano (1772 – 1858), già in età avanzata e di salute malferma (tra l’altro ribadita nella lettera). È datata Vittoria, 14 giugno 1854.

Pertanto, la baronessa ha la rispettabile età di 82 anni: notevole per quei tempi e, tenuto conto che aveva sopravanzato il barone Don Paolo Cultrera, suo fratello, il figlio di costui, Salvatore  (1786 – 1848) e il figlio di quest’altro, Francesco Saverio (1815-1841), scomparso alla giovane età di 25 anni, lasciando l’erede di appena due mesi, il futuro barone Paolo (1841-1907). 

Una lettera alla baronessa
Ritratto del Barone Salvatore Cultrera di Montesano, la moglie Giulia Scammacca e il figlio Francesco Saverio

L’anziana zia sarà, assieme alla giovane vedova, un’altra  premurosa madre; continuando a esprimere una indiscussa autorità matriarcale. Nella vita privata e sociale era stata un’attiva presenza per mezzo secolo. Ad esempio, si deve a lei e alla cognata Giulia Scammacca (1780 – 1871), moglie del nipote Salvatore, il restauro e l’indoratura dell’interno del Santuario di Gulfi nel 1857, come può ancora leggersi in un cartiglio sull’arco d’ingresso del Santuario. Insomma, una donna legata alla vita sociale, culturale e religiosa di Chiaramonte. 

Altro spaccato di storia sociale si lega alla figura dello scrivente, Don Rosario Carfì Pavia (Vittoria 1820 – 1870), che vantava un’antica e solida amicizia con la famiglia Cultrera di Montesano. E che era stato un giovane e brillante studente universitario a Palermo con rosee prospettive professionali, interrotte però bruscamente da problemi familiari che lo ricondussero a Vittoria, dove intraprese l’attività commerciale di derrate e vini, divenuta ben presto florida. Dalla famiglia Cultrera aveva acquistato circa dieci salme di terreno a vigneti. Era nato così un rapporto, oltre che commerciale, anche amicale. 

Una lettera alla baronessa
Ritratto di Don Rosario Carfì Pavia. Scoglitti, carico delle botti pronte per l’imbarco

I Carfì Pavia, di padre in figlio, continueranno a espandere le attività commerciali, specie nel settore dei vini: “il vino degli Scoglitti” come lo avrebbe definito Domenico Sestini (Memorie sui vini siciliani, 1991), varcherà, per tutto l’ottocento, i confini iblei per approdare in Europa.

Questo e altro si legge in un pezzo di carta consunta dal tempo. Anche grazie alla  cortesia di Arturo Barbante (collezionista di memorie e curiosità) e del dott. Salvatore Carfì Pavia (erede della famiglia di imprenditori e vinaioli vittoriesi) cui devo alcune immagini e notizie.

Foto tratte da “SENZATEMPO” volume n.6