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di Giusi Pizzo

È possibile, nel tirannico spazio di 30 minuti, spiegare a circa ottanta alunni di terza media che cos’è la Filosofia e perché essa ci interpella ancora e sempre nella “lingua favolosa” della civiltà occidentale?

Gli alunni di III D e alcuni alunni/e di II D e V A ginnasio del Liceo classico “Umberto I” di Ragusa – guidato dalla Dirigente Tina Barone – ci hanno provato, giovedì scorso, nell’ambito delle attività di Orientamento e di prima alfabetizzazione alla lingua greca che, ogni anno, si svolgono presso la sede del Liceo, curate dalle docenti di Lingua greca e destinate agli alunni delle classi terminali delle scuole medie della provincia iblea.

Un intenso momento di riflessione, durante il quale gli studenti, guidati dalle loro docenti di Lingua greca e di Filosofia, hanno dato voce ad Aristotele, a Pitagora, a Socrate e a Platone attraverso le parole della Metafisica, del Simposio, dell’Apologia di Socrate ma anche attraverso brevi testi “costruiti” sui personaggi che, di volta in volta, hanno preso la parola. Così Pitagora di Samo, per esempio, costretto per motivi politici a fuggire dalla sua patria, ha ricordato la sua “isola sull’Egeo color cobalto, laddove le viti e gli ulivi danno frutti abbondanti”.

Una nostalgia pungente ma breve, subito svanita per fare posto alla ieratica, quasi leggendaria figura del mago, musico e matematico che ascolta l’armonia degli Astri e legge nel segreto delle cose. Lui racconta che “filosofo è colui che va alla gran festa di Apollo non per divertirsi, non per incontrare gente, né per fare affari, ma per vedere”. D’altronde la filosofia, come la civetta sacra ad Atena, vede dove gli altri vedono solo ombre e tenebre.

E Diotima, la sacerdotessa di Mantinea a cui Platone affida la verità sulla natura di Eros, tramite le voci all’unisono di Vittoria e Federica, definisce il filosofo “simile ad Eros, figlio di Ingegno e Povertà”. Un mezzo-dio che sta tra la sapienza e l’ignoranza: “Infatti, nessuno degli dei ama la sapienza, né desidera diventare sapiente, poiché lo è già. D’altro canto, nemmeno gli ignoranti amano la sapienza, né desiderano diventare sapienti, poiché pensano di non esserne privi. Eros, invece, è amante della sapienza, è desiderio di ciò di cui manca”.

Il filo della riflessione, teso tra passato e presente, si è snodato a partire dalle domande fondamentali che l’umanità, da sempre, tra mýthos e logos, si pone grazie alla capacità di provare meraviglia difronte alle cose del mondo e all’esistenza. Così Giulia ha spiegato il significato del termine θαῦμα (thauma/meraviglia) e del verbo Θαυμάζειν, come l’angosciante stupore, il movente profondo della mitologia, della religione, della filosofia, della scienza stessa, modi diversi di cercare risposte al turbamento provocato appunto dalla “meraviglia” e dalla terrifica scoperta che ogni cosa nasce e muore (è in divenire).

La figura di Socrate, poi, ha reso possibile la focalizzazione del tema della scelta e della conoscenza di sé, perché “Se ignori le meraviglie della tua casa come pretendi di trovare altre meraviglie?”. Alessandro e Mattia hanno rievocato la calunnia sulla sapienza di Socrate, pronunciata dall’oracolo di Delfi: “La domanda era: c’è un uomo più dotto di Socrate? Affiorò la voce della sacerdotessa: nessuno era più dotto!” Socrate, che per molto tempo prova imbarazzo sul senso di quel dire, infine capisce perché l’oracolo lo ritiene sapiente: perché sa di non sapere. Proprio perché sa di non sapere desidera mettersi alla ricerca delle risposte che non conosce.

La sua ricerca, che è anche la ricerca di ogni uomo, presuppone l’indagine su se stessi e la conoscenza di sé. Il motto γνῶθι σεαυτόν (Conosci te stesso) è un invito a scoprire la via dell’eudaimonia, cioè della felicità, laddove il termine “felicità” significa anche “prendersi cura del proprio talento”, in direzione di un benessere inteso come una particolare condizione in cui le capacità della persona maturano e si esprimono. Scoprire il proprio daimon, dunque, è il segreto di una buona scelta, condizione “filosofica” di chi si trova a decidere dentro quale spazio e luogo educativo, umano e relazionale intende trascorrere gli anni di formazione e di costruzione di sé.

Perché scegliere, dunque, il Liceo classico, oggi, tempo in cui impera il cosiddetto paradigma della spendibilità? È vero, come sostengono i detrattori, che al Liceo classico impari un mucchio di cose che non ti serviranno? Agnes Heller definisce “cose inutili” il greco antico, il latino, la matematica pura e la filosofia, ma dice anche che questo bagaglio di sapere inutile consente di fare tutto, “mentre col sapere utile si possono fare solo piccole cose.”

Insomma, discipline come metodi formativi che insegnano a pensare. E quale sia l’urgenza sociale e globale di formare menti pensanti è drammaticamente chiaro, come lo sguardo della “fanciulla dagli occhi di gufo, nata dalla testa di Zeus”.