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Demanio forestale

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di Giannandrea Giallongo

Il territorio del demanio forestale che si estende da sud a nord nel territorio ibleo, in cui si trovano incastonate anche le tre comunità montane di Chiaramonte Gulfi, Monterosso Almo e Giarratana, è da sempre soggetto al proliferare di incendi dolosi che straziano e lacerano l’uniformità dei pini, padroni indiscussi della flora arborea, tanto da poter essere definita pineta.

Chiaramonte e la sua pineta

La categoria di bosco, alle medie latitudini, in ecologia, viene infatti definita in base alla specie di albero più abbondante. Ma la pineta è destinata a rimanere tale?

Iniziamo ad analizzare il contesto. Nonostante le ragguardevoli dimensioni di alcuni pini, il bosco è abbastanza giovane, meno di 100 anni. Prima, infatti, escluse alcune aree circoscritte, erano campi o “lenze” coltivate.

Paesaggio tipico tra i campi dei monti iblei a circa 800 mt dal livello della mare

I pini piantati hanno impiegato pochi decenni per svilupparsi bene e iniziare a creare il tipico sottobosco da pineta, costituito dagli aghi secchi che formano un cuscino omogeneo sul suolo. La loro funzione è quella di mantenere un certo grado di umidità e temperatura, nonché limitare la penetrazione della luce  per favorire gli organismi (funghi, batteri e lombrichi) necessari alla formazione dell’humus.

Il tipico sottobosco delle pinete

Questi alberi presentano un particolare adattamento ecologico chiamato serotinia, ovvero una riproduzione aiutata dal fuoco, che oltre a stimolare il pinolo a germogliare, bruciando la resina che ne blocca l’uscita, ne provoca il rilascio dalla pigna. Il passaggio di un incendio quindi può diventare un vantaggio per le piante, perché innesca proprio il rilascio dei suoi semi.

Considerato poi che la pineta è di origine antropica, la natura non aiuterà certamente la sua conservazione così come ci appare oggi. Questa, infatti, non tollera un ecosistema statico, ma al contrario favorisce le trasformazioni con i suoi tempi, che sono diversi dai nostri.

Il fuoco può diventare un vantaggio per una pineta, perché innesca il rilascio dei semi degli alberi

Da quanto sostenuto le possibili alternative future per la nostra pineta sono fondamentalmente tre:
– Qualora non venissero trapiantati nuovi alberi, presto o tardi, l’alta resilienza della macchia mediterranea ci riporterà i vecchi campi.
– Se saranno trapiantati nuovi pini sarà una lotta contro la natura, che a lungo termine siamo destinati comunque a perdere, tornando, come nel primo caso, ad avere i campi.
– Al contrario, se ripopolassimo la pineta con alberi superiori, quali querce, faggi, pioppi, castagni e noccioli, aiuteremmo il naturale processo di formazione del bosco e di successione ecologica, consolidando lo stesso bosco.

Alberi di castagno

Queste piante, infatti, hanno bisogno di un sottobosco preparato già dai pini per poter crescere e prosperare, inoltre non permettono la diffusione del fuoco (loro nemico naturale) in maniera così semplice come tra i pini. A questo scopo è necessario ricorrere ai principi di selvicoltura: disciplina che si occupa della gestione del bosco in maniera sostenibile, abbracciando insieme ecologia e sviluppo economico, quale ad esempio la produzione di legname.

Una quercia

Per far spazio alle nuove piante superiori dovremmo ovviamente togliere i pini caduti e quelli bruciati nell’incendio del 2017, che peraltro potrebbero generare un qualche guadagno se venduti come legname, anche se poco pregiato.

Tratto della pineta chiaramontana bruciata dalle fiamme del 2017

Servendoci della selvicoltura, come scienza, non solo avremo benefici economici, ma la stessa natura sarà nostra compagna d’arme invece che nemica. Un bosco misto con la presenza di querce porterebbe notevoli vantaggi a fauna e flora, arricchendo la lista delle specie del territorio ibleo con un ritorno economico per il territorio. Per esempio, gli allevamenti di maiali locali alimentati a ghiande autoctone (vedi nebrodi e maialino nero) non potrebbero che migliorare la qualità della famosa salsiccia chiaramontana.

Un bosco del parco dei Nebrodi

Il mio vuole essere anche un appello alle istituzioni competenti perché evitino di ostacolare il divenire della natura ma, al contrario, cerchino di assecondarla verso una direzione più naturale e più proficua per tutti.

Giannandrea Giallongo, biologo marino, ha conseguito la laurea all’Università di Lecce. Ha preso parte ad alcuni progetti internazionali che gli hanno consentito periodi prolungati di permanenza all’estero, sia per conto dell’Università di Lecce, che per l’Università di Pisa. Esperienze che gli hanno consentito di apprezzare altre culture e alimentato la sua passione per i viaggi. Il suo interesse per la natura lo coltiva quotidianamente con svariate attività, sia sulla terraferma che in ambiente acquatico.