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di Vito Castagna

(CANTI XXI-XXII)

«Vada Malacoda!» urlarono i demoni. Virgilio rimase impassibile sul ponte che conduceva alla quinta bolgia. Il diavolo si fece avanti, osannato dai suoi e si parò dinanzi a lui. «Perché siete qui?», sputò tutto d’un fiato. «Lasciaci andare, Malacoda, perché questo nostro viaggio è voluto dal Cielo». A quelle parole l’abominio gettò a terra il suo uncino e perse ogni spavalderia. I compagni, dal canto loro, lo guardarono increduli e strinsero ancora più forte le loro lance uncinate, mentre coi denti ringhiavano contro Virgilio. Malacoda intimò ai suoi di smettere: «Non avete sentito? Non fategli alcun male!».I diavoli Malebranche

Solo allora il mio maestro si voltò verso lo sperone roccioso dietro al quale mi nascondevo. «Puoi venire, non c’è più pericolo». Percorsi il tratto di ponte che ci separava ma, quando fui accanto a Virgilio, i diavoli mi si fecero incontro. Temetti che non volessero rispettare i patti. Quelli ci giravano intorno, pronti ad assalire la preda: «Vuoi che lo colpisca alla schiena?» disse uno, un altro rispose: «Sì, dagli un bel colpo». Malacoda afferrò quello per un braccio: «Sta fermo, Scarmaglione!». Poi, si rivolse a noi: «Il ponte che collega la quinta alla sesta bolgia è crollato. Dovrete procedere lungo l’argine, lì troverete un nuovo ponte. I miei diavoli vanno in quella direzione per controllare che i dannati non escano dalla pece. Andate con loro, non vi daranno fastidio».

Il demone scelse dieci abomini, nominandoli uno ad uno. Quelli si raccolsero ma, solo dopo il peto del crudele Barbariccia, cominciarono ad attraversare il ponte. Non ci restava che seguirli. Sotto di noi la pece ribolliva e con essa i barattieri che vi si immergevano a forza. Alcuni peccatori però, col desiderio di trovare sollievo dalla pena, facevano emergere la schiena da quel catrame e poi, timorosi che i diavoli li arpionassero, la rimmergevano velocemente.I diavoli Malebranche

Durante la nostra marcia scorsi un dannato che si attardava sul pelo della pece. Non fui il solo. Graffiacane, uno dei diavoli, lo afferrò per i capelli col suo uncino e lo estrasse mostrandolo agli altri come un premio. «Rubicante, scuoialo!» gridarono tutti. Mi rivolsi a Virgilio: «Vorrei sapere chi è quello sventurato». Il mio maestro si avvicinò alla vittima che si dimenava in aria e quella rispose: «Nacqui in Navarra… Mia madre mi mise al servizio di un signore, un suicida! Poi servii re Tebaldo». Ad un tratto un demone lo ferì con un dente che pareva la zanna di un cinghiale. Barbariccia, invece, prese il peccatore per le braccia: «Fatevi da parte, adesso lo infilzo!». Mentre lo guardava dimenarsi si voltò verso Virgilio: «Fagli qualche domanda ora, prima che lo facciamo a pezzi!».I diavoli Malebranche

Il mio maestro era visibilmente raccapricciato, ma obbedì. I due cominciarono a parlare degli italiani che erano presenti nella bolgia. D’un tratto Libicocco trafisse il braccio del prigioniero con l’uncino: «Abbiamo atteso abbastanza!» e gli strappò la carne dall’arto. Un altro infierì su una gamba. Guardandosi le ferite, si rivolse a noi e ai suoi aguzzini: «Se volete vedere toscani e lombardi, li farò venire, ma i demoni stiano lontani, altrimenti nessuno vorrà avvicinarsi». Cagnazzo urlò: «Senti che ha escogitato per rigettarsi nella pece!». Allora, il dannato si difese dalle accuse e i demoni, convinti, arretrarono per non farsi scorgere dai peccatori. Il navarrese, con un rapido movimento, posò i piedi a terra e si divincolò. Con un tuffo si immerse nella pece bollente, suo tormento e salvezza. I demoni infuriati lo inseguirono volando, ma fu tutto inutile. Irati, si scagliarono uno contro l’altro. Alcuni caddero nella pece, ricoprendosi le ali di catrame. Mentre quelli si graffiavano e mordevano, io e Virgilio fuggimmo.I diavoli Malebranche

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ovvero
Distruggi il boss finale e arriva in paradiso

di Giulia Cultrera

Quante probabilità ha una persona, tendenzialmente immorale, di redimersi e intraprendere un percorso di crescita personale? Molte, se a guidarla in questa complicata, quanto bizzarra, missione è un insegnante di etica.

The Good Place presenta un format unico nel suo genere, riuscendo a condensare numerosi insegnamenti filosofici all’interno di una struttura narrativa per lo più comica e surreale, a tratti grottesca.

Il tutto si può paragonare a un videogioco. Abbiamo un’ambientazione idilliaca con frozen yogurt, anime gemelle e un’assistente personale in grado di fornire qualsiasi informazione sull’universo (anche sulla vita e tutto il resto). Non possono certo mancare dei giocatori che si scontrano con il boss iniziale – perdendo sistematicamente –, costretti a ripetere innumerevoli volte lo stesso livello nel The Good Place.
The Good PlaceNon è ben chiaro se sia un genio del male il boss nel torturarli all’infinito o se siano molto svegli i personaggi nello scoprire ogni volta il suo sadico piano. Cambia poco, poiché, nonostante i loro ricordi vengano cancellati ad ogni riavvio del livello, i giocatori riescono sempre a ritrovarsi e a ricreare un profondo legame tra loro. Soltanto collaborando e sostenendosi a vicenda possono diventare delle persone migliori.

E ci riescono alla grande. Portano dalla loro parte persino il boss cattivo e accedono finalmente al livello finale: il Paradiso, The Good Place.

Qui viene dispensata l’ultima pillola di saggezza della serie: ogni cosa è bella proprio perché ha un termine. Compresa l’eternità. Soprattutto l’eternità.

Pur trattandosi del The Good Place, la consapevolezza che esiste una conclusione, che tutto ha un termine, rende l’esistenza davvero meritevole di essere vissuta. Ancor più se il passo successivo è trasformarsi in una coscienza invisibile, una scintilla che incoraggia le persone a diventare, a loro volta, la versione migliore di sé stesse. In un ciclo infinito di livelli chiamato vita.
The Good Place