L’articolo di oggi narra, attraverso le sue stesse lettere, la triste storia di Giuseppe Mantello, giovane soldato chiaramontano partito per la guerra di Russia nel 1942 e mai più tornato. Una tragedia ridiventata attuale per l’assurda guerra di aggressione che coinvolge oggi l’Europa e che si combatte sul suolo ucraino.
Tratto da “Senzatempo” vol.1, la penna è quella del compianto Giovanni Bertucci.
di Giovanni Bertucci
Chiaramonte Gulfi, primavera del 1939. Giuseppe Mantello ha 24 anni, è un ragazzo come tanti che ha studiato quel tanto che basta per leggere e scrivere e aiuta il padre e la madre nei lavori dei campi. Per qualche anno è riuscito a rimandare il servizio di leva militare per motivi di salute, ma ora che si è ristabilito è costretto ad obbedire al richiamo della Patria.
13 gennaio 1940: Vituzza lacono e Giuseppe Mantello sono felici. Hanno coronato il loro sogno d’amore: “calia, simenta e favi caliati” è quanto possono offrire ai pochi familiari per il giorno delle nozze. Ma sono contenti cosi. Giuseppe presta servizio in Sicilia: a Grammichele, a Palazzolo, a Floridia. Le scrive sempre parole affettuose e spesso viene a trovarla.

18 ottobre 1940: è il giorno più bello di Vituzza e Giuseppe: nasce la loro bambina. È bellissima, la chiamano Giovanna. Lui è venuto in licenza, ma deve ripartire presto. L’talia è entrata in guerra da pochi mesi e la gioia del lieto evento si mescola con ansia e la paura di dover partire per la guerra.
18 ottobre 1942: una notizia gela il sangue del soldato Giuseppe: dovrà partire per la Russia; il suo primo pensiero è per la moglie e la figlioletta. Scappa dalla caserma, sa di rischiare molto, ma vuole farlo a tutti i costi. In cuor suo pensa che potrebbe essere l’ultima volta. Saluta i familiari e rassicura di tornare “presto e vittorioso”.
Grammichele, 20 ottobre 1942: è l’inizio del lungo viaggio. Fa provvista di carta, inchiostro e cartoline e sale in treno assieme ai suoi compaesani “Raffieli Ancioletti” e “Salvatore”. Vuole scrivere una cartolina al giorno a Vituzza ed ai suoi genitori per rassicurarli della sua buona salute. Per quanto gli sarà consentito dalla censura, descriverà passo passo il suo viaggio fino in Russia.

22 ottobre: “[…] In questo momento mi trovo a Roma […] Fino ad oggi ho fatto un buon viaggio assieme a Raffieli Ancioletti ed agli altri paesani…”
24 ottobre: “[…] Ci troviamo in terra germanica ed andiamo ancora avanti…”
25 ottobre: “[…] Mi trovo in lugoslovacchia (Cecosclovacchia) […]Abbiamo traversato l’ltalia, l’Austria, la Germania […] Speriamo che Dio mi dia la grazia di tornare presto assieme ai miei compagni […] Fatti coraggio e prega per me e per noi tutti…”
28 ottobre: “[…] Ieri sera ci siamo spartiti con mio fratello Salvatore perché durante il viaggio si è ammalato ed è stato ricoverato in ospedale […] Ti posso dire che qui si vedono persone che fanno proprio compassione, bambini e grandi di tutte le specie […] si vedono tutti scalzi che chiedono da mangiare […] Piu si va avanti e peggio si trova […] Si vedono cose che fanno proprio pietà…e non ti dico altro perché non si può…”

30 ottobre: “[…] Per grazia di Dio siamo tutti in buona salute […] Penso che dovremo fare almeno altri 800 chilometri. Siamo nei territori occupati della Russia Bolscevica […] Abbiamo traversato un fiume di circa 2 chilometri, ci stava un lungo ponte di ferro..”
31 ottobre: “[…] Ci troviamo vicini al nostro arrivo…ti vorrei raccontare tante cose, ma non posso farlo…spero che Dio ci faccia ritornare presto pieni di salute e ricolmi di vittoria…”
2 novembre: “[…] Fino a oggi, da quando sono partito, non ho ricevuto vostre notizie […] Speriamo che tutti i santi mi facciano la grazia di ritornare presto e di rivedere la figliolina Giovanna…”
6 novembre: “[…] Siamo fermi da tre giorni e si aspetta di ripartire da un momento all’altro […] Abbiamo fatto un bel pranzo, abbiamo comprato un coniglio e lo abbiamo mangiato con Raffieli e agli altri […] Te lo dico per farti ridere, stai contenta che io sto benone…”

7 Novembre: “[…] Siamo arrivati in un posto dove c’è la neve e il ghiaccio, però tu devi stare tranquilla perché il freddo lo sopportiamo benissimo…”
9 Novembre: “[…] Ti prego di perdonarmi se non scrivo bene perché le mani sono gelate dal freddo..”
11 Novembre: “[…] Ieri siamo scesi dal treno e abbiamo viaggiato a piedi per oltre 12 chilometri, i giorni sono buoni, ma vi è sempre ghiaccio, di giorno e di notte, ma tu non preoccuparti, perché io sono vestito bene…” (la lettera è censurata in parte)
18 novembre: “[…] Ieri siamo giunti a destinazione […] Siamo stati sempre assieme con Raffieli […] Stiamo bene e quindi tu puoi stare tranquilla […] Non ti ho scritto prima perché abbiamo camminato per i campi e non ho avuto la possibilità di imbucare le lettere […] Vorrei avere tue notizie per conforto […] Non mi mandare pane perché il viaggio è troppo lungo, mandami carta ed inchiostro per potere scrivere agli amici […] Questo è il mio nuovo indirizzo: Giuseppe Mantello 81° Reggimento Fanteria 11° battaglione Compagnia comando posta militare 152. Ho trovato un tenente compaesano, è Gueli Sebastiano, figlio di massa Vito “iaruozzu”, quello che sta a Gelardo vicino al cugino Giovanni Scupetta. Lavora al quartier generale e mi ha detto che mi aiuterà […] Qui si sta bene, state allegri e contenti, anzi ora ti farò un vaglia di circa lire 400 […] Qui siamo al fronte, ma non si sta tanto male […] Ti prego con tutto il cuore di stare allegra…”

22 novembre: “[…] Sino ad oggi non ho avuto nessuna notizia da voi, perciò pensa quanto grande è il mio desiderio […] Spero che il prossimo mese mi arrivi almeno un pacco di sola carta per potere scrivere ai miei amici ed ai miei familiari […] Qui ci sta il grano ancora senza mietuto […] Spero che presto ritorneremo pieni e ricolmi della più grande vittoria e di gioia…”
13 dicembre: “[…] ti voglio fare ridere: non ho mai visto tanti topi come qui, si tratta di migliaia e migliaia di topi, però piccolini, me li vedo venire sopra come le mosche, quando scrivo quando mangio, difatti mi hanno mangiato persino la carta per scriverti, come tu stessa potrai vedere nel foglio dove ti scrivo vi è un muzico di topo […] La lotta è ancora in corso, speriamo che lddio mi accompagnerà sempre […] ora io ti dico che mi trovo al fronte del fiume del Don […] Auguri di buon anno a te sposa mia cara, alla carina Giovanna e a tutti i cari di famiglia…”

Questa è la data dell’ultima lettera che Vituzza riceverà dal marito. Da quel giorno, e per oltre 50 anni, Vituzza lacono non avrà più notizie del suo Giuseppe.
14 dicembre 1993, II Ministero della Difesa scrive alla Signora lacono:
“[…] In seguito ai mutamenti politici avvenuti nell’Europa dell’Est, nel 1991, è stato possibile consultare gli Archivi Segreti a Mosca. Dagli esiti delle ricerche e dai controlli e riscontri effettuati nella documentazione custodita dalla 7ª Divisione Albo d’Oro del Ministero della Difesa, è emerso che il soldato Mantello Giuseppe, prima considerato disperso, è stato catturato dalle FEAA russe, internato nel Campo n.188 TAMBOV Reg. TAMBOV, ove è deceduto il 24 gennaio 1943 e sepolto in fosse comuni unitamente ai caduti di altre nazionalitá. Impossibile pertanto l’identificazione […] Nell’area della sepoltura verranno eretti dei cippi in ricordo dei sacrifici dei soldati…”

Finisce cosi la vita di Giuseppe Mantello: a sud di Mosca, nel bosco di Rada, lungo le rive del “placido Don”. È il 24 gennaio del 1943.
Dai Diari di viaggio di Franco Marchi di Castel Bolognese: “[…] Il campo 188 di Tambov rappresenta per i prigionieri italiani la tomba più grande di tutta la campagna di Russia. In fosse comuni da gennaio 1943 a settembre 1945 sono stati sepolti 8.127 italiani di cui 6.909 nei primi sei mesi. A questi vanno aggiunti circa 4.000 morti durante il trasferimento dai centri di raccolta vicino al Don. Da un solo treno con 1.940 prigionieri proveniente da Kalac, e giunto nella stazione di Rada (Tambov) il 17 gennaio ’43 furono scaricate e sepolte di fianco ai binari 1.340 salme. Erano morti assiderati nei vagoni da dove, per ferite e congelamento degli arti, non avevano potuto scendere e raggiungere a piedi a circa 8 km, il campo di prigionia 188…”
