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di Andrea Biglia

Con i trentaquattro anni di “Corriere della Sera” per buona parte a raccontare i più tormentati fronti di guerra, la cronaca ora gli va un po’ stretta. Chissà: quel sangue siciliano carico di storia e storie che corre nelle vene, la vita avventurosa oltremare di nonno Rocco da Messina e nonna Concetta, il padre Salvatore, “Succio”, volontario nel conflitto Etiopia-Eritrea poi con cartoleria ad Addis Abeba, e infine lui, nato a Milano, che approda, molto giovane, nel tempio del giornalismo di via Solferino.

Già tre anni fa Andrea Nicastro con la collega Francesca Mineo – cognome che non lascia dubbi su radici altrettanto sicule – aveva portato in teatro “Gli Altri: storie di burqa, amore e rabbia nel secolo del jiad”. Trasferiti in azione scenica tempi cruciali seguiti da inviato del giornale in un continente islamico nella piena bufera delle guerre intestine, gli assalti terroristici contro l’Occidente, rigurgiti colonialisti, traffici internazionali di armi e droga, dittature spietate, diritti umani calpestati, sciiti contro sunniti, una religione manipolata dagli interessi delle fazioni.

Andrea Nicastro (foto rtl.it)

Adesso nel suo nuovo libro, “L’assedio – Il romanzo di Mariupol” (Solferino), lo scenario si sposta più a nord. E con il suo taccuino di cronista che ha registrato, passo dopo passo, i tragici 82 giorni che hanno visto stringersi il cappio dell’armata russa sull’ultimo baluardo libero ucraino del Donbass, Nicastro, lo dice il titolo, si cimenta in un’altra prova: non il classico reportage ma quella storia riscritta in forma di romanzo, come spiega la prefazione (in materia non mancano precedenti illustri). Plasmare cioè tanti drammi raccolti in diretta o dalla voce di testimoni – bombardamenti, distruzioni, terrori, morti abbandonati per strada, gente che si rifugia come topi nei sotterranei dell’acciaieria, gelo, fame, eroismi e viltà, amori e illusioni, odi e doppi giochi – come il racconto al nipotino, settant’anni dopo, di una nonna, Alina, scampata a quell’inferno dopo indicibili peripezie.

Mariupol martoriata dai bombardamenti (foto Wikimedia)

Ivan, Olena, Pavel, Olga, Ylenia, Serzas e tanti altri personaggi che popolano le 268 pagine sono allora i nomi in cui si raccolgono pezzi di decine di vicende coordinate tra loro con qualche guizzo di immaginazione. Nel 2092, anno in cui si data il libro, l’Andrea Nicastro romanziere può permettersi questi lussi senza tradire l’Andrea Nicastro fedele cronista del febbraio 2022, quando era finito nella trappola dell’assedio di Mariupol, la tenaglia dei carri armati russi ormai a pochi chilometri, senza scorte né equipaggiamento e senza che i colleghi reporter in fuga gli offrissero un passaggio sui loro mezzi. È stata una non meglio identificata “signora in rosso”, ricorda, ad aprirgli la portiera dell’utilitaria portandolo via in extremis prima che la città cadesse nelle mani degli aggressori. “Una magia”, sottolinea l’autore. Qualche volta capita.

L’acciaieria di Mariupol, teatro dell’ultimo tentativo di resistenza ucraina (foto open.online)

Sotto l’incalzare dei tragici eventi i personaggi del libro rivelano la loro autentica identità umana. L’ufficiale medico Veronika che non può abbandonare i feriti nell’improvvisato ospedale sotterraneo e, prima che il cerchio di fuoco degli assedianti si chiuda, affida a un’operaia la figlioletta, Alina appunto, perché la conduca di nascosto in un orfanatrofio della Russia profonda dove la piccola per dieci anni dovrà dimenticare di essere ucraina, una “nemica”.. Pavel, il panettiere della Donetsk già conquistata dai russi, che non esita a schierarsi con le truppe di Mosca convinto dalla propaganda putiniana che i resistenti di Mariupol siano “nazisti” senza ricredersi quando scopre che due suoi commilitoni hanno violentato la sua Natalia.

Ma quando dalle cannonate si passa al fucile, al corpo a corpo per le strade cittadine e vedi in faccia il nemico che devi uccidere un bagliore gli illumina la coscienza: questa non è più guerra, ma lotta fratricida. Caino contro Abele. La corsa di Olga intirizzita da pioggia e gelo sotto un cielo che sputa fuoco verso la casa dei genitori dell’ex marito in una zona più protetta. Masse di disperati uniti dalla zuppa calda offerta nelle cantine dai volontari ma divisi tra chi, sfoderando l’orgoglio degli antichi cosacchi che avevano qui la base navale, vuol resistere a tutti i costi e chi non ci sta: tanto la Russia ha vinto anche contro Napoleone e Hitler.

Donetsk. (Sopra) La prigione distrutta di Olenivka. (Sotto) La stazione ferroviaria bombardata (foto euronews.com e agenzianova.com)

E poi Ivan, al quale è dedicata una particolare attenzione. Un ragazzo con le sue naturali contraddizioni che aveva cominciato ad assaporare il gusto di un mondo nuovo quando nella vecchia città mineraria erano arrivate l’università, i computer e i locali dove ascoltare il rock. Poi tutto crolla. La famiglia in preda ai dissidi, il padre ingegnere, asciutto nel fisico e nella mente razionale mentre lui, troppo fragile, “abbonda in tutto”. Cercare di fuggire, restare? Ivan, dopo l’ennesimo bombardamento, finisce per trovarsi sdraiato su una barella e sente un medico, che lo ritiene assopito, riferire al cellulare di un suo paziente in condizioni gravissime. È lui quel paziente? E ricordandosi di una serie tv americana si tasta il polso per sentire se è ancora vivo.

Bambini rifugiati nei sotterranei delle acciaierie di Mariupol

In alcune pagine particolarmente intense il lettore attento può cogliere citazioni da importanti romanzi russi come là dove nonna Alina richiama al nipote un passo di “Guerra e Pace”, la disfatta della campagna francese nell’impero russo con il ritiro disordinato dei soldati non più disposti a ubbidire agli ufficiali che imponevano di tenere duro: “quella esitazione morale che decide le sorti delle battaglie”. Preannuncio di una prossima ingloriosa fine dell'”operazione speciale” di Putin in Ucraina?

Già, i romanzi russi. È proprio nella lettura di Tolstoi, Gogol e di altri grandi di quella cultura – qui il romanzo spicca definitivamente il volo dalla cronaca – che Alina, negli anni della segregazione in orfanotrofio dove doveva dimenticare anche la sua lingua, scopre le ragioni profonde dell’anima che superano le distinzioni di nazione, di cultura, di interessi e che ora, cioè nel 2092, cerca di trasmettere al nipote al quale però è vietato imparare il russo come lei, allora, non doveva parlare ucraino.
L’autore sembra lasciare intendere che fra settant’anni, anche se le armi taceranno, le barriere d’odio non saranno rimosse. A meno che una magia… Anche il romanzo, spiega il filosofo Renè Girard, ha una verità vera.

di Olga Maerna

Il conflitto fra Ucraina e Russia si è riaperto, e domina le prime pagine dei giornali e le home page dei siti di informazione ormai da qualche settimana. Fiumi di inchiostro e di caratteri vengono spesi per analizzare la situazione, per studiarne i protagonisti e per cercare di prevederne i possibili risultati.

(foto da corriere.it)

Tuttavia, già affermare che il conflitto si sia “riaperto” non è del tutto esatto: la guerra iniziata dal 2014, anno degli eventi di piazza Maidan, non è mai finita. Per quanto lontano dai riflettori e dalle prime pagine, è da allora che nel Donbass si combatte – un lento e logorante conflitto che vede non solo contrapporsi gli interessi dei due Paesi coinvolti (Ucraina e Russia), ma anche i sogni, gli interessi e le speranze di chi in quella terra vive da decenni.
Dopo l’annessione (o la “conquista”, o “appropriazione”, o “invasione” – la parola usata dipende dall’ideologia a cui ci si appoggia) della Crimea, le ostilità tra i due Paesi non sono terminate, e ricordarsene solo allo scoppio di una fase più severa del conflitto non permette di comprenderne la complessità.

(Immagine by RGloucester – Wikipedia)

Ma veniamo ai fatti più recenti, e alle loro possibili conseguenze: cosa succederà nelle prossime settimane (per quanto secondo diversi politologi e osservatori si tratti in realtà di una questione di giorni)?

La prima ipotesi, quella che ha suscitato i titoli più appariscenti, è sicuramente quella che vedrebbe la Russia impegnata in un’invasione dell’Ucraina in grande stile. Un attacco in piena regola, fatto con dispiegamento dei mezzi e delle truppe che già da qualche tempo vengono spostati e preparati lungo il confine.

(Immagine da ilmessaggero.it)

Uno scenario del genere sembra però poco probabile – smentito dallo stesso presidente Putin, non supportato nemmeno dal governo ucraino. Per quanto la politica del Presidente russo non sia certamente incentrata sempre alla pacatezza, un’azione di questo tipo, così violenta e aperta, non converrebbe nemmeno alla Russia, in primis.

La risposta delle potenze occidentali, oltre che militare, sarebbe anche di natura politica ed economica: la Russia verrebbe tagliata fuori da qualsiasi tipo di relazione con i Paesi UE e NATO, perdendo di fatto anche importanti partner commerciali e ritrovandosi in una situazione politico-economica decisamente difficile.

(Da sx) Vladimir Putin, autocrate russo e Volodymyr Zelensky Presidente dell’Ucraina (foto da Wikipedia)

Nelle ultime settimane in Italia si è tanto parlato della questione del gas: cosa succederebbe se, in caso di conflitto, la Russia “chiudesse i rubinetti” e togliesse all’Europa le forniture?

Le conseguenze senza dubbio metterebbero in serie difficoltà diversi Paesi dell’Europa occidentale, che dalla Russia di fatto dipendono per l’approvvigionamento di questa materia prima. Occorre però rendersi conto di quali sarebbero i danni che una chiusura di questo genere porterebbe anche alla Russia, e di come questo contribuisca a smentire questa ipotesi.

(immagine da corriere.it)

Un secondo scenario è quello che vede Putin interessato più che altro a mostrare la propria forza, senza però voler procedere davvero con un attacco armato in grande stile. Ciò che secondo alcuni interessa davvero al presidente russo è intimorire gli Stati Uniti e la NATO con l’ipotesi di un possibile attacco, ma solo per potersi poi trovare in una situazione di vantaggio diplomatico e avanzare così maggiori pretese a un tavolo di trattative.
Anche perché, secondo alcuni osservatori, gli Stati Uniti non sarebbero davvero pronti a entrare in campo a supporto di Kyiv, e stanno solo sfruttando la situazione per tenere testa alla Russia.

Il Presidente americano Biden (foto di Gage Skidmore da Wikipedia)

A questo punto bisogna allora ricordare quali siano le tre principali forze coinvolte nella vicenda. Per quanto il conflitto venga presentato come una contrapposizione tra Russia e USA (e di conseguenza tra Russia e NATO), occorre considerare il terzo polo del triangolo: l’Ucraina.
Ridurre il Paese a un semplice oggetto della contesa tra due superpotenze è riduttivo, oltre che irrispettoso nei confronti di una terra che ha la propria dignità e la propria autonomia, e che troppo spesso viene relegata al ruolo di terreno di scontro tra “grandi”.

Kiev, capitale dell’Ucraina (foto da pixabay.com)

Ricordiamo che dietro a ogni guerra, dietro a ogni titolo di giornale o conferenza stampa, ci sono persone reali, giovani che si arruolano e partono per combattere (spesso poco più che ragazzini), famiglie distrutte da un conflitto che, anche se spesso ce ne dimentichiamo, va avanti da anni e affonda le proprie radici in qualcosa di molto più profondo.

Civili in fuga dal Donbass (foto da la stampa.it)

Il Donbass, così come tutto l’est dell’Ucraina e la Crimea, sono territori tradizionalmente abitati da una popolazione che è civilmente ucraina, ma che in diversi casi si sente culturalmente russa. Sempre che poi sia possibile distinguere tra i due aspetti in una terra in cui i confini tracciati sulla carta sono sempre stati profondamente mutevoli. Una terra in cui, a prescindere dal lato del confine in cui si vive, si è profondamente legati a ciò che succede dall’altra parte, dove magari vivono parenti e amici. Una terra in cui non sempre è facile distinguere tra “noi” e “gli altri”, perché per molte famiglie questa divisione non ha nemmeno senso, almeno tanto quante per altre può essere una questione di vita o di morte.

Il Donbass diviso tra zone di conflitto (gialle) e zone controllate da Russia (rosse) e Ucraina (azzurre) (Immagine di ZomBear, Marktaff da Wikipedia

Se allora vogliamo provare a comprendere cosa sta succedendo in Europa orientale e a immaginare i prossimi sviluppi, non possiamo prescindere dal tenere in considerazione questa dimensione così quotidiana e umana.
Il rischio, altrimenti, è quello di ragionare come se stessimo facendo una partita a Risiko: parlando di eserciti, ma non di persone.