di Giuseppe Barone
Il polittico di Bernardino Niger (o Nigro), che impreziosisce la parete absidale della chiesa di S. Giorgio a Modica, è un autentico capolavoro e non finisce di svelare i suoi segreti agli studiosi che indagano sulla storia della Contea.
Paolo Nifosì ha accertato la datazione e la cifra stilistica del polittico, che fu commissionato al pittore calatino nel 1566 e completato nel 1573 secondo moduli manieristici e “raffaelliti”. Probabilmente anche la cornice lignea attorno ai quadroni potrebbe essere opera sempre del Niger, che proprio nel 1573 si unì in matrimonio con Agata Scolaro inginocchiandosi davanti alla pittura sacra da lui stesso realizzata.

L’intero spazio architettonico absidale e il polittico sono pertanto un prodotto artistico e storico del XVI secolo, a differenza della facciata esterna del ‘700. Non solo barocco, dunque, ma testimonianza viva e intatta di un Rinascimento modicano ancora tutto da scoprire. Ricordiamolo, così da evitare di raccontare agli ignari turisti che da noi il terremoto del 1693 distrusse tutto e tutti. La più bella chiesa tardo barocca della città ha invece incastonato al suo interno uno dei pezzi più straordinari della pittura del cinquecento siciliano.

Per comprendere le ragioni che spinsero clero e nobili del quartiere soprano di Francavilla a commissionare una così grandiosa e costosa opera d’arte (il più grande polittico della Sicilia moderna) occorre tener conto delle profonde trasformazioni economiche, politiche e sociali che alla metà del secolo sconvolgono la città. Provo a riassumerle:
– dal 1550 la diffusione dell’enfiteusi crea un esteso ceto di piccoli e medi proprietari terrieri che si arricchiscono con l’esportazione del grano e con l’allevamento;
– il dinamismo commerciale attrae i mercanti genovesi, milanesi, toscani e catalani che prestano somme cospicue ai Conti sempre più indebitati (per le spese di corte e di “vita e milizia”) e si “naturalizzano” come classe dominante grazie ai legami matrimoniali e di parentela con le elites locali;
– la riforma amministrativa di Belnardo Del Nero del 1542 (con le successive modifiche del 1549 e 1564) introduce i nuovi Consigli civici, dando vita così a gruppi oligarchici che si contendono cariche pubbliche e potere locale;
– il Concilio di Trento e il rilancio devozionale della Controriforma cattolica incentivano la fondazione di conventi e monasteri “intra moenia” che modificano l’impianto urbanistico della città.
Modica cambia volto nel ‘500 e cancella rapidamente il suo antico volto medievale. L’asse Castello-S.Giorgio, che aveva rappresentato per almeno tre secoli il cuore della cittadella fortificata, si apre rapidamente a uno sviluppo demografico ed edilizio che riempie la sottostante “cava” dove si allineano i cantieri ecclesiastici dei domenicani, delle benedettine, delle carmelitane dello Spirito Santo, le fabbriche “palazzate” degli Arezzo, Ascenzo, De Leva, Vassallo, le “maramme” sontuose delle chiese di S. Pietro, S. Maria di Betlem, del SS. Salvatore con la sua fornitissima “fiera franca” del 1569.

Modica bassa cresce sul piano economico e politico: dal 1550 i vasti magazzini della Corte frumentaria sono ubicati allo Stretto da dove si diramano le strade verso Scicli e il caricatoio di Pozzallo, mentre negli stessi anni il convento di S. Domenico diventa la sede delle riunioni del Consiglio civico. Si capovolgeva così l’equilibrio demografico: nel 1581, su una popolazione totale di 16.000 abitanti, ben 10.000 vivono nei quartieri della “cava” e solo 6.000 nella rocca superiore. Nobiltà e clero di S. Pietro ora rivendicano alla propria chiesa l’ambito titolo di Matrice: qui cominciano a svolgersi la “possessio officiorum” delle cariche municipali e numerose cerimonie pubbliche.
L’arciprete si spinge oltre e nel 1568 osa far scolpire sul fonte battesimale la scritta “Mater Ecclesia”. Apriti cielo! Molti “sangiorgiari” reagiscono con ricorsi incendiari al Vicerè e al Papa e si scatena un contenzioso infinito davanti ai tribunali civili ed ecclesiastici, si minacciano scomuniche ed interdetti, finché nel 1579 il sacrilego fonte battesimale viene distrutto a martellate sulla pubblica piazza “ad exemplum populi”. Ma la guerra dei Santi continuerà per altri due secoli.

Bernardino Niger viene così chiamato dai maggiorenti di S. Giorgio “a miracol mostrare”, ad inventare una scenografia pittorica e uno spazio decorativo che riaffermasse la forza e il prestigio dell’unica e vera Matrice, in modo da rilanciare primato religioso e culturale della chiesa dei Conti. Bloccare il declino, invertire il trend negativo dei lasciti e delle elemosine, riconquistare fedeli e devoti con lo splendore dell’arte. I Palazzolo, Salemi, Carrafa, Guarrasi, Lorefice e Tommasi Rosso che nel 1573 davanti a una folla di fedeli scoprono il polittico e innalzano un mistico Te Deum di ringraziamento sono i rappresentanti di un patriziato urbano che intende riconfermare la centralità dell’antica Francavilla a scapito dei quartieri emergenti di Porta d’Anselmo, Corpo di Terra e Casale.

Sarà una battaglia dura, con alterne fasi di rivincite e di sconfitte, che tuttavia dal 1634 vedrà trionfare il primato di S. Giorgio grazie al sostegno decisivo della famiglia Grimaldi, la cui origine genovese contribuirà in maniera determinante a valorizzare culto e devozione del Santo cavaliere. Paradossalmente, il conflitto religioso e le “scissure” tra le due chiese rivali ha contribuito a farle più belle e ricche di opere d’arte.