di Giuseppe Cultrera
Le edicole devote sono una presenza familiare nel territorio ibleo. Molte ancora sopravvivono – pur se private spesso della icona o saccheggiate – a testimonianza di un passato in cui furono in simbiosi con l’uomo e il paesaggio, segni e luoghi del sacro.

Chi le eresse volle sacralizzare il territorio sottraendolo alle forze del male. E pose le immagini dei protettori celesti al margine dei campi, nei quadrivi, nelle vicinanze delle sorgenti, sulle cime di alcune alture; accanto alla propria abitazione, nel prospetto o nei pilastri (pulere) di accesso al fondo. Divennero, nel tempo, patrimonio della comunità che in quei luoghi stava e di coloro che in seguito vi abitarono. Legando le generazioni.

Oggi, scomparsi o attenuatesi piètas e tabù, connessi al segno e al rito, le edicole appaiono sempre più un reperto di microarchitettura popolare scissa dall’uomo e dal paesaggio umano. Mentre la loro struttura, i decori e le icone contenute, non più protetti dal tabù del sacro né dalla presenza di proprietari e vicini, divengono facile preda di rapaci collezionisti.

Preservarle diviene, pertanto, dovere di tutti. Ciascuno a suo modo. Con la propria sensibilità e cultura.
E il primo e fondamentale approccio è la conoscenza di questo ricco patrimonio di arte e devozione popolare. Catalogarle o fotografarle (come ha fatto Giovanni Tidona) è già un valido contributo. Individuandole nel paesaggio umano quali amichevoli compagne e sentinelle: magari nella passeggiata domenicale alla ricerca di aria pura, spazi appaganti, erbe e verdure spontanee (gli asparagi tra poco cominceranno a far capolino).

Tenerle sott’occhio, curarle persino, o invitare coloro che sono limitrofi a non abbandonarle, interessare associazioni o istituzioni, segnalando quelle più fragili.
Anche nella più piccola e semplice fiurèdda c’è storia e arte stratificata: ma, principalmente, il racconto di relazioni, di passioni umane e religiosità popolare.
Foto: Giovanni Tidona.




