Ovvero
I’m no Superman
di Giulia Cultrera
C’è chi ritiene che Scrubs termini con l’ottava stagione e chi mente. Sicuramente dieci anni fa non era ancora così diffuso il concetto di spin-off, tuttavia la nona stagione è stata presentata a tutti gli effetti come un proseguimento della serie. Scelta alquanto sbagliata con il senno di poi, anche se aveva del potenziale.
A ogni modo, il fandom di Scrubs è sicuramente più coeso di quello di How I met your mother quando si tratta di stabilire il finale “reale” della serie.
Pur appartenendo al genere medical drama, si discosta molto dai canoni classici. Combina momenti seri e profondi con gag divertenti e caratterizzazioni assolutamente stravaganti. Il tutto condensato in una narrazione che alterna continuamente humor e dramma, situazioni surreali e scene commoventi, elementi grotteschi e momenti emozionanti.
Bilanciare serietà e ironia è fondamentale quando l’intera narrazione si svolge in un ospedale e ruota intorno alle dinamiche professionali e relazionali di chi vi lavora. Tra malati più o meno gravi ed emergenze improvvise, bisogna essere sempre vigili e pronti a prestare soccorso. Talvolta gli sforzi salveranno una vita, altre volte saranno vani, lasciando un vuoto e un senso di impotenza.
Ed è qui che risiede la bellezza di Scrubs: affrontare tematiche forti come il rapporto con la morte, i pazienti e le malattie, con spontaneità e leggerezza, coinvolgendo lo spettatore e invitandolo alla riflessione.
Il punto forte della serie è senz’altro rappresentato dai monologhi interiori di J.D. e dalla sua capacità di fantasticare a occhi aperti, alternando realtà e fantasia e trovando soluzioni assurde e fuori dagli schemi ai problemi che si trova a fronteggiare. Non teme di mettere in mostra le sue vulnerabilità e debolezze, instaura con lo spettatore un rapporto intimo e profondo, rendendolo partecipe delle sue insicurezze e aspirazioni.
Se a questo aggiungiamo i siparietti di J.D. con l’enigmatico e imprevedibile inserviente, le crisi di Elliot, i litigi tra Turk e Carla, i dialoghi con Cox e Kelso, l’esilarante bromance tra Turk e J.D., Scrubs non può non occupare un posto speciale nel cuore di chiunque la guardi.
E il finale dell’ottava stagione è perfettamente in linea con l’intero percorso narrativo della serie, fornendone la giusta conclusione sotto forma di un ultimo, intenso viaggio mentale che, stavolta, non sembra discostarsi più di tanto dalla piega reale che prenderanno gli eventi.
A ogni modo, il fandom di Scrubs è sicuramente più coeso di quello di How I met your mother quando si tratta di stabilire il finale “reale” della serie.

Bilanciare serietà e ironia è fondamentale quando l’intera narrazione si svolge in un ospedale e ruota intorno alle dinamiche professionali e relazionali di chi vi lavora. Tra malati più o meno gravi ed emergenze improvvise, bisogna essere sempre vigili e pronti a prestare soccorso. Talvolta gli sforzi salveranno una vita, altre volte saranno vani, lasciando un vuoto e un senso di impotenza.

Il punto forte della serie è senz’altro rappresentato dai monologhi interiori di J.D. e dalla sua capacità di fantasticare a occhi aperti, alternando realtà e fantasia e trovando soluzioni assurde e fuori dagli schemi ai problemi che si trova a fronteggiare. Non teme di mettere in mostra le sue vulnerabilità e debolezze, instaura con lo spettatore un rapporto intimo e profondo, rendendolo partecipe delle sue insicurezze e aspirazioni.

E il finale dell’ottava stagione è perfettamente in linea con l’intero percorso narrativo della serie, fornendone la giusta conclusione sotto forma di un ultimo, intenso viaggio mentale che, stavolta, non sembra discostarsi più di tanto dalla piega reale che prenderanno gli eventi.
