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Ettore Scola

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di Vito Castagna

La provincia di Ragusa ha ispirato il mondo del cinema e delle serie TV. Potrei citare “Divorzio all’italiana” di Pietro Germi, “L’uomo delle stelle” di Giuseppe Tornatore, “Perduto Amor” di Franco Battiato, “Colpo di Luna” di Alberto Simone; per non parlare del fenomeno televisivo Rai de “Il commissario Montalbano“. 

Quando Ettore Scola filmò Ragusa
Il commissario Montalbano, “Il ladro di merendine” (1999), Luca Zingaretti (sx), Peppino Mazzotta (dx)

Ma questi sono solo gli esempi certamente più fortunati. Curiosando tra gli archivi dell’emittente iblea Telenova, tra gli episodi di “Come eravamo”, ho scovato un cortometraggio ai più sconosciuto, intitolato Paese mio e diretto da Ettore Scola , che ha come teatro Ragusa Ibla, Scicli e Sampieri.

A condurre il celebre regista nel ragusano fu la campagna elettorale del 2008, che vide contrapporsi alla guida del Paese la coalizione guidata da Walter Veltroni e quella di Silvio Berlusconi. Al che Scola volle sostenere Veltroni girando questo cortometraggio, o per meglio dire uno spot, che potesse condensare i disagi della Sicilia in soli 12 minuti, mostrando agli elettori una presa di coscienza da parte del centro-sinistra di una delle problematiche più urgenti, la mancata prospettiva per le giovani generazioni.

Quando Ettore Scola filmò Ragusa
Ettore Scola, Massimo Troisi e Marcello Mastroianni sul set di “Che ora è”(1989)

E lo fa nella maniera più semplice e lineare: cala sulla scena un ragazzo diplomato, Salvatore (Giuseppe Albano), lo fa partire dandogli una valigia colma di vestiti e libri, tra i quali scorgiamo Pasolini e Collins, e lo direziona verso una corriera. Ad una trama insipida Scola dona una spiccata sensibilità che va ricercata nei dettagli.

La povera casa di Salvatore dallo scaldabagno a legna, dalla camera da letto condivisa; le vie tortuose nelle quali qualche vecchio artigiano lavora; lo zio barbiere malinconico e innamorato della vita come i Canti leopardiani che dona al nipote; la stretta di mano col padre che occupa la fabbrica che ha il sentore dell’addio. Infine, il saluto al nonno che solitario veglia la Fornace Penna e che ricorda lo sbarco Alleato, che è la Storia che giunge e se ne va indifferente.

Quando Ettore Scola filmò Ragusa
Fornace Penna, Sampieri

Tutto ciò però contrasta con gli slogan che il regista fa dipingere sui muri: “Fesso chi vota”, “Sinistra o Destra tutta na minestra”, “W la mafia”. Frasi qualunquistiche cariche di retorica che semplificano fin troppo – pure per uno slogan – una Sicilia disincantata. Nonostante questo neo, la città non-luogo di Scola sa rendere appieno un’atmosfera, un modo i vivere, seppur copi troppo i miscugli urbanistici della Vigata targata Rai.

Cortometraggio o spot politico, Paese mio mostra, seppur con i suoi cinque giorni di gestazione, lampi dell’arte di Ettore Scola. Egli assorbe la vita che si spegne dei centri iblei e se ne lascia ispirare.

Proviamo a non farlo partire” dice una voce fuori campo mentre Salvatore sta per prendere la corriera. Mi dispiace ammetterlo, ma purtroppo Salvatore è partito e non è il solo… 

L’ultimo episodio de “La grafia del cinema”: Scandalizzante Salomè

di Vito Castagna

Il 2022 si è concluso fornendoci un dato scoraggiante: oltre il 60% degli italiani non è andato al cinema nemmeno una volta durante l’anno. I numeri non migliorano neanche nel 2023, vuoi per l’eccessivo costo del biglietto o per i molti film presenti sulle piattaforme streaming, alle quali sempre più registi e case produttrici strizzano l’occhio.

Sale vuote nel 2022, complice il COVID, ma i dati di oggi non sono in miglioramento

Le statistiche sugli incassi testimoniano una disaffezione profonda anche nei confronti di pellicole considerate in passato degli investimenti sicuri, come il seguito di “Avatar” che nel Sud d’Italia ha registrato cifre molto più ridotte rispetto al Nord. Anche l’affluenza alle sale può fornirci uno spaccato sul divario fra il settentrione e il meridione della nostra Penisola.

Il cinema italiano, in particolare quello d’autore, subisce più di tutti la ritrosia dello spettatore. Ma, in fondo, non è la prima volta

Film come “Nuovo cinema paradiso” (1988) di Giuseppe Tornatore e “Splendor” (1989) di Ettore Scola si sono concentrati sullo sviluppo del cinema come mezzo di comunicazione, dal suo apogeo fino al suo declino. Lo hanno fatto attraverso storie semplici, ma di grande impatto. Celeberrima quella di Tornatore, che dimostra un amore smisurato e malinconico per il cinema; molto meno conosciuta quella di Scola.

“Nuovo Cinema Paradiso”, 1988

Eppure, “Splendor” non ha nulla da invidiare e non solo per il suo parco attori, con i due giganti, Marcello Mastroianni e Massimo Troisi, ma anche per il suo intreccio narrativo. Anche in questo caso, Splendor è il nome di un cinema di un paese di provincia, gestito da Jordan (Mastroianni) e dal suo macchinista (Luigi), destinato a diventare un supermercato dopo anni di strabiliante affluenza.

Poco o nulla valgono i tentativi di rilancio, strampalati a volte, come le retrospettive sul cinema russo e jugoslavo, o in linea coi tempi, come gli spogliarelli dei fine primo tempo. Lo Splendor è destinato a morire e già lo sappiamo dall’inizio. Forse è per questa conditio sine qua non che nessuno oggigiorno ha il coraggio di aprire un cinema?

Ma sono i film che non sanno più comunicare o è lo spettatore a non cogliere il messaggio? Il linguaggio, in fondo, è desueto ai tempi, troppo lento e colmo di piani che si sovrappongono, poco avvezzo all’immediatezza, che è il tratto distintivo del nostro progresso. 

Marcello Mastroianni, Massimo Troisi, Marina Vlady, in “Splendor”, 1989

Così è in “Splendor”, dove Scola gioca con i ricordi dei personaggi, li definisce col bianco e nero, per poi spostarsi sul colore, come se si divertisse a mettere in difficoltà lo spettatore della TV.

In verità, la pellicola ha un forte impianto ironico, sognante, quasi dolce. Non ha il retrogusto di “Nuovo cinema paradiso“, ma come quello serba una ingenua speranza. Che ve ne sia ancora una per il nostro cinema? Mi auguro che ce ne siano mille!

L’ultimo articolo de La grafia del cinemaRicordi?