di Mimmo Arezzo
Abbiamo visto nella lettura precedente, che la Matematica ha una caratteristica speciale: ci sono molti problemi di facilissima formulazione, e quindi comprensibili anche dai bambini e di difficilissima dimostrazione. Questo fatto consente di inserire nel mondo della ricerca anche persone giovanissime, quando essi sono ancora pervasi dalla speciale curiosità e brillantezza dei giovani.
Quello che colpisce di più è forse il francese Évariste Galois (1811-1832). Voglio semplificarvi il calcolo della lunghezza della sua vita: 20 anni, 5 mesi e 6 giorni.
Eppure egli è universalmente considerato il padre della cosiddetta Algebra Moderna.
Appena iscritto al Liceo, un professore notò il suo talento, pur offuscato da un pessimo carattere, e gli fornì i testi scritti dai matematici più in vista di quel periodo, che è stato uno dei più fecondi della storia della Matematica.

Avendo aggiunto al suo talento anche tanta cultura, divenne ancor più pieno di sé e la cosa gli provocò una bocciatura al liceo stesso e poi al concorso per entrare all’École Polytecnique, la più importante di Parigi, quando si rifiutò di rispondere alle domande, ritenute troppo facili. Aveva messo le mani su problemi di grande difficoltà.
Cito solo il più importante: era stato dimostrato, da un italiano (Paolo Ruffini) e da un norvegese (Niels Abel) che le equazioni di grado superiore al quarto non sono risolubili per radicali; esse, cioè, non ammettono una formula generale che consenta la determinazione delle soluzioni operando solo sui coefficienti con le quattro operazioni e le estrazioni di radici, una formula certamente più complicata ma del tipo di quella che abbiamo studiato a scuola per i polinomi di secondo grado
Rimaneva aperto, quindi, il problema di vedere quali singoli polinomi ammettessero una tale formula. Per arrivare alla soluzione del problema, il giovane Galois costruì una teoria difficilissima che ancora oggi si studia solo nei corsi superiori del Corso di Studi universitari di Matematica.
Ma egli era anche un acceso rivoluzionario, molto sospettoso nei confronti del processo di restaurazione seguito al Congresso di Vienna, che aveva messo sul trono Luigi XVIII, fratello di Luigi XVI, cui poi successe l’altro fratello Carlo X (quanto effimere sono le rivoluzioni!). Il giovane Galois veniva spesso arrestato per questo. Qualche volta, se era prevista una manifestazione, lo arrestavano anche preventivamente.

E intanto portava avanti il suo difficile lavoro. Ma le ricerche venivano mal valutate, non venivano pubblicate e spesso andavano persino perdute, aumentando la rabbia nel giovane ricercatore. Non è mai stato chiaro se le sue proposte di pubblicazione dei suoi risultati non venivano accolte perché erano troppo difficili e non venivano comprese, o per una censura di carattere politico.
Quando Carlo X esagerò, limitando fortemente la stampa, chiudendo i caffé e proibendo persino le riunioni, Parigi insorse di nuovo e cacciò il despota.
Un sovrano non si improvvisa, e così fu posto sul trono Luigi Filippo, che era cugino di Carlo X, ma che negli anni ruggenti aveva votato per la decapitazione di Luigi XVI.

Ma Luigi Filippo, raggiunto il potere, ripropose il decreto di Carlo X, tradendo così le aspettative del popolo. I sovrani non si improvvisano, abbiamo detto, ma anche le rivoluzioni non possono essere fatte a ripetizione.
Galois ebbe l’idea di sacrificarsi per questa causa e, secondo la storica della Matematica Laura Toti Rigatelli, inscenò un duello finto. Essendo molto popolare fra i rivoluzionari era sua convinzione che la sua morte sarebbe stata la scintilla per la nuova rivoluzione.
Passò la notte precedente il duello a scrivere freneticamente a un suo amico tutto quello che aveva scoperto, spesso omettendo le dimostrazioni (“Non ho tempo! Non ho tempo!”), e suggerendo di rivolgersi a Gauss per una valutazione dell’importanza, “non della verità”, di cui si sentiva sicuro, dei suoi risultati.
Morì, come previsto. La sua pistola fu trovata scarica. È su questo che Laura Toti Rigatelli basa la sua congettura che quel duello fosse tutta una finzione, il che, peraltro, calza a pennello con il personaggio.
Ma la rivoluzione non avvenne. La morte del grande genio fu, in sostanza, del tutto inutile.
La ricostruzione del lavoro di Galois fu fatta molti anni dopo, prima dall’italiano Enrico Betti, grande matematico che fu a lungo Direttore della Scuola Normale di Pisa, fondata da Napoleone sul modello di quella parigina, e poi dal tedesco Emil Artin, che dette a quel lavoro il nome di Teoria di Galois.
Raramente la vita di un matematico è stata considerata degna di una riduzione cinematografica. Per molti anni, Galois fu l’unico matematico che ebbe questo onore (“Non ho tempo”, di Ansano Giannarelli, 1973). E nel 2005 il regista Marco Sciaccaluga ne curò persino una rappresentazione teatrale, su testo di Luca Viganò.