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di Vito Castagna 

Bologna. 12 ottobre. 17:30. Giunto di fronte alla Feltrinelli di Piazza Ravegnana, tra i passanti che si dirigono verso le fermate del bus, incrocio Silvia, una ragazza trasferitasi da poco in città per studiare Filosofia. Come me, si è diretta in libreria per assistere alla presentazione dell’ultimo libro postumo di Vicenzo Rabito, “Il romanzo della vita passata”, edito da Einaudi.

Non potendo farmi sfuggire questa occasione, le chiedo: cosa ti emoziona della prosa di Rabito? Lei mi risponde: «Rabito è un caso unico nella letteratura italiana. È importante da un punto di vista storico, ma soprattutto mi colpiscono le difficoltà che ha dovuto affrontare in gioventù. È personale, diretto, sembra di leggere un diario. La mancanza di una rifinitura stilistica lo rende assolutamente puro. Per questo, credo che valga la pena superare l’ostacolo della lingua».

Questa affermazione viene incontro alla piccola inchiesta che mi ero proposto di condurre: cosa spinge i lettori italiani ad affrontare una lettura complessa come quella di Rabito? Credo che Silvia centri in pieno la questione. Infatti, sembra che sia proprio la lingua ibrida, il “rabitese”, a rendere questi testi universali, e ad essere capace di far leggere chiunque per ore ed ore, in un’attrazione vorticosa.

Incipit de “Il romanzo della vita passata”

A questo punto, mi domando se vi sia un legame particolare tra Rabito e la città felsinea. Ne parlo col figlio dell’inconsapevole autore, Giovanni, mentre attendiamo che la sala “Kids” della libreria si riempia di spettatori. Egli sostiene che la scelta di Bologna, non è dettata dalla presenza di un bacino di lettori più consistente, ma è dovuta ad un fattore puramente affettivo, nato quando Giovanni decise di iscriversi all’Università.

Per quanto riguarda il successo di “Terra Matta” (2007) non ha alcun dubbio: sono le persone di cultura che si sono di più incuriosite a questo singolare caso editoriale, perché la conoscenza può essere placata solo da altrettanta conoscenza.

(Foto Einaudi)

Dopo questo breve scambio di battute, la presentazione ha avuto inizio. Ad affiancare Giovanni Rabito, vi è Riccardo Gasperina Geroni, docente di Letteratura Contemporanea italiana all’Università di Bologna. I due hanno avviato un dialogo che ha messo in luce il Vincenzo Rabito scrittore e uomo, che tanto bene sapeva narrare oralmente e che con pazienza e riserbo aveva scolpito quei fatti con l’inchiostro.

E con quella scrittura, che il professore Gasperina Geroni definisce «materica, selvaggia e primitiva», Rabito si presenta a sé stesso, costruisce la sua storia, scegliendo i momenti salienti di un’intera esistenza, e il suo stile.

Presentazione de “Il romanzo della vita passata” a Bologna (foto G. Rabito)

Uno stile che si irrobustisce e si appropria di nuove possibilità: “Terra Matta”, infatti, è uno sfogo contro le miserie della vita segnato da quella prima persona singolare che nasce dal bisogno di raccontarsi. Il romanzo, invece, è caratterizzato sin dal suo incipit dalla terza persona singolare, è attento alle descrizioni di luoghi e personaggi.

Nel secondo dattiloscritto, Rabito sembra aver fatto suo il “mestiere di scrivere”, e qui non posso non citare un passo della prefazione di Hemingway ad “Addio alle armi”: «… non sapevo come si fa a scrivere un romanzo quando lo incominciai … Così la prima stesura fu molto brutta. … dovetti riscriverla completamente. Ma riscrivendola imparai molto».

Lo splendido Terra Matta nasce dall’impeto e questo è ciò che lo rende un capolavoro; Il romanzo, dal canto suo, dimostra che si può possedere la scrittura solo dopo essersi “sporcati le mani”.

Chiaramonte, piazzetta Manfredi I, anni ’60 (foto Giuseppe Leone)

Conclusa la presentazione, rimasto in sala, mi meraviglio di come Vincenzo Rabito voglia continuare a sfuggire alle logiche del mercato editoriale. Solo quell’attaccamento del figlio a Bologna, il quale fu mandato lì proprio dal padre, lo ha condotto sotto le Due Torri. Una casualità, così come quella che lo portò a trovare in Africa un baule colmo di classici della letteratura, forse fautori della sua attività di scrittore autodidatta.

Questa volta non c’erano Dumas o Hugo ad attendere il suo ultimo libro, ma devo costatare che l’”Odissea” illustrata e “Il manuale delle giovani marmotte”, che erano esposti in sala, hanno riservato un’accoglienza altrettanto calorosa a “Il romanzo della vita passata”. Immagino la faccia compiaciuta di Umberto Eco alla vista di questa singolare commistione…

Dal dattiloscritto di “Terra Matta” (foto L’Espresso)