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di Vincenzo La Cognata

L’invasione russa dell’Ucraina – sì, perché di una vera e propria invasione si parla – ha modificato l’equilibrio economico non solo dell’Europa, ma del mondo intero. A prescindere dalle motivazioni che hanno portato allo scoppio di questo conflitto, le conseguenze risultano preoccupanti non solo in termini di vittime e distruzione in Ucraina, ma anche dal punto di vista economico e sociale nel mondo intero.

(foto da corriere.it)

Le prime conseguenze le abbiamo già viste: il dollaro si è fortemente apprezzato nei confronti dell’euro, ritenuto altamente rischioso, fino a qui tutto “normale”, il mercato dei cambi è molto elastico in risposta ad eventi di questa portata. Più preoccupante risulta invece la dinamica dell’inflazione, che rischia di continuare verso l’alto fino ai livelli di un passato ormai lontano. Certo, se finisse presto il conflitto tutto potrebbe tornare nella norma in tempi brevi, con la strategia dell’inflaction targeting (che ritocca all’insù i tassi d’interesse). Ma chi oggi potrebbe pronosticare una pacificazione così immediata?

Ne è una prova il dato degli aumenti delle bollette energetiche nel nostro paese e del carburante. Prezzi che potrebbero essere destinati ad aumentare ancora. Non è un mistero che l’Italia – molto più di altri paesi – è dipendente dal gas russo (importiamo il 40% del nostro fabbisogno). Ecco allora che non si sono fatte attendere le dichiarazioni d’amore del Ministro degli Esteri Di Maio all’Algeria, nostro secondo maggiore fornitore di gas, e verso Qatar e Azerbaigian.

Luigi Di Maio in Algeria (foto esteri.it)

La crisi che l’Italia dovrà affrontare nell’immediato sta tutta nelle parole di qualche giorno fa pronunciate da Draghi in Parlamento, in cui ha espresso la volontà di riaprire le centrali di carbone precedentemente chiuse. La nostra amica Greta lo starà maledicendo per una così clamorosa marcia indietro rispetto ai buoni propositi della transizione ecologica. Ma cosa si sarebbe mai potuto fare in una situazione d’emergenza?

Magari al nostro Presidente del Consiglio farà piacere sapere che nel meridione ci sarebbe spazio e clima adatto per produrre quantità di energie rinnovabili sufficienti per tutta la nazione. Bisognava però pensarci un po’ prima. Avere una strategia energetica lungimirante a lungo termine. Cose mai viste nel nostro paese, dove si è sempre tirato a campare senza alcuna visione del futuro.

Va da sé che l’aumento della bolletta energetica sta già determinando aumenti dei prezzi generalizzati: dalle materie prime ai prodotti finiti, all’interno del commercio intra-settoriale e inter-settoriale come a livello locale e globale.

Gli stessi derivati del petrolio sono utilizzati da tutte le imprese: dal piccolo produttore locale, come dalle aziende di logistica, fino alle grandi compagnie. Nessuno sarà al riparo da questa crisi, che ci arriva tra capo e collo mentre stiamo ancora facendo i conti con quella precedente causata dal Covid. Crisi che rischia di avere una portata ancora maggiore sullo sviluppo della globalizzazione e del commercio mondiale come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.

di Olga Maerna

Il conflitto fra Ucraina e Russia si è riaperto, e domina le prime pagine dei giornali e le home page dei siti di informazione ormai da qualche settimana. Fiumi di inchiostro e di caratteri vengono spesi per analizzare la situazione, per studiarne i protagonisti e per cercare di prevederne i possibili risultati.

(foto da corriere.it)

Tuttavia, già affermare che il conflitto si sia “riaperto” non è del tutto esatto: la guerra iniziata dal 2014, anno degli eventi di piazza Maidan, non è mai finita. Per quanto lontano dai riflettori e dalle prime pagine, è da allora che nel Donbass si combatte – un lento e logorante conflitto che vede non solo contrapporsi gli interessi dei due Paesi coinvolti (Ucraina e Russia), ma anche i sogni, gli interessi e le speranze di chi in quella terra vive da decenni.
Dopo l’annessione (o la “conquista”, o “appropriazione”, o “invasione” – la parola usata dipende dall’ideologia a cui ci si appoggia) della Crimea, le ostilità tra i due Paesi non sono terminate, e ricordarsene solo allo scoppio di una fase più severa del conflitto non permette di comprenderne la complessità.

(Immagine by RGloucester – Wikipedia)

Ma veniamo ai fatti più recenti, e alle loro possibili conseguenze: cosa succederà nelle prossime settimane (per quanto secondo diversi politologi e osservatori si tratti in realtà di una questione di giorni)?

La prima ipotesi, quella che ha suscitato i titoli più appariscenti, è sicuramente quella che vedrebbe la Russia impegnata in un’invasione dell’Ucraina in grande stile. Un attacco in piena regola, fatto con dispiegamento dei mezzi e delle truppe che già da qualche tempo vengono spostati e preparati lungo il confine.

(Immagine da ilmessaggero.it)

Uno scenario del genere sembra però poco probabile – smentito dallo stesso presidente Putin, non supportato nemmeno dal governo ucraino. Per quanto la politica del Presidente russo non sia certamente incentrata sempre alla pacatezza, un’azione di questo tipo, così violenta e aperta, non converrebbe nemmeno alla Russia, in primis.

La risposta delle potenze occidentali, oltre che militare, sarebbe anche di natura politica ed economica: la Russia verrebbe tagliata fuori da qualsiasi tipo di relazione con i Paesi UE e NATO, perdendo di fatto anche importanti partner commerciali e ritrovandosi in una situazione politico-economica decisamente difficile.

(Da sx) Vladimir Putin, autocrate russo e Volodymyr Zelensky Presidente dell’Ucraina (foto da Wikipedia)

Nelle ultime settimane in Italia si è tanto parlato della questione del gas: cosa succederebbe se, in caso di conflitto, la Russia “chiudesse i rubinetti” e togliesse all’Europa le forniture?

Le conseguenze senza dubbio metterebbero in serie difficoltà diversi Paesi dell’Europa occidentale, che dalla Russia di fatto dipendono per l’approvvigionamento di questa materia prima. Occorre però rendersi conto di quali sarebbero i danni che una chiusura di questo genere porterebbe anche alla Russia, e di come questo contribuisca a smentire questa ipotesi.

(immagine da corriere.it)

Un secondo scenario è quello che vede Putin interessato più che altro a mostrare la propria forza, senza però voler procedere davvero con un attacco armato in grande stile. Ciò che secondo alcuni interessa davvero al presidente russo è intimorire gli Stati Uniti e la NATO con l’ipotesi di un possibile attacco, ma solo per potersi poi trovare in una situazione di vantaggio diplomatico e avanzare così maggiori pretese a un tavolo di trattative.
Anche perché, secondo alcuni osservatori, gli Stati Uniti non sarebbero davvero pronti a entrare in campo a supporto di Kyiv, e stanno solo sfruttando la situazione per tenere testa alla Russia.

Il Presidente americano Biden (foto di Gage Skidmore da Wikipedia)

A questo punto bisogna allora ricordare quali siano le tre principali forze coinvolte nella vicenda. Per quanto il conflitto venga presentato come una contrapposizione tra Russia e USA (e di conseguenza tra Russia e NATO), occorre considerare il terzo polo del triangolo: l’Ucraina.
Ridurre il Paese a un semplice oggetto della contesa tra due superpotenze è riduttivo, oltre che irrispettoso nei confronti di una terra che ha la propria dignità e la propria autonomia, e che troppo spesso viene relegata al ruolo di terreno di scontro tra “grandi”.

Kiev, capitale dell’Ucraina (foto da pixabay.com)

Ricordiamo che dietro a ogni guerra, dietro a ogni titolo di giornale o conferenza stampa, ci sono persone reali, giovani che si arruolano e partono per combattere (spesso poco più che ragazzini), famiglie distrutte da un conflitto che, anche se spesso ce ne dimentichiamo, va avanti da anni e affonda le proprie radici in qualcosa di molto più profondo.

Civili in fuga dal Donbass (foto da la stampa.it)

Il Donbass, così come tutto l’est dell’Ucraina e la Crimea, sono territori tradizionalmente abitati da una popolazione che è civilmente ucraina, ma che in diversi casi si sente culturalmente russa. Sempre che poi sia possibile distinguere tra i due aspetti in una terra in cui i confini tracciati sulla carta sono sempre stati profondamente mutevoli. Una terra in cui, a prescindere dal lato del confine in cui si vive, si è profondamente legati a ciò che succede dall’altra parte, dove magari vivono parenti e amici. Una terra in cui non sempre è facile distinguere tra “noi” e “gli altri”, perché per molte famiglie questa divisione non ha nemmeno senso, almeno tanto quante per altre può essere una questione di vita o di morte.

Il Donbass diviso tra zone di conflitto (gialle) e zone controllate da Russia (rosse) e Ucraina (azzurre) (Immagine di ZomBear, Marktaff da Wikipedia

Se allora vogliamo provare a comprendere cosa sta succedendo in Europa orientale e a immaginare i prossimi sviluppi, non possiamo prescindere dal tenere in considerazione questa dimensione così quotidiana e umana.
Il rischio, altrimenti, è quello di ragionare come se stessimo facendo una partita a Risiko: parlando di eserciti, ma non di persone.