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di L’Alieno

Da vecchio liberale, fossi stato tedesco, non avrei avuto difficoltà a votare la destra di Merkel. Ma come si fa a votare in Italia un diversamente liberale all’amatriciana come Berlusconi? Cosa dovrebbe rappresentare a 85 anni, dopo che ad uno ad uno i moderati del suo partito lo stanno salutando tutti?

Primo populista della politica italiana, “Putiniano” in politica estera, indifferente ai diritti civili, liberista nei giorni pari, statalista in quelli dispari, libertino sempre. È l’accrocco confuso a cui si riduce il suo ideale politico “liberale”. Figuriamoci il resto della compagnia di destra tra “Dio, patria e famiglia”, madonne, rosari, antiabortismi, negazione dei diritti e simpatie per Orban.

Silvio Berlusconi (foto European People’s Party da flickr)

Ma cambiamo pagina. A sinistra il liberal del momento pare Carlo Calenda, che ha oscurato la stella (liberal) di Renzi. Anzi, diciamo che quest’ultimo si è oscurato tutto da solo.
“Qui si fa come dico io!” tuona contro il povero PD, un giorno si e l’altro pure. Nessun dialogo con gli ex grillini di Di Maio e con la piccola ala sinistra di Fratoianni.

Qualcuno ha definito Calenda con il simpatico ossimoro di “estremista moderato” (e in effetti gli calza a pennello). Ma oltre all’arroganza del “qui si fa come dico io!”, quale sarebbe la sua strategia per battere la destra? Anzi, ha una strategia per battere la destra? A me qualche dubbio viene. Sondaggi alla mano, con il sistema parzialmente maggioritario uninominale, la destra unita vince. Mentre Calenda sembrerebbe solo interessato ad arrivare ad una percentuale a doppia cifra, magari per giocarsi la futura leadership progressista. Tanto l’oggi è andato già a Meloni.

Carlo Calenda (foto Lucamaiella da Wikipedia)

Il pericolo è che arrivi a vincere soltanto il primo premio per chi ce l’ha più grosso (l’ego). Premio già vinto da Renzi in passato. Mentre il Conte castiga-draghi, l’ex “avvocato del popolo” tornato a fare l'”avvocato del popolo”, rischia la completa irrilevanza. Nonostante il titanico sforzo dell’unico sponsor (Il Fatto Quotidiano) per farlo apparire il più grande statista italiano dopo De Gasperi.

Discorso a parte per la sinistra antisistema. Quella ortodossa, puritana, dogmatica, comunisteggiante e pure frammentata in dieci diverse sigle insignificanti. Farà la solita (solitaria) fine che ha sempre fatto, con Santoro e senza Santoro: una serie di zero virgola qualcosa che saranno interpretati come sicura base di partenza per un immancabile radioso futuro. Amen.

Michele Santoro (Foto Paolo Benegiamo da flickr)

Foto banner e social Assianir da Wikipedia

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Siamo a 8 milioni di euro circa. È il mostruoso ammontare dell’evasione dei tributi comunali nella piccola Chiaramonte. Se si pensa che i debiti complessivi ammontano a “soli” 6 milioni, si comprende perfettamente come potrebbe essere sanato lo squilibrio dei conti. Ci arriverebbe anche un bambino delle scuole elementari, ma non chi ha governato la città. Perché, capite bene, esigere il pagamento delle tasse sarebbe stata pratica assai rischiosa per chi voleva essere rieletto sindaco. Soprattutto vicini alle elezioni.

Hai voglia adesso a tentare di uscire dal “rispettoso silenzio” (eufemismo per dire “triste dimenticatoio”) e tentare di giustificarsi sui social in un ardimentoso quanto temerario arrampicamento sugli specchi (si ode ancora l’eco della grattata delle unghie). Il tutto, badate bene, per non nominare nemmeno una volta, nel solito post logorroico, l’unica evidente verità: il problema sono gli evasori dei tributi. Sarebbe stata però un’ammissione di colpa, per non aver fatto nulla per ripristinare la legalità.

Evitare di riscuotere i tributi è la misura populista più vigliacca che si possa immaginare. Quella che avalla e premia la furbizia perché pensa di ottenerne un’immediata contropartita nel facile consenso. Tanto c’è la scusa del Covid. Lo diceva anche Draghi: “Non è il momento di prendere soldi ai cittadini”. Capite il rovesciamento del senso di quelle parole? Non era un invito a non pagare, ma così è stato interpretato.

Dalle indiscrezioni che circolano, quasi il 50% dei cittadini non paga l’acqua, circa il 38% la Tari, per l’Imu siamo al 20%, più o meno.
Comprensibile che tanti abbiano avuto serie difficoltà nei comparti più colpiti dalla crisi. Ma come la mettiamo con quelli legati all’agricoltura e all’allevamento, trainanti per l’economia iblea, e che hanno incrementato pure gli affari? E quello edile con i bonus e i superbonus? E quello della piccola e grande distribuzione alimentare? E chi vive a stipendio (o in pensione) della pubblica amministrazione? Troppa gente ci fa in questo gioco a nascondino.

(immagine triesteprima.it)

Chi lamenta sempre miseria, ma ci manda i selfie dalle vacanze esclusive. Chi accampa diritti, ma di doveri nemmeno a parlarne. Chi odia “l’alieno” Draghi e invoca le “cicale nazionali” (e locali) che amano l’estate: “serate lunghe e progetti a breve” (scrive Severgnini). Con ogni probabilità sono loro gli “sperti” che continuano a farci fessi non pagando le tasse. La demagogia della politica (locale) fa il resto.

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Oh Dio! Quanto tempo è passato? Alla notizia della morte di Luciano Nicastro, mio indimenticato professore di storiafilosofia al liceo, mi sono piovuti addosso una valanga di ricordi e pensieri riposti alla rinfusa, in un vano ormai polveroso della memoria.

Socialista onestissimo (cosa affatto scontata ai tempi, mi si conceda la battuta), “cattolico adulto”, per usare un frizzo prodiano di almeno un ventennio dopo, sei stato uomo e professore fuori dagli schemi. Un fuoriclasse. Entravi in aula nelle fredde giornate d’inverno con il tuo mitico colbacco e il pizzetto ancora nero. Mi ricordavi un intellettuale russo, dissidente, materializzatosi in terra iblea chissà per quale magia.

Uno sguardo di pochi secondi alla classe, un sorriso sornione e subito giù con la prima battuta sul primo “malcapitato”. Battute simpaticamente ironiche le tue. Taglienti, ma mai offensive per nessuno. A volte autoironiche, come quel giorno di pioggia, lì, vicino alla finestra, a pochi mesi dalla formazione del governo Craxi… “piove, governo ladro!”, esclamasti, interrompendo la lezione tra le nostre risate.

Non ricordo mai un tuo urlo. La tua auterovolezza era così fortemente percepita in classe che ti bastava un segno della mano per avere l’attenzione e far cessare ogni brusio. Non avresti sfigurato nell’antica Grecia, a discutere con Platone o Aristotele. Anche se il mio ricordo più bello sono state le tue lezioni su Kant, il quinto anno. Si studiava quasi in esclusiva sui tuoi appunti e per responsabilizzarci esigevi soltanto volontari nelle interrogazioni. Funzionava alla grande.

Luciano Nicastro (secondo da destra) in un pubblico dibattito a Chiaramonte a fine anni ’70

L’amore per la filosofia per me fu questione di un attimo. Dalla prima lezione. Dal primo quarto d’ora. Mi ricordo persino i pensieri di quel primo giorno. Per quale bestialità la filosofia si studia solo a partire dal terzo anno di liceo? Già, domanda tutt’oggi senza risposta. O forse no. Non sia mai si possa imparare a ragionare troppo in fretta o, comunque, troppo… Meglio fare spazio a materiucole più “pratiche” o alla religione.

Ti ho rivisto dopo tanti anni a Chiaramonte, circa un decennio fa, in una serata di quella che fu una buona idea: il “Festival di filosofia”. Mi riconoscesti quasi da subito: “don Peppino?” Il pizzetto era diventato bianco, i (radi) capelli pure, ma lo stile sempre quello: inimitabile.
Buon viaggio, professore. Grazie per esserci stato. La terra ti sia lieve.

L’Alieno è una rubrica settimanale tenuta da Giuseppe Schembari (vecchio allievo di Luciano Nicastro al Liceo Scientifico “E. Fermi” negli anni ’80).

“Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati”
(Bertolt Brecht)

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“Mi scusi la franchezza, caro Signore. Credo proprio che lei abbia preso un abbaglio nel suo articolo. Ha sbagliato e le spiego pacatamente il perché…”.

“Spiegare pacatamente il perché?” Cos’è sta roba? Un parlare demodé da signorotti dell’800? Roba ammuffita del passato quando il dialogo doveva rispettare noiose e stupide regole di bon ton?

Oggi per risultare alla moda, l'”homo social”  deve essere diretto, macho, senza filtri e soprattutto vomitare in faccia insulti senza pensarci due volte. Si parla come si mangia e poiché si mangiano schifezze di tutti i tipi l’eloquio appare dello stesso livello.

Sono arrivato pure a rimpiangere la vecchia e cara ipocrisia di un tempo. Almeno ci garantiva dall’essere  qualificati, seduta stante, per cretini, dementi, cattivi, stronzi e spediti a quel paese, senza tanti complimenti, da quelli che hanno sempre in tasca tutte le verità (spesso senza nemmeno leggere o capire il senso dei testi che leggono).

Questo è successo la scorsa settimana alla rubrica L’Alieno, la cui gravissima colpa è stata quella di aver bollato come “sgradevolmente provinciale” l’attivismo frenetico della politica locale per il supposto “matrimonio dell’anno” di Miriam Leone. E soprattutto per aver considerato la stessa come attrice di “modesta notorietà”. Apriti cielo.

(foto da Corriere.it)

Abbiate pazienza se qualcuno ogni tanto non si omologa al pensiero comune (senza fare del male a sé stessi o agli altri) o non crede affatto alle qualità taumaturgiche di eventi spacciati come di rilievo per i media nazionali (a proposito, vi risulta tutto quest’interesse?). Grazie al matrimonio della Leone arriveranno vagonate di turisti in più? Anche Brad Pitt deciderà di risposarsi per la terza volta dalle nostre parti? Benissimo. Vorrà dire che L’Alieno ha preso una cantonata e dovrà fare ammenda.

Ma si può comunque rivendicare il diritto di sedersi dalla parte del torto in santa pace e senza rischiare di passare dal plotone di esecuzione?

L’Alieno è una rubrica settimanale tenuta da Giuseppe Schembari (uno dei quattro fondatori del blog)

(fotoBanner: da Miriam Leone matrimonio foto)

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Sono portato a credere che il cospirazionismo abbia una base genetica: il prodotto del (mal)funzionamento di una determinata architettura del cervello. Cospirazionisti probabilmente si nasce non si diventa.

Anche se a slatentizzare una tale inclinazione spesso potrebbe essere un evento dirompente come la pandemia in atto o uno shock improvviso. Si inizia così a dare numeri a caso senza più badare al nesso di causalità e tutto sembra confermare tutto nella mente cupa dell’ansioso complottista.

Se ci fate caso tutte le teorie cospirazioniste non possono essere falsificate, sono blindate contro qualsiasi tentativo di sbugiardarle. Faccio un esempio. In Israele, paese che ha condotto una campagna vaccinale a tappeto, si sono accorti che gli anziani con gravi patologie, seppur vaccinati, stanno intasando i reparti di malattie infettive e rianimazione. La logica porterebbe a concludere che in questa fascia di popolazione il vaccino non funziona.

Il cospirazionista invece non perde tempo ad interpretare correttamente il testo della notizia e salta subito alla conclusione che più si accorda ai sui scopi: le terapie intensive sono piene di vaccinati quindi il vaccino non funziona. Gli fai notare che la notizia è più articolata e racconta un’altra verità. La risposta non consente repliche: “Questo è quello che ci vogliono far credere. Chi ci dice che siano solo anziani? La stampa è controllata dal regime”. Amen.

Il cospirazionismo è fede, non logica. Si nutre di paranoie miste a teorie fantastiche e pezzi di verità che si legano insieme (ad mentula canis) in un tutto senza senso: alieni, ossido di grafene, terapie geniche, 5G, controllo delle menti, dittature sanitarie, nuovo ordine mondiale. Niente che possa essere provato.

La scienza è manovrata, la politica anche, l’economia figuriamici… E poi Soros, Bill Gheiz, gli “Illuminati”, il “Great Reset”. Bufale un tanto al chilo spacciate come grandi verità (che non vi dirà mai nessuno!).
Meritiamo di estinguerci.

Q è il simbolo di una setta americana di matti paranoici chiamata QAnon

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Invenzione diabolica lo slogan “Dio, patria e famiglia”, bisogna riconoscerlo. Attribuita, pare, al gerarca fascista Giovanni Giuriati nel 1931. Un evergreen del populismo nazionalista prêt-à-porter di ogni tempo.

Ma analizziamolo più da vicino. Partiamo da Dio. Tutti convinti che di Dio ce ne sta uno solo. Balle. Dio chi? Ne esiste uno diverso per ogni interpretazione delle sacre scritture. Nemmeno all’interno di una stessa religione ne esiste uno. Pensate forse che il Dio vendicatore di Padre Fanzaga e del Cardinale Viganò sia lo stesso del Dio misericordioso di Papa Bergoglio o del Dio affarista del Cardinale Becciu o, ancora, del Dio burocrate della Curia?

Passiamo alla Patria. Scrive Oriana Fallaci nel tema della sua maturità liceale: “Patria, che vuol dire patria. La patria di chi? [..] La patria di Meleto o la patria di Socrate messo a morte con le leggi della patria? Anche Mussolini parlava di patria, anche i repubblichini che nel marzo del ’44 arrestarono mio padre fracassandolo di botte. [..] Anche Hitler. [..] Anche Vittorio Emanuele III e Badoglio. Era patria la loro o la mia?” [..] Confini che cambiano a seconda di chi vince o chi perde come in Istria dove fino a ieri la patria si chiamava Italia, sicché bisognava uccidere ed essere uccisi per l’Italia, ma ora si chiama lugoslavia, sicché bisogna uccidere ed essere uccisi per la Iugoslavia…”.
Non credo ci sia altro da aggiungere.

Ultima la famiglia. Anche qui. Quale famiglia? Quella presunta “naturale” e stereotipata del “mulino bianco”? O quella fondata sull’amore e sul rispetto, benché non propriamente conforme ai dettami religiosi? (L’Alieno del 29/06).

Chi spaccia questi slogan nella politica sarebbe da assimilare ad uno spacciatore di stupefacenti, né più né meno. I danni che provoca nei cervelli delle persone più indifese e suggestionabili sono dello stesso tipo. Ma mentre il secondo nell’opinione comune è un esecrabile ceffo da galera, il primo rischia di passare per statista.

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Sindaci rinviati a giudizio per i motivi più vari. Stressati da una burocrazia mostruosamente irragionevole. Gravati da responsabilità sproporzionate rispetto alle misere indennità incassate. E per finire, anche insultati quotidianamente sui social se non addirittura minacciati.

Prendiamo ad esempio l’assurdità del caso del Sindaco di Treviglio rinviato a giudizio per “omicidio stradale”, perché un guardrail non era a norma. Può essere accettabile una normativa che espone i primi cittadini a qualsiasi tipo di responsabilità? Ecco che non sembra cosa strana la difficoltà di trovare possibili candidati a Sindaco nei comuni italiani. Almeno così scriveva “La Repubblica” dell’11 giugno.

Un “mestiere” che quanto a fascino sembra in caduta libera negli ultimi anni, secondo l’autrice del pezzo, che concludeva paventando il rischio di una corsa alla fascia tricolore non più tra persone competenti, ma tra gli “scappati di casa” o tra “chi ha più sprezzo del pericolo“.

Ma poiché l’Italia è un paese senza mezze misure, se nella stragrande maggioranza delle città manca la materia prima candidabile, in altre realtà c’è n’è in abbondanza tra, appunto, soggetti più o meno “scappati di casa” (nel peggiore dei casi) o “sprezzanti del pericolo” (nel migliore) o, ancora, dinosauri che non si arrendono né al tempo né alla ragione. Alla Hiroo Onoda, per intenderci. Il famoso soldato giapponese che ancora nel 1974, dopo quasi 30 anni dalla fine della II guerra mondiale, non si era arreso alla sconfitta nella giungla dell’isola filippina di Lubang.

Hiroo Onoda, il soldato giapponese arresosi nel 1974, a distanza di quasi trent’anni dalla fine della II guerra mondiale

Pensate che risulta ancora in attività Ciriaco De Mita, Sindaco di Nusco. Età 93 anni. Quando diventò Deputato per la prima volta, nel 1963, nella nostra Nazionale di calcio giocava in difesa un certo Maldini (Cesare), a centrocampo Trapattoni e in attacco la giovanissima stella Rivera. Segni (Antonio) era il Presidente della Repubblica italiana e J.F. Kennedy quello americano.
Così, tanto per dare una misura del tempo trascorso.

Ciriaco De Mita, 93 anni

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Innovazione contro immobilismo e conservazione. Siamo allo scontro finale tra due visioni e filosofie opposte e inconciliabili nel nostro Paese. Una facile propensione all’ottimismo potrebbe indurci a pensare che stavolta, a seguito della storica crisi che stiamo vivendo (e grazie a Draghi) potrebbe trionfare proprio la tendenza all’innovazione per realizzare quelle riforme sempre rinviate. Ma non sarà così scontato. Tutt’altro.

(Immagine protodesign-group.com)

L’italica cultura iperconservatrice, fatalista, contraria al merito e a difesa di consolidatissime rendite di posizione non si arrenderà facilmente. E a sud ancor di più. Parliamo di transizione energetica ed ecologica, economia sostenibile e circolare, di riforma della Pubblica Amministrazione. Ma quanti di questi temi sono presenti nei nostri dibattiti politici quotidiani? Quanta consapevolezza esiste di essere arrivati ad un bivio cruciale per il nostro destino?

(Immagine da Wikipedia)

Ottanta sindaci del PD scrivono in un condivisibile appello: “Per portare a compimento un lavoro pubblico da un milione di euro occorrono in media 5 anni; per un lavoro da cento milioni in media ne passano 15. Se i tempi continueranno ad essere questi, non rilanceremo un bel niente: andremo a schiantarci”.

Si riferiscono all’impossibilità di poter spendere i soldi dei recovery fund europei, se quel mostro a baluardo della conservazione, chiamato burocrazia, non cambierà. E a me sorge il fondato dubbio che molti amministratori locali non ne siano consapevoli, anzi sembrano convinti di poter contare su una salvifica pioggia di denaro dall’Europa, da spendere più o meno a loro piacimento.

(Immagine riforma.unipr.it)

Sarà dura risvegliarsi da questo bel sogno e non solo per gli ostacoli burocratici, ma anche per l’annosa incapacità progettuale delle loro amministrazioni. Una vecchia storia che ci ha fortemente limitati nell’attingere ai fondi europei ordinari a cui avevamo diritto.
Pensate forse che i recovery fund risponderanno a logiche non legate alla progettualità? Mi sembra assai improbabile.

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Chiaramonte segna un marcato trend negativo nel rapporto tra natalità e mortalità: per ogni neonato abbiamo circa 3 morti l’anno.

Presto o tardi bisognerà pure porsi qualche semplice domandina sul nostro futuro. Del tipo: come poter invertire una tendenza così infausta, con una popolazione sempre più anziana e una presenza giovanile sempre più sparuta?

Chiaramonte Gulfi, 8.000 abitanti. Veduta

Pochi bambini che già nel prossimo futuro potrebbero costituire a stento un paio di classi di scuola primaria (e secondaria). Destinati in seguito ad essere una presenza giovanile ancor più ridotta, perché i più scolarizzati e qualificati andranno via. La speranza da dove dovrebbe arrivare? Dalle scarse competenze di chi rimane? Altro aspetto spiacevole della crisi demografica.

È possibile anche ipotizzare che il vuoto di popolazione possa essere riempito da una tale massiccia immigrazione di bassa manavolanza extracomunitaria da ridisegnare le caratteristiche delle nostre piccole realtà. Determinando peraltro un ulteriore crollo dei valori immobiliari. Sarebbe un processo fisiologico non un complotto, sia chiaro, ma non certo auspicabile. E soprattutto addebitabile soltanto ad una politica priva di visione futura.

Giarratana, 2.850 abitanti. Centro storico (foto da sicilytourist.com)

La problematica ovviamente è complessa e comune a tutte le comunità montane iblee. E se Chiaramonte, Vizzini o Palazzolo Acreide rischiano di ridursi a minuscole cittadine di anziani e immigrati, Monterosso, Giarratana e Licodia, già minuscole, rischierebbero di chiudere addirittura bottega.

Licodia Eubea, 2.950 abitanti. Quartiere antico  (foto da ragusaoggi.it)

Ma esiste un dibattito politico su queste tematiche? No. Niente di niente. La classe politica attuale è vecchia di mentalità, inadeguata e pure disinteressata a porsi nuove questioni di così ampio respiro. Si provvede soltanto al contingente o a piccoli progetti a breve termine per passare subito all’incasso di un facile consenso. Null’altro.

Ecco. Vogliamo discutere di queste serie problematiche? Oppure preferiamo rassegnarci al proverbiale “comu veni si cunta”?

Vizzini, 5.880 abitanti, veduta (foto da panoramio.com)

Foto banner da flickr.com

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Ancora non abbiamo terminato di fare i conti con il Covid e spunta adesso il fungo nero, che sta già mietendo vittime in India tra gli immunodepressi reduci dall’infezione da coronavirus. Porca miseria!

E in effetti la miseria c’entra eccome. Una piaga che porta con sé la difficoltà di avere accesso alle cure nella gran parte del pianeta. Che vuol dire anche l’impossibilità di comprare i vaccini in numero sufficiente per vaccinare la popolazione. Questione di prezzi esosi e anche di assurdi brevetti.

(foto ilfattoquotidiano.it)

E non stiamo a parlare di qualche remoto e isolato angolo di mondo, ma di interi continenti o di paesi immensi come l’India, dove la popolazione supera il miliardo e il fungo nero ha già infettato 9.000 persone. Bazzecole rispetto alla diffusione che potrebbe avere se la comunità internazionale farà finta di niente e lascerà il paese in balia a quella masnada di nazionalisti al potere. La stessa che solo qualche settimana fa annunciava trionfalmente la vittoria del paese contro la pandemia.

(Foto adnkronos.com)

Che tutte le croci di questo mondo possiamo accollarcele noi? Già ci bastano i problemi che abbiamo a casa nostra, potrebbero eccepire in molti. E in effetti questa logica ci proietta verso una seconda piaga oltre la miseria: l’ignoranza militante spesso coltivata e alimentata dai social.

Perché i problemi del terzo mondo, come dell’India, sono anche problemi nostri, di un villaggio globale irrimediabilmente interconnesso. Se adesso l’occidente volesse ignorare i problemi indiani, per miopia, l’India ce la ritroveremmo a casa nostra, anzi oggi ce la stiamo trovando già dentro sotto forma della variante indiana. Domani, probabilmente, sotto forma di fungo nero o giallo (sì, esiste anche questo).

(foto repubblica.it)

Capirete pure quanto sia piccolo e provinciale l’atteggiamento menefreghista, negazionista e nazionalista in genere. È tremendamente reale il rischio della ripartenza di nuove ondate di varianti o di nuove malattie da quelle parti. Girarsi dall’altra parte non serve.