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Michelangelo Merisi detto Caravaggio

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Dal 13 maggio al 15 ottobre 2022, a Ragusa nella chiesa della Badia, sarà visitabile una tela del San Giovanni Battista giacente con altri 4 quadri seicenteschi provenienti da collezioni private; il piatto forte è il dipinto che dà titolo alla mostra, da qualcuno attribuito a Michelangelo Merisi da Caravaggio. La mostra è stata allestita l’anno scorso al Museo d’arte sacra di Camaiore e sembra che preveda altre tappe. Su questo dipinto, che dai curatori verrebbe identificato come uno dei tre quadri che il Caravaggio aveva con se poco prima di morire a Porto Ercole, molte sono le ombre sull’attribuzione. Lo stato del dipinto poi, molto provato dal tempo, non fuga i dubbi ma li accresce.
Il percorso umano ed artistico del Caravaggio si è nutrito di chiaroscuri e il catalogo delle sue opere ne è pienamente immerso. Con ritrovamenti ‘eclatanti’, attribuzioni contrastanti, copie di incerta filologia.
Una faccenda intricata e un dipinto che intriga.
Sull’una e sull’altro abbiamo chiesto, un breve intervento, allo storico dell’arte Paolo Giansiracusa.

di Paolo Giansiracusa

Nell’ultimo triste passaggio del Caravaggio da Napoli a Palo si inseriscono tre dipinti di medie dimensioni raffiguranti la Maddalena e il Battista. Una delle due tele raffiguranti San Giovanni confluì nella Collezione del Cardinale Scipione Borghese (committente delle tre opere), l’altra fu portata nella dimora napoletana di Cellammare della Marchesa di Caravaggio. La prima fa ancora parte della ricca collezione Borghese, la seconda, attraverso vari passaggi, giunse forse in Spagna e poi in Perù. Nient’altro si sa di certo dell’opera e nessuno può affermare che essa fosse quella riguardante il Battista disteso attualmente conservata in una collezione di Monaco di Baviera.

Il San Giovanni Battista disteso conservato in una collezione di Monaco di Baviera (foto da Wikipedia)

Tuttavia, poiché i gialli piacciono a molti estimatori del Merisi, si è trovato comodo identificare una delle tre opere bloccate a Palo con quella di Monaco. Si tratta di un San Giovanni Battista disteso per il quale solo qualche storico dell’arte ha azzardato l’ipotesi che potesse essere un dipinto originale del Caravaggio. Adesso, non senza sorpresa, di quel dipinto discutibile custodito in Germania circola una replica, forse anche seicentesca, forse composta con gli stessi colori in uso nell’ambiente dei caravaggeschi, forse vicina ai temi e alle strutture compositive del Caravaggio ma… del Merisi non ha nulla, nemmeno una pennellata. Si tratta di un’opera che, senza nessun apprezzamento critico, è stata recentemente esposta a Camaiore e forse in altre sedi. Adesso è in Sicilia, a Ragusa, per celebrare il Caravaggio. Mi domando perché e su quali presupposti si basa l’accostamento al celebre pittore milanese?

Il quadro del Battista disteso, da oggi esposto a Ragusa. Qui in esposizione a Camaiore

Senza voler sminuire il valore culturale dell’evento, per il ruolo e la responsabilità che ricopro nell’ambito storico-artistico, credo sia opportuno parlarne. E’ sotto gli occhi di tutti (non c’è bisogno di essere storici dell’arte o esperti d’arte) che la figurazione del dipinto è appannata; forse un restauro discutibile ne ha offuscato la materia pittorica? L’anatomia presenta non pochi errori; è probabile che il copista non abbia mai visto dal vivo l’originale perduto. I colpi di luce sono troppo taglienti, senza armonia tonale e forse qualche ridipintura aggrava l’effetto visivo. Io, per mia colpa, non conosco quali siano le ragioni storiche, critiche, culturali… che hanno creato l’attenzione del grande pubblico intorno a quest’opera che giudico mediocre e fuori dall’ambito della pittura del Caravaggio e dei caravaggeschi.

Il S. Giovanni Battista della Galleria Borghese a Roma (foto Wikipedia)

Si guardi il profilo ridotto ad una maschera senza volume, si osservi la mancanza di plasticità del volto e l’assenza della benché minima vibrazione dell’incarnato. Tutto sembra improvvisato e stanco: l’occhio con quel taglietto incerto, senza espressività; i piedi annegati nel buio; il mantello rosso ridotto ad un drappo invadente, senza alcuna complicità compositiva.

La tela del Battista disteso, attribuita, tra mille polemiche, al Caravaggio. (Malta coll. privata – fonte Finestre sull’Arte)

Forse troppe fole si sono alzate su una traccia esilissima e altre se ne alzeranno senza tuttavia aggiungere nulla di utile alla migliore conoscenza della triste avventura degli ultimi giorni del Caravaggio.

Paolo Giansiracusa, storico dell’Arte, è docente Universitario ordinario. E’ stato componente del Consiglio Regionale dei Beni Culturali della Regione Siciliana, nell’ambito del quale si è occupato di Spettacolo, Cultura, Beni Storico Artistici, Architettonici e Archeologici. Impegnato attivamente nella ricerca e promozione dell’arte e cultura siciliana, dirige i Quaderni del Mediterraneo, collana di studi e ricerche sui Beni Culturali Italiani.
Tra le numerose pubblicazioni, citiamo alcune sul Caravaggio: Michelangelo da Caravaggio, 2011; Caravaggio a Siracusa 1608, 2017 e Il Seppellimento di Santa Lucia, 2018.

di Nunzio Spina

Ricompensò l’aiuto ricevuto in Sicilia con un’opera da grande artista, quale era. Nel 1608 Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, vagabondava ancora per città e paesi, in fuga dalla condanna di decapitazione per un omicidio di cui si era macchiato durante la sua permanenza a Roma e in cerca di una definitiva affermazione del suo genio e del suo stile pittorico. Trentasette anni e uno spirito in continuo fermento, che volentieri trasferiva dai burrascosi avvenimenti di vita vissuta alle immagini realistiche – e mirabilmente illuminate da una luce intensa – dei suoi dipinti. 

Michelangelo Merisi detto Caravaggio (1571-1610)

Stavolta fuggiva dall’isola di Malta, che appena l’anno prima l’aveva accolto per farne un cavaliere del proprio aristocratico Ordine. Il tempo di riprodurre due tele, e lasciarle là a futura gloria (“Decollazione di san Giovanni Battista” e “San Girolamo scrivente”), che già si era ritrovato rinchiuso tra le mura di una prigione, non la prima, tratto in arresto per il litigio con un cavaliere superiore in grado. Riuscì a evadere – lui solo seppe come – e puntò la prua verso la vicina Sicilia: a Siracusa c’era un amico conosciuto durante gli anni romani, il pittore Mario Minniti, pronto ad allargare le braccia.

Caravaggio, “Decollazione di San Giovanni Battista”. 1608, Malta

Toccare un suolo diverso era come rigenerare, ogni volta, il suo animo di artista, oltre che di uomo. E forse c’era anche il bisogno di ricambiare in qualche modo – e il suo non poteva che essere quello di dipingere – l’ospitalità che gli veniva offerta. Il rituale condusse all’ennesimo capolavoro, lasciato in eredità: il “Seppellimento di Santa Lucia”. Fu la prima opera del Caravaggio realizzata in Sicilia. Olio su tela, quattro metri per tre, destinata alla pala d’altare per la Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro (o Fuori le Mura), nel sito in cui, secondo la tradizione, la santa patrona della città fu martirizzata e sepolta.

Caravaggio, “Il seppellimento di Santa Lucia”. 1608 Siracusa

Viene raffigurato sul tono dei rossi e dei bruni – col solito contrasto di luci e di ombre, col rilievo scultoreo delle figure illuminate, col naturalismo e il pathos che sempre emerge dall’intera composizione – il drammatico momento in cui la giovane Lucia, distesa esanime, sta per essere seppellita, tra il rassegnato dolore di alcuni presenti e la vigorosa indifferenza dei due personaggi intenti a scavare. Persino lo sfondo, che l’artista lascia in genere volutamente buio e in secondo piano rispetto ai soggetti, acquista qui un significato particolare. Il vuoto che sormonta le figure, a indicare gli enormi spazi di una catacomba, è con ogni probabilità riconducibile alla latomia più famosa di Siracusa, l’Orecchio di Dionisio.

La latomia più famosa di Siracusa, l’Orecchio di Dionisio.

Ipotesi verosimile e suggestiva, dal momento che era stato proprio Caravaggio, affascinato dai reperti archeologici della città, a battezzarlo con questo nome (lui, in realtà, lo aveva chiamato Orecchio di Dionigi), per la sua caratteristica forma, simile a un padiglione auricolare, e per le sue proprietà acustiche, che permettevano al tiranno greco Dionigi di ascoltare dall’alto, non visto, i discorsi – amplificati dall’eco – dei nemici che rinchiudeva in quella grotta.

“Il seppellimento di Santa Lucia”, particolare

Il Seppellimento di Santa Lucia era destinato a una vita movimentata, quasi che l’autore vi avesse trasmesso la propria indole irrequieta. La chiesa per la quale era stato commissionato fu costretta a disfarsene nel 1971, a causa degli effetti nocivi che procurava la vicinanza col mare; venne dapprima trasferito al Museo Bellomo di Siracusa, poi a Roma, nel ’79, presso l’Istituto Centrale per il Restauro.

Da qui un lungo girovagare per la Penisola, per mostre e restauri, fin quando nel 2009 è tornato a Siracusa, per trovare posto però in un altro edificio dedicato alla martire, la Chiesa di Santa Lucia alla Badia, in Piazza Duomo. Ci sarebbero voluti un altro decennio e l’immancabile trasloco per una mostra – a Rovereto nel 2020, con tanto di polemiche –, prima del ritorno nella sede originaria della Chiesa di Santa Lucia al Sepolcro. Giusto riconoscimento storico allo scopo per cui era stata concepita l’opera e alla volontà del suo autore, Michelangelo Merisi detto Caravaggio, per il quale il 18 luglio (era il 1610) ricorreva l’anniversario della sua morte.

Il ritorno a Siracusa del quadro del Caravaggio e la sistemazione nella chiesa di Santa Lucia al Sepolcro