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Paesaggio ibleo

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di Giuseppe Cultrera

Un elemento caratterizzante del paesaggio ibleo è il carrubo. Una pianta da frutto sempreverde presente nell’area mediterranea e conosciuta già da fenici e greci. La bacca leguminosa fu utilizzata, nel passato, come alimento per uomini e animali. Era un elemento povero e difatti la carruba, il frutto, veniva consumata in loco e non aveva un mercato.

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Carrubi, foto Giulio Lettica

Da alcuni anni però ha trovato un più ampio e ricercato mercato; specialmente la farina, che se ne estrae, è elemento base nella cucina e pasticceria. Tant’è che il prezzo della materia prima è notevolmente lievitato, rendendo conveniente la raccolta delle carrube, anche in piccoli appezzamenti o singoli alberi.carrubi

Ed è una buona notizia. Perché questo maestoso albero, presente nelle aree meno fertili del nostro territorio (una prerogativa della ceratonia siliqua – questo il nome scientifico – è che prospera nei terreni aridi e poveri di acqua) stava lentamente scomparendo, sia per l’abbandono da parte dell’uomo che per i numerosi incendi che aggredivano facilmente l’habitat non presidiato. Se a inizio del secolo scorso i carrubi ragusani rappresentavano oltre il 70% del totale nazionale, nei successivi 50/70 anni il numero si era ridotto notevolmente.

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Giuseppe Leone, Raccolta delle carrube (1999)

Salviamo il carrubo” fu il grido d’allarme che, sul finire del Novecento, unì istituzioni e piccola imprenditoria agricola e artigianale in una virtuosa azione di riscoperta, recupero e promozione del frutto arcaico. Con risultati lusinghieri, che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

Nel modicano si è associato al cioccolato, altro brand locale; nel resto della provincia piccole aziende e laboratori hanno estratto dalla bacca, compresi i semi, pregiata farina, dolcificante e addensanti di qualità. Le inflorescenze sono pascolo delle api nostrane che ci regalano una eccellente qualità di miele, detto appunto al carrubo. Per non parlare della mitica caramella carruba, compagna della nostra fanciullezza, che trovavamo nei piccoli negozi, quasi clandestina. La ritrovate oggi nelle dolcerie, sugli espositori di tabacchi e souvenir: in bella mostra sul banco della farmacia!

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Piero Guccione, Il carrubo e il piccolo mandorlo, 1980

Le sagome, all’imbrunire, si stagliano nel paesaggio popolato dalle bianche ragnatele di muri a secco che orlano le cave e gli altopiani e ci appaiono, nel riverbero del finestrino dell’auto in corsa, quali musicali “quadri per una esposizione” dipinti da Piero Guccione e Salvatore Fratantonio o ritratti da Giuseppe Leone. Metafora di questa magica Sicilia d’oriente che non si rassegna alla zoppicante marginalità che pare volerle regalare la pigra progettualità politica isolana.

Banner: Salvatore Fratantonio, Carrubi, olio su tela.

di Giuseppe Cultrera

Accade di incontrare, nel paesaggio ragusano, qualche torre tutta di pietra: anzi un contenitore di pietre. Fa un certo effetto; e per la mole e per quel certosino lavoro di taglio e incastro, tutto a secco. Somigliano ai nuraghi sardi e ai sesi di Pantelleria; e hanno stessa ascendenza nelle antiche e mitiche costruzioni megalitiche del bacino mediterraneo. Ma sono molto più recenti, uno/due secoli circa, tutt’al più. I contadini li chiamano “muragghi”. E furono loro, con il paziente e lungo lavoro di spietramento del fondo, a realizzarne la maggior parte: piccoli, o maestosi come torri. Ecco svelato il mistero, la loro nascita fu determinata da esigenze pratiche di pulizia dei terreni che, specialmente nell’altopiano, erano ricoperti d’affioramenti calcarei.

Le torri di pietra nel paesaggio ibleo
Ragusa, Contrada S. Filippo (foto Pippo Bracchitta)

Una salutare passeggiata pomeridiana o domenicale può essere dedicata alla loro ricerca e visita. Non hanno l’alterigia dei monumenti storici, teatro di battaglie o di potere, e neppure orpelli stilistici da esibire. Raccontano del duro lavoro della terra, della consonanza con il paesaggio umano, del ciclo delle colture e delle stagioni che scorrevano immutabili tra le cave e gli altopiani, terrazzati dai caratteristici muri a secco. Incontrerete nel vostro percorso, a seconda della stagione, piante aromatiche ed erbe commestibili (asparagi, cicoria, lassini, capperi, finocchietto, origano, timo ecc.) e fiori (le stupende orchidee iblee, per esempio) che stentano a sopravvivere alla invadente e tumultuosa nostra “civiltà” che elargisce cemento e rifiuti a gogò.

Le torri di pietra nel paesaggio ibleo
Ragusa, S. Giacomo (foto Manuele Distefano)

Le foto a corredo si riferiscono ai muragghi di contrada Santa Rosalia e S. Filippo, S. Giacomo, Cava Renna, contrada Conservatore. Ma troverete tanti altri muragghi a Modica, Scicli e Sampieri (contrada Trippatore, Villa Ottaviano) nelle città montane dell’interno.

Le torri di pietra nel paesaggio ibleo
Ragusa, contrada Conservatore. (A destra) contrada Renna (foto Gaudenzia Flaccavento)

Tra le funzioni sembra ci fosse anche quella di controllo del territorio circostante, e le pratiche ed originali scale che portavano al terrazzo, in cima, lo dimostrerebbero. O, forse, servirono solo per salire in alto e riposarsi dal duro lavoro. Ascendere in ogni caso non è soltanto un esercizio fisico. Possiamo provarlo anche noi. Magari, nel caso del muragghiu di S. Filippo, districandoci un po’ tra le invadenti radici e il fusto del bagolaro che ci vive in simbiosi. Arrivare alla vetta – come recita una nota pubblicità – non ha prezzo. Per tutto il resto…

Le torri di pietra nel paesaggio ibleo
Ragusa, contrada S. Filippo, particolari e insieme (foto Pippo Bracchitta)

Banner: Manuela Distefano