di Pippo Inghilterra
La prima notte che passai nella casa in cui vivo, mi colpì, nel silenzio, il mormorio dell’acqua della Fonte Diana e la voce al mattino di una signora affacciata al balcone. Si complimentò con me per aver ricollocato il dipinto della Madonna nella nicchia della facciata.

La signora compiaciuta, perché il suo sguardo si era rincontrato con quello del dipinto, era la moglie dell’architetto Sebastiano Romeo (1899-1978) che aveva studiato a Torino alla Reale Accademia Albertina di Belle Arti, Scuola di Architettura.
Dopo la grande guerra era tornato a Comiso per intraprendere l’attività di architetto-imprenditore. Uno dei primi lavori fu il restauro del palazzo del barone Pace, vicino alla chiesa dell’Annunziata di Comiso. Di questo palazzo si conservano ancora i suoi disegni fatti a mano.

Altro lavoro importante, rimasto però sulla carta, è il progetto del monumento ai caduti nella stessa Piazza Fonte Diana. Si trattava di un obelisco, posto su una base rialzata con lo sfondo di una facciata liberty, che avrebbe lasciato libera l’infilata prospettica della cupola dell’Annunziata.
All’inizio del viale della Resistenza (a Comiso) ci sono diversi palazzi liberty, progettati proprio da Sebastiano Romeo: palazzo Sidoti all’angolo di via San Biagio, di fronte al Castello, palazzo Intorrella e palazzetto Zanghi, uno dei più belli, disegnato con molta cura.

Nei primi anni trenta, costruì anche il palazzo del Banco di Sicilia in piazza Fonte Diana, progettato dall’ing. S. Secolo. Progettò, poi, diverse case, palazzi e cappelle funerarie. Negli ultimi anni della sua vita si ritirerà a vita privata nel suo podere in contrada Targena.

Un giorno andai a trovare la signora del balcone. L’ingresso del palazzo era sulla curva della strada che porta sotto il campanile dell’Annunziata. Una costruzione antica, con una grande scala in pietra e colonne, consumata dal tempo e dall’umidità.
C’era un intenso odore di stanze nella penombra, quando la signora mi fece accomodare nel salotto. Mi parlò del marito e del loro confinamento nella villa di campagna. Mi fece visitare la biblioteca, piena di tomi di medicina del padre e di quello che restava dello studio-archivio del marito, dopo l’abbandono della villa. Mi regalò anche tre annate della rivista “L’architettura Italiana” e alcuni disegni.

Un giorno anche lei se ne andò e il campanone dell’Annunziata rintoccò cinque volte. Poi su quelle mura scese definitivamente il silenzio. Ma le cose, tutte le cose, continuano a conservare nel tempo la memoria di un gesto, di una parola, di un sorriso.